Amarcord |
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Un film di Federico Fellini.
Con Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Giuseppe Ianigro.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+16,
durata 127 min.
- Italia 1973.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 14 settembre 2015.
MYMONETRO
Amarcord
valutazione media:
4,75
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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sogno, disperazione, follia e comicitàdi Paolo SchipaniFeedback: 1039 | altri commenti e recensioni di Paolo Schipani |
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sabato 7 novembre 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
«Voglio una doooooooooonnaaaaaaaaaaaaaa», grida lo zio Teo (Ciccio Ingrassia) dalla cima di un albero. Sogno e disperazione, follia e comicità. Amarcord (Italia, 1973, 127'), in dialetto romagnolo «mi ricordo»: un viaggio surreale che ripropone la carrellata di ricordi di Fellini e della sua adolescenza nel Borgo (Rimini) negli anni ‘30, attraverso gli occhi del giovane Titta (Bruno Zanin). Un’adolescenza di desideri di evasione, ricerca della novità, sogni sessuali e voglia di “provare”. La vita della provincia soffoca e fa sognare contemporaneamente: si vorrebbe scappare, ma l’attaccamento è tanto. Proprio in questa comunità provinciale ognuno può ritrovare se stesso, può spolverare qualche ricordo del suo piccolo mondo: la Gradisca (Magali Noël, la bella del paese), la prosperosa tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), la “volpina”(Josiane Tanzilli) senza freni inibitori, il cieco di Cantarel (Domenico Pertica), i litigiosi genitori di Titta, il nonno (Giuseppe Lanigro) che non smette di mostrare la sua virilità, le burle scolastiche con i compagni, le ricorrenze paesane… E’ impossibile, chiudendo gli occhi, non condividere nemmeno un’immagine di queste mostrate da Fellini. Amarcord ci toglie il “timore” del ricordo; con la sceneggiatura di Tonino Guerra e le musiche di Nino Rota, c’è anche un pezzetto della nostra adolescenza che va in scena. In questa “normalità” Fellini inserisce di tanto in tanto l’elemento onirico che spezza la routine: il passaggio del transatlantico Rex, ad esempio, la cui attesa notturna porta un’intera cittadina in mare, soltanto per vederlo, per salutarlo, per poterlo “vivere” per un solo istante; il fugace passaggio della settima Millemiglia o il volo del pavone durante una battaglia a palle di neve. Il regista riesce a toccare la tragedia con comicità: racconta anche l’esperienza del sabato fascista o della purga con olio di ricino a cui è costretto Aurelio (Armando Brancia, padre di Titta). Fellini regala uno “spicchio” della sua vita in modo un po’ triste e un po’ visionario: sogno, disperazione, follia e comicità. Proprio come lo zio Teo.
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