Audrey Rose |
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Un film di Robert Wise.
Con Marsha Mason, John Beck, Anthony Hopkins, Mary Jackson, Norman Lloyd.
continua»
Drammatico,
durata 113 min.
- USA 1977.
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Un passo falso di un un buon registadi johngarfieldFeedback: 1350 | altri commenti e recensioni di johngarfield |
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lunedì 15 agosto 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il tema della reincarnazione è uno di quegli ambiti che vanno al di là del nostro preteso o presunto razionalismo, soprattutto se questi ambiti entrano nei santuari della nostra civiltà occidentale, come lo è quello dalla legge. Normale quindi che non possa esistere punto di contatto tra questi due mondi. La storia in esame presenta un caso estremo in cui parrebbe che esista un caso di reincarnazione. Il problema però qui è l'approccio a queste tematiche. In effetti, le esigenze cinematografiche non riescono e forse nemmeno possono affrontarle in modo degno. Non convincono le troppe imprecisioni, leggerezze, superficialità che il film presenta. Non si tratta qui di credere o meno nella reincarnazione nè nell'aldilà, quello che non convince è la superficialità e, di conseguenza, la non credibilità dell'intero assunto. Non convince il percorso della progressiva irruzione di Audrey Rose nella mente ( o anima?) della piccola Ivy, non convince il legnoso e prevedibile padre di Ivy, non convince l'accettazione troppo veloce da parte della madre di una realtà sconvolgente e devastante. Possiamo apprezzare, questo sì, la buona e intensa partecipazione emotiva di Anthony Hopkins, ma vi sono troppi elementi nell'insieme ad essere poco credibili, come ad esempio la quasi macchiettistica performance del medico ipnotizzatore, la stessa operazione di tentare di riportare ad una vita precedente una paziente, lo stesso processo, così poco professionale ecc. Mi pare insomma che ci troviamo di fronte a un sostanziale passo falso da parte di un regista peraltro capace di ben altri risultati. Credo che l'approccio ad una tematica così delicata debba essere tentato utilizzando un filo narrativo che si muova giocando, più che sul realismo, sull'immaginazione, sulle nostre paure e angosce davanti al tema della morte. I riferimenti realistici rappresentano un ostacolo che finisce troppo spesso per frenare il potenziale esplosivo del tema della reincarnazione. Il regista dovrebbe insomma, a mio modestissimo parere, far riflettere, meditare più che narrare una favoletta avvenuta, guarda caso, a New York. in una famiglia della borghesia media ecc. E' un pò l'ambientazione cara a certi registi (Friedkin docet) che, allo scopo di rendere più credibile l'assunto, scelgono la media borghesia come classe sociale affidabile, facendo leva sul razionalismo anglo-sassone e sulla solidità morale e materiale come elementi base per rendere credibile la trama (come dire: se fosse capitato a una famiglia portoricana, la storia non sarebbe così seria). Probabilmente il regista voleva scuotere un pò il granitico scetticismo dell'americano medio, raccontandogli una storia che sconvolgesse le sue certezze. Purtroppo, il risultato si ritorce contro il regista, incapace di affrontare in modo adeguato queste tematiche, forse perchè vittima anch'egli di quel famoso granitico scetticismo e razionalismo occidentale che vorrebbe invece attaccare.
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