L'uomo che uccise Liberty Valance

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Un film di John Ford. Con John Wayne, John Carradine, Edmond O'Brien, James Stewart, Lee Van Cleef.
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Titolo originale The Man Who Shot Liberty Valance. Western, b/n durata 119 min. - USA 1962. MYMONETRO L'uomo che uccise Liberty Valance * * * * - valutazione media: 4,22 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

A Shinbon la legge auto-funzionale contro i codici Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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domenica 19 novembre 2017

 L'UOMO CHE UCCISE LIBERTY VALANCE (USA, 1962) diretto da JOHN FORD. Interpretato da JOHN WAYNE, JAMES STEWART, VERA MILES, LEE MARVIN, EDMOND O'BRIEN, LEE VAN CLEEF, ANDY DEVINE, WOODY STRODE, KEN MURRAY
Il procuratore legale Ramson Stoddard viene eletto rappresentante al Parlamento Statunitense perché creduto colui che uccise il feroce bandito Liberty Valance, avversario acerrimo di agricoltori e allevatori al di sopra del Pick River, ma sa benissimo che non è stato lui. Il vero eroe, il reale omicida del lestofante, è Tom Doniphon, fattore abilissimo con la pistola che salvò la vita a Ramson la sera del suo inevitabile duello con Valance. La storia è raccontata molti anni dopo, quando Ramson, ormai senatore, la narra ad un gruppo di giornalisti dello Shinbon Star: Shinbon è infatti il nome del villaggio cui il giovane Stoddard, allora giovane avvocato senza soldi, arrivò dopo esser stato malmenato e frustato fin quasi a morte da Liberty Valance, che quella notte rapinò coi due suoi complici un’intera diligenza su cui Ramson viaggiava, venendo poi salvato dalle cure di Ellie, giovanissima cameriera, e dai genitori di lei, Peter e Nora. Tom Doniphon, presente al momento del salvataggio, ravvide in Stoddard un damerino più capace di cavarsela con libri e codici legali che con la pistola, ma ben deciso a liberare il paese da un ospite sgradito quanto Valance. Maldestro ma affascinante, Ramson diventa subito popolare presso il villaggio grazie alla sua cultura: apre una scuola per insegnare a leggere e scrivere agli abitanti analfabeti, collabora col fondatore-proprietario-fattorino dello Shinbon Star, Puttom Peabody, uomo di lettere molto determinato col solo vizio del bere troppo, diventa amico del pavido sceriffo di Shinbon, Link, molto più propenso a ingozzarsi di bistecche e patate che ad arrestare e sbattere in cella i delinquenti, e si contende con Tom Ellie, con la quale l’uomo è fidanzato, anche se non ufficialmente. Anche il servitore personale di Tom, il nero Pompeo, rientra fra le simpatie di Stoddard, anch’egli, al pari del padrone, tiratore di prima categoria. In seguito ad una votazione popolare, il paese domina Ramson rappresentante per i mandriani svantaggiati, ma Liberty Valance gli lancia la sfida a duello quella sera stessa, e Ramson, avendo visto come gli sgherri di Valance e il bandito stesso hanno conciato il signor Peabody, non può tirarsi indietro, ma Tom gli salva la vita dopo che Valance stava mirando sul serio per uccidere il rivale dopo avergli ferito seriamente un braccio. I giornalisti che sentono la storia non ne rimangono affascinati, perché sanno che nel West, da sempre, quando al leggenda si confonde con la realtà, vince la leggenda. Se non altro, Stoddard potrà rivedere il cadavere di Tom Doniphon coi suoi stivali e il suo cappello e una pianta di cactus sulla sua bara, posta lì dalla moglie Ellie, che Stoddard sottrasse a Doniphon, con immenso disappunto di quest’ultimo. I due volti più riconoscibili e inconfondibili del western americano, coadiuvati dal regista maggiormente specializzato nel genere, si uniscono per dare vita ad un capolavoro che, a modo suo, qualche anno prima dell’abbordaggio di Sergio Leone, racconta la fine del Far West: coloro che pensavano di poter risolvere tutto pistola contro pistola, come l’irruento ma saggio Tom Doniphon e il crudele e sadico Liberty Valance, devono cedere il passo all’arrivo della legge, dei codici scritti, di quanto è più moderno e appropriato coi tempi che corrono e scorrono, rappresentati dalla figura di Ramson Stoddard, procuratore che non sa affrontare i nemici sparandogli contro ma è invece espertissimo a sputar sentenze, insegnare i principi basilari della cultura e destreggiarsi con legislature, riunioni popolari ed elezioni. L’accoppiata Wayne-Stewart funziona come perfetto contraltare fra farsi giustizia da sé e ricorrere a cose prescritte e previste, e lavora a pieno vapore come una fucina dal fuoco inestinguibile, mentre Marvin è un ottimo antagonista che maneggia frusta e revolver con eguale malvagità, ma non sa (e questo è l’unico suo lato debole) fronteggiare un nemico senza appoggiarsi a minacce o ai suoi due complici (di cui uno è un allora quasi misconosciuto L. van Cleef, pienamente valorizzato negli anni a venire dal già citato S. Leone), mentre V. Miles è una fanciulla cocciuta ma tenera, abile a passare dai tremori impulsivi agli abbracci sentimentali più ruvidi e sensazionali, ma c’è anche un W. Strode ottimo nelle vesti di Pompeo, servitore di Wayne fedelissimo al padrone, desideroso anch’egli di un’erudizione e salvatore del datore di lavoro stesso quando questi manda a fuoco la stanza costruita per Ellie nel caso i due si sposassero, appiccando purtroppo l’incendio all’intera fattoria. Ford, benché rese la vita impossibile agli attori sul set con le sue battute belliciste e razziste e i suoi modi di fare ben poco cortesi, ci mise comunque del suo nel dirigere il traffico imbastendo un’opera cui il tempo rese giustizia, giacché alla sua uscita fu accolta con malaccorta tiepidezza, e che non invecchia mai, facendo riflettere su temi importanti tanto ai tempi pionieristici ottocenteschi quanto ai nostri: la ferrovia, l’approvvigionamento d’acqua, le mandrie, il bisogno di giustizia, la contrapposizione fra individualismo risolutivo e altruismo legalizzato, la necessità di spazzare le strade dai mascalzoni più incalliti, la politica che non sempre premia i meriti malgrado (o forse proprio grazie) la meritocrazia (applicata più massicciamente che mai), i ricordi che riaffiorano dal passato e riemergono con potenza incancellabile e i rimorsi di non avercela fatta da soli, ma contemporaneamente anche la riconoscenza di un’amicizia difficile ma pur sempre laboriosa e produttiva. 

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