“Moi, je veux me fâcher, et ne veux point entendre” (Io voglio risentirmi, e non voglio ascoltare).
” L'ami du genre humain n'est point du tout mon fait” (Non fa per me chi ama tutto il genere umano).
Due battute di Alceste, protagonista del “Misantropo” di Molière, commediografo francese vissuto nel ‘600, ne riassumono il “carattere” (per i più: un cattivo carattere). Alceste, infatti, detesta le regole sociali, le formalità, le cortesie, considerate, ieri e oggi, come simbolo di urbanità, ma che per lui sono pure ipocrisie. Al punto da condurre una battaglia solitaria in nome della sincerità.
Che senso ha riproporre nel cinema un testo teatrale antico e per di più versificato (in alessandrini)?
Anzitutto diciamo che non si tratta di un caso unico nel cinema. Anche nel premiatissimo “Cyrano de Bergerac” del 1990 diretto da Jean-Paul Rappeneau e interpretato da un grande Depardieu, si recita in rime. E così pure in “Shakespeare in Love”, tanto per citare due esempi di rivisitazione di opere teatrali o poetiche classiche. Così come non è un’operazione del tutto originale fare del metateatro (mostrare cioè il teatro nel suo farsi); anzi molti sono i film caratterizzati da simili operazioni: l’ultimo citato, di John Madden, ne costituisce una prova. Quanto all’idea di riproporre oggi il “Misantropo”, assai meno popolare di altre opere di Molière come l’”Avaro” (versione cinematografica di Tonino Cervi del 1990, con Alberto Sordi), o il “Tartufo” (film del 1925, diretto da Friedrich Wilhelm Murnau), il regista Philppe le Guay è stato preceduto pochi anni fa (2009), nel teatro francese da Nicolas Rigas.
Però “Molière in bicicletta” (il titolo originale, “Alceste à bicyclette” è più corretto, ma meno riconoscibile da parte del pubblico italiano) è un film interessante e dotato comunque di originalità. Del resto, rifarsi a un classico, è “un classico”.Anzi, In tempi di crisi e di incertezze, spesso si risale ai fondamenti, per trovare appigli validi e di valore universale. Ciò vale per il pensiero filosofico, politico ed economico, ma anche per l’ambito artistico. La domanda di fondo è allora: è un film sull’immutabile condizione umana o un film sugli attori, più indotti dei comuni umani, da loro mestiere, a recitare una parte, e dunque a fingere? Entrambi le chiavi di lettura hanno una giustificazione.
Partiamo dalla seconda. I due amici, che aspirano ugualmente a recitare in teatro la parte più prestigiosa di Alceste, incarnano due atteggiamenti diversi nel mondo dello spettacolo: da un lato un artista bello, affermato, ambizioso, superficiale, adulante, disposto a sottostare alle regole del mercato e a tutti gli obblighi sociali che ne derivano (perfetta incarnazione dello spirito di Filinto, l’amico-nemico di Alceste). Dall’altro un artista refrattario ai compromessi, deluso, depresso che si è ritirato dal bel mondo per evitare di essere ferito, ma che, risvegliatasi in lui la fame di recitazione, le dedica un impegno totale, puntiglioso, rispettoso del testo originale (interpreta in modo splendido e intenso la parte Fabrice Luchini, pratico di scene teatrali). Si tratta anche di una contrapposizione tra cinema, più sensibile alle ragioni della cassetta, e teatro, più raffinato ed esclusivo? tendenzialmente sì.
Quanto al primo punto, ci piace interpretarlo in chiave di attualità, accettando la regola che da sempre ci sono uomini inclini al compromesso e uomini integri e totalmente sinceri (molti di meno)… In un’epoca come quella attuale che ci forza verso la socializzazione a tutti i costi, verso la padronanza delle tecniche di comunicazione (che spesso mascherano l’arte di fregare il prossimo), l’elogio della schiettezza, e dell’inevitabile solitudine che ne consegue, è un modo di andare controcorrente. “Io vostro amico? Prego, toglietemi dal mazzo./ Invero, ho ritenuto d'esserlo fino ad oggi; /Ma dopo quel che or ora mi avete palesato,/ Vi dico chiaro e tondo che non lo sono più./Non voglio avere posto in un cuore corrotto.”
In quest’ottica, acquista un senso anche la bicicletta, come simbolo di libertà, come esempio di una corsa contro il vento (perché la regola universale del ciclismo è che il vento non è mai alle spalle), solitaria o condivisa, non priva di comici incidenti, tanto più se priva di freni, ma spoglia di orpelli e carrozzerie. Film troppo didattico? No. C'è piuttosto qualche pedanteria nel riproporre gli stessi pezzi (la scena 1^ del 1^ atto), ma si vedrà alla fine che la cosa aveva anche un senso. Nell’insieme uno spettacolo da non perdere, anche per le altre interpretazioni Lambert Wilson e la splendida Maya Sansa, e per gli scenari dell île de Ré, posta sull’Atlantico vicino a La Rochelle.
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