Il gusto del sakč |
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Un film di Yasujirô Ozu.
Con Chishű Ryű, Shima Iwashita, Keiji Sada, Mariko Okada, Teruo Yoshida.
continua»
Titolo originale Sanma no aji.
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 113 min.
- Giappone 1962.
- Tucker Film
uscita lunedě 20 luglio 2015.
MYMONETRO
Il gusto del sakč
valutazione media:
4,13
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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il gusto del samnadi carloalbertoFeedback: 51365 | altri commenti e recensioni di carloalberto |
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domenica 7 giugno 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La sostituzione del titolo originale, pregno di significati, con uno banale, più commerciale perché più orecchiabile per la grossolana sensibilità occidentale, è l’estremo sgarbo del mercato all’ultimo film di Ozu, dopo essere stato censurato dagli occupanti negli anni ’50. Amara ironia della sorte per chi, con la sua opera, ha denunciato l’incipiente trasformazione del suo paese in uno dei tanti lunapark disseminati nel mondo dall’edonismo imperante. In Giappone il samna è un pesce che si consuma ritualmente per celebrare il passaggio tra l’estate e l’autunno.Il sapore del samna sarebbe stato un titolo più consono e avrebbe richiamato una frase del vecchio insegnante, che, alla cena offertagli dai suoi studenti per gli 80anni, dice di trovare gustoso il gronco. Così è tradotta la costardella, il samna, per giustificare, data l’assonanza, un qui pro quo con il granchio. Il vecchio, che ha trattenuto la figlia presso di sé, impedendole di avere una vita sua, non conosce il gusto del samna, non sa nulla dell’accettazione dell’incipiente autunno, col suo carico di malinconia, e dell’ineluttabile alternarsi delle stagioni della vita, ed, infatti, non ne riconosce il sapore, scambiandolo per granchio. Il gusto del sakèè una ripetizione di un quadro già visto o è la summa in un trittico diTarda Primavera, Tardo autunno e Fiori d’equinozio; gli stessi temi, perfino le stesse scenografie e inquadrature e Chishū Ryū, ancora una volta, nella parte di Hirayama. Il soggetto varia di poco. Cambia l’angolazione del punto di vista, per ritrarre un identico paesaggio emotivo. Sono passati più di 10 anni da Tarda primavera e Ozu guarda con maggior disincanto al destino di chi, invecchiando, deve lasciare che i figli seguano la loro strada, abbandonando la casa paterna. C’è più rassegnazione rispetto alla cultura degli invasori e alle ciminiere che incombono dalle finestre. I colori pastello si alternano a quelli accesi della modernità, il rosso e l’arancione. Accanto al passato che sopravvive ancora nel tè e nel sakè, in qualche Kimono e in un matrimonio combinato, si beve whisky, si gioca a golf e si tifa per il baseball, gli stessi elementi che Carosone cita nella sua Tu vuo’ fa’ l'americano del ‘56per descrivere, irridendo, il processo di americanizzazione in atto in Italia. Ozu sorride equanimemente del passato militarista del suo paese, con il disco della marcetta suonato nel bar e delle smanie consumistiche delle giovani coppie affascinate dai nuovi elettrodomestici, ma è un sorriso triste, che si trasforma subito nel ghigno del vecchio professore ubriaco. Nelle stanze vuote della sequenza finale riecheggia la solitudine di Hirayama.In una di esse il soffermarsi, per qualche istante, sullo specchio, in cui, prima dell’addio, si è riflessa la figlia in vesti nuziali tradizionali, esprime l’impermanenza di ogni cosa, anche delle immagini riprodotte. Lo specchio diventa metafora del cinema, arte che coglie la vita nel suo fluire, soggiacendo tuttavia alle stesse leggi di evanescente oblio. L’unico modo per resistere al tempo e sfuggire all’annichilimento è ripetere la stessa opera in modo ossessivo, cambiando ogni volta un particolare, la prospettiva, la tonalità dei colori, la battuta di un personaggio, ed ecco che le scene dei vari film si rispecchiano all’infinito le une nelle altre, in un rinvio reciproco, nel quale rimane intrappolata, eternandosi, l’arte di Ozu.
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