catullo
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martedì 2 novembre 2010
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fellini fra i grandi del rinascimento
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Amarcord è un capolavoro assoluto nel senso che come “La strada” e “la dolce vita” è entrato nel sentire comune della gente travalicando gli steccati culturali che dividono i popoli diventando universale (ottoemezzo è più per specialisti) Non ha importanza se la cultura da dove nasce questa storia è radicata in un particolare contesto geografico…in questo caso riguarda la romagna e la caratteristica ironia fatalista e gioiosa della gente di questa regione …ma il linguaggio con cui Fellini racconta la storia è quello onirico e popolare…cioè un linguaggio appunto universale e quindi condiviso.
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Amarcord è un capolavoro assoluto nel senso che come “La strada” e “la dolce vita” è entrato nel sentire comune della gente travalicando gli steccati culturali che dividono i popoli diventando universale (ottoemezzo è più per specialisti) Non ha importanza se la cultura da dove nasce questa storia è radicata in un particolare contesto geografico…in questo caso riguarda la romagna e la caratteristica ironia fatalista e gioiosa della gente di questa regione …ma il linguaggio con cui Fellini racconta la storia è quello onirico e popolare…cioè un linguaggio appunto universale e quindi condiviso. Fellini si pone dopo questo ennesimo capolavoro tra i grandi geni italici accanto ai vari Michelangelo…Leonardo….Dante e Verdi tanto per fare qualche nome…perché i suoi film sono opere d'arte eterne…cioè che non moriranno mai.
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[+] a m’arcòrd. i ricordi dei sogni degli italiani
(di antonio montefalcone)
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paolo schipani
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sabato 7 novembre 2009
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sogno, disperazione, follia e comicità
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«Voglio una doooooooooonnaaaaaaaaaaaaaa», grida lo zio Teo (Ciccio Ingrassia) dalla cima di un albero. Sogno e disperazione, follia e comicità. Amarcord (Italia, 1973, 127'), in dialetto romagnolo «mi ricordo»: un viaggio surreale che ripropone la carrellata di ricordi di Fellini e della sua adolescenza nel Borgo (Rimini) negli anni ‘30, attraverso gli occhi del giovane Titta (Bruno Zanin). Un’adolescenza di desideri di evasione, ricerca della novità, sogni sessuali e voglia di “provare”. La vita della provincia soffoca e fa sognare contemporaneamente: si vorrebbe scappare, ma l’attaccamento è tanto.
Proprio in questa comunità provinciale ognuno può ritrovare se stesso, può spolverare qualche ricordo del suo piccolo mondo: la Gradisca (Magali Noël, la bella del paese), la prosperosa tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), la “volpina”(Josiane Tanzilli) senza freni inibitori, il cieco di Cantarel (Domenico Pertica), i litigiosi genitori di Titta, il nonno (Giuseppe Lanigro) che non smette di mostrare la sua virilità, le burle scolastiche con i compagni, le ricorrenze paesane… E’ impossibile, chiudendo gli occhi, non condividere nemmeno un’immagine di queste mostrate da Fellini.
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«Voglio una doooooooooonnaaaaaaaaaaaaaa», grida lo zio Teo (Ciccio Ingrassia) dalla cima di un albero. Sogno e disperazione, follia e comicità. Amarcord (Italia, 1973, 127'), in dialetto romagnolo «mi ricordo»: un viaggio surreale che ripropone la carrellata di ricordi di Fellini e della sua adolescenza nel Borgo (Rimini) negli anni ‘30, attraverso gli occhi del giovane Titta (Bruno Zanin). Un’adolescenza di desideri di evasione, ricerca della novità, sogni sessuali e voglia di “provare”. La vita della provincia soffoca e fa sognare contemporaneamente: si vorrebbe scappare, ma l’attaccamento è tanto.
Proprio in questa comunità provinciale ognuno può ritrovare se stesso, può spolverare qualche ricordo del suo piccolo mondo: la Gradisca (Magali Noël, la bella del paese), la prosperosa tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), la “volpina”(Josiane Tanzilli) senza freni inibitori, il cieco di Cantarel (Domenico Pertica), i litigiosi genitori di Titta, il nonno (Giuseppe Lanigro) che non smette di mostrare la sua virilità, le burle scolastiche con i compagni, le ricorrenze paesane… E’ impossibile, chiudendo gli occhi, non condividere nemmeno un’immagine di queste mostrate da Fellini. Amarcord ci toglie il “timore” del ricordo; con la sceneggiatura di Tonino Guerra e le musiche di Nino Rota, c’è anche un pezzetto della nostra adolescenza che va in scena.
In questa “normalità” Fellini inserisce di tanto in tanto l’elemento onirico che spezza la routine: il passaggio del transatlantico Rex, ad esempio, la cui attesa notturna porta un’intera cittadina in mare, soltanto per vederlo, per salutarlo, per poterlo “vivere” per un solo istante; il fugace passaggio della settima Millemiglia o il volo del pavone durante una battaglia a palle di neve.
Il regista riesce a toccare la tragedia con comicità: racconta anche l’esperienza del sabato fascista o della purga con olio di ricino a cui è costretto Aurelio (Armando Brancia, padre di Titta).
Fellini regala uno “spicchio” della sua vita in modo un po’ triste e un po’ visionario: sogno, disperazione, follia e comicità. Proprio come lo zio Teo.
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walterino
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frutto dell'immaginazione
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Ho uno splendido ricordo di questo film, in particolare per l'atmosfera onirica, visionaria, che trasmette allo spettatore ricordi ancestrali, le immagini di un'Italia di altri tempi alla quale non si può non guardare con un po' di nostalgia. Tutto in Amarcord è evanescente, accennato, gli episodi sono rarefatti e, sovrapponendosi, danno l'idea del fluire del tempo, della vita che scorre e cambia, e con lei i posti in cui viviamo e le abitudini che abbiamo. L'ho trovato divertente e commovente, bravi e popolari gli interpreti, da pelle d'oca la scenografia.
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mondolariano
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venerdì 10 giugno 2011
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geniale
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Esattamente vent'anni dopo “I vitelloni”, Fellini dipinge un altro affresco dell’Italia provinciale del ‘900. Più geniale ma anche più imperfetto, meno compatto all’interno di una trama volutamente oziosa, formata da un mosaico di situazioni che illustrano i ricordi personali di Fellini. Il collante è assicurato dalla forte connotazione poetica e dalle cadenze ridanciane della farsa, una curiosa miscela di “allegra mestizia” dove anche il Fascismo è visto con ironia attraverso gli occhi dei ragazzi. Il pezzo forte è l’apparizione onirica del “Rex”, voluta - a detta di Fellini - per ricordare una gloria italiana altrimenti dimenticata. Va da sé la celebre scena dell’albero e la splendida atmosfera della campagna romagnola lungo il mare.
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Esattamente vent'anni dopo “I vitelloni”, Fellini dipinge un altro affresco dell’Italia provinciale del ‘900. Più geniale ma anche più imperfetto, meno compatto all’interno di una trama volutamente oziosa, formata da un mosaico di situazioni che illustrano i ricordi personali di Fellini. Il collante è assicurato dalla forte connotazione poetica e dalle cadenze ridanciane della farsa, una curiosa miscela di “allegra mestizia” dove anche il Fascismo è visto con ironia attraverso gli occhi dei ragazzi. Il pezzo forte è l’apparizione onirica del “Rex”, voluta - a detta di Fellini - per ricordare una gloria italiana altrimenti dimenticata. Va da sé la celebre scena dell’albero e la splendida atmosfera della campagna romagnola lungo il mare. Esagerando l’elenco dei ricordi, però, si corre il rischio di allungare i tempi scadendo nella noia, ciò che nega al film le cinque stelle del capolavoro: la danza nella nebbia, la nevicata, la Mille Miglia, l’eccessivo ciondolare della gente senza rispondere ad un significato preciso. Anche la morte della madre suona male nel contesto generale. Ma si tratta delle zone grigie tipiche di qualsiasi genio, che pur nel suo egocentrismo contribuisce ad arricchire il panorama della storia dell’arte.
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luigi chierico
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mercoledì 16 ottobre 2013
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fermati e guarda indietro
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Un tempo, non molto lontano da oggi ma lontanissimo da noi, da queste generazioni, capitava in molte case di aprire delle scatole di cartone, talora di quelle scatole colorate per per savoiardi, piene di fotografie a ricordare il passato.
Attorno alla zia o alla nonna uno stuolo di nipoti d’ogni età. Si sentiva chiedere “ tu quale sei? ”, si apriva una gara, le foto passavano di mano in mano e trascorrevano le ore in letizia.
Federico Fellini doveva essere uno di quei fanciulli e ha voluto portare sul grande schermo, a disposizione del pubblico di ogni luogo,i ricordi dell’infanzia,di un’epoca travolta da tutte le scoperte del dopoguerra.
Invece della scatola di cartone si apre la scatola del televisore o del cellulare,per mostrare una foto alla volta che non si può toccare e portar via.
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Un tempo, non molto lontano da oggi ma lontanissimo da noi, da queste generazioni, capitava in molte case di aprire delle scatole di cartone, talora di quelle scatole colorate per per savoiardi, piene di fotografie a ricordare il passato.
Attorno alla zia o alla nonna uno stuolo di nipoti d’ogni età. Si sentiva chiedere “ tu quale sei? ”, si apriva una gara, le foto passavano di mano in mano e trascorrevano le ore in letizia.
Federico Fellini doveva essere uno di quei fanciulli e ha voluto portare sul grande schermo, a disposizione del pubblico di ogni luogo,i ricordi dell’infanzia,di un’epoca travolta da tutte le scoperte del dopoguerra.
Invece della scatola di cartone si apre la scatola del televisore o del cellulare,per mostrare una foto alla volta che non si può toccare e portar via.
Amarcord è un grande magnifico affresco della nostra bella Italia, della sua gente, del periodo che ha preceduto le atrocità della seconda guerra mondiale. Con essa sono finite le belle abitudini, la semplicità,il desiderio infantile di guardare l’opulenta tabaccaia,di scherzare per la strada,di far beffa di due zii un po’ matti e creduloni. Poi c’era sempre la ragazza più bella del paese che si pavoneggiava attraversando la strada principale del paese. Lo struscio, tutti si chiederanno cosa sia, ma non si può dire a parole quella sensazione di sottile piacere che offriva. Le feste del paese, la gente al mare con le ginocchia esposte al sole, con casti costumi che facevano gridare “scandalo”.
I carri agricoli lasciati accanto all’ingresso della casa dove, col contadino, entrava anche la bestia,il cavallo,il mulo, l’asino ed il cane, che aveva scortato il traino con la lanterna.
In molti paesi mancava l’acqua, la luce e la fogna. Per sopperire a tali mancanze c’erano una serie di attività che portavano gli addetti a passare per le strade. C’era il banditore con il suo corno o il piccolo tamburo ad annunciare, strillando, le disposizioni del signor sindaco.
Il grandissimo regista si è avvalso di una folla di attori noti e caratteristi per far rivivere un passato che non vuole sia dimenticato, Amarcord! Come dimenticarlo!
Ciascuno ha dato un notevole contributo ed ha reso lo spettacolo eccellente, non per nulla è stato premiato con l’Oscar come miglior film straniero. Le belle musiche e la bella fotografia fanno il resto.
Mi piace dire che i ricordi sono un patrimonio insopprimibile, non è da tutti serbarli sempre vivi ed accarezzarli con l’ala della poesia. La loro voce rompe il silenzio della nostra solitudine ed in essi troviamo rifugio. Costituiscono la nostra ricchezza personale insopprimibile, appartenendo solo ed esclusivamente a noi. Se su di loro abbiamo lasciato cadere tanto oblio, sollecitiamo il loro risveglio per il balsamo della nostra anima e per poterci presentare dinanzi a Lui memori di tutto quello che abbiamo fatto.
E se una lacrima solcherà il tuo viso non nasconderla; se il ricordo è struggente, lascia che essa brilli per mondare o pregare, se è come una nota romantica di violino, fa che ti commuova o ti rallegri: è una scintilla sgorgata dal tuo intimo, dal tuo cuore.
Chigi
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las181
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martedì 14 agosto 2007
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ho uno splendido ricordo di questo film
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Ho uno splendido ricordo di questo film, in particolare per l'atmosfera onirica, visionaria, che trasmette allo spettatore ricordi ancestrali, le immagini di un'Italia di altri tempi alla quale non si può non guardare con un po' di nostalgia. Tutto in Amarcord è evanescente, accennato, gli episodi sono rarefatti e, sovrapponendosi, danno l'idea del fluire del tempo, della vita che scorre e cambia, e con lei i posti in cui viviamo e le abitudini che abbiamo. L'ho trovato divertente e commovente, bravi e popolari gli interpreti, da pelle d'oca la scenografia.
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paolo 67
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venerdì 25 novembre 2011
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ritorno al borgo
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Il film che riportò Fellini al centro del dibattito internazionale e gli conquistò il quarto Oscar, girato nel più assoluto segreto in una Rimini tutta ricostruita a Cinecittà, è un viaggio nel paese dell'infanzia e dell'adolescenza di Federico, ambientato in un'Italia provinciale durante il fascismo, che il maestro riminese vedeva come il simbolo di una adolescenza protratta. Nato dall'esigenza di ricordare per uscire dai condizionamenti ancora presenti nell'anima italiana delle illusioni del passato, di una certa educazione, esprime sentimenti contrastanti, tra l'evidenza, sottolineata dalle situazioni cialtronesche e buffe, di una condizione ignorante e un po' folle e la nostalgia complice per un piccolo mondo antico perduto, in cui può essere dolce ritrovarsi e ritemprarsi.
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Il film che riportò Fellini al centro del dibattito internazionale e gli conquistò il quarto Oscar, girato nel più assoluto segreto in una Rimini tutta ricostruita a Cinecittà, è un viaggio nel paese dell'infanzia e dell'adolescenza di Federico, ambientato in un'Italia provinciale durante il fascismo, che il maestro riminese vedeva come il simbolo di una adolescenza protratta. Nato dall'esigenza di ricordare per uscire dai condizionamenti ancora presenti nell'anima italiana delle illusioni del passato, di una certa educazione, esprime sentimenti contrastanti, tra l'evidenza, sottolineata dalle situazioni cialtronesche e buffe, di una condizione ignorante e un po' folle e la nostalgia complice per un piccolo mondo antico perduto, in cui può essere dolce ritrovarsi e ritemprarsi. Scorrono in una galleria di episodi straordinariamente espressivi i fantasmi e i mostri dell'Italia anni '30, dai professori ai vitelloni, dai fascisti in divisa agli scolari maneschi, un avvocato pieno di retorica, una ninfomane, un venditore di bruscolini, straniti patrizi e figurine dell'epoca (come la Gradisca, che evoca le signorine del Boccasile, e sua sorella). La finzione esplicita rivelata da un'inquadratura delle onde del mare, dove si vede benissimo che è un telo di plastica (così come è evidente la ricostruzione nella scena del transatlantico Rex, che al pari di uno straordinario Ciccio Ingrassia su un albero possiede una grande pregnanza simbolica) è la genialissima sintesi che Fellini opera dell'estetico col politico, a dimostare nella mediocrità dell'imitazione la piattezza conformista di quegli anni. Il fascismo come esibizione, velleitario riscatto di frustrazioni e delusioni: senza che gli sia mai stata riconosciuta una specifica intelligenza politica, Fellini è più acuto nell'interpretare quell'epoca di tanti altri. Ma il significato più profondo del'opera, come al solito in questo autore, sta nei sentimenti di meraviglia e della morte. Forse da quell'adolescenza gli uomini, non soltanto italiani, non si libereranno mai, la provincia diventa un luogo metafisico, il giudizio, che in Fellini se vuole è lucidissimo, e amaro e disincantato, lascia il posto a una accettazione anche stoica di tutto e di tutti trasportati nel mito, trasfigurati, aiutato da Tonino Guerra, un poeta che ha illuminato un pezzo importante di cinema italiano, in un incanto poetico e fiabesco di fatti e personaggi in una luce che sembra universale. Forse è il film dove Fellini ha fuso meglio il diario intimo con quello storico che costituiscono i fondamenti strutturali della sua opera. Concepito in un momento felicissimo dell'ispirazione dell'autore, "Amarcord" nella sua coesione ha, vera summa felliniana, una straordinaria ricchezza di toni, dal burlesco allo struggente nel rappresentare la realtà comunque nella sua capacità di stupire e rapire. Come sempre Fellini è sconcertante nel dar corpo ai desideri, i sogni, le fantasie, specialmente per quanto riguarda la donna (come nell'episodio della tabaccaia, proiezione fantastica di un provinciale represso e mammone), così come è capace di restituire il calore umano, il senso di festa, come ne "La dolce vita", in "Otto e mezzo", in tutti i suoi film, caratterizzati da una serena e stoica accettazione della vita per come è, ancora una volta dolce anche nel ricordo, anche se di una realtà chiusa anche dalla sua rimozione nella quale Fellini ha avuto il merito in maniera così straordinaria, di farci riconoscere, per magari anche riflettere e diventare più adulti.
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tomdoniphon
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lunedì 30 giugno 2014
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quando il patetico diventa poesia
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L'adolescenza di Titta nella Rimini degli anni '30 (tutta ricostruita in studio): le Mille Miglia, il piroscafo Rex, l'olio di ricino e i gerarchi, lo zio matto, la tabaccaia più che maggiorata, la fatale Gradisca che finirà per sposare un carabiniere. Nel 1974 (data di uscita del film) Fellini era ormai una leggenda vivente; ed è in questo periodo che decide di tornare alle proprie origini. Se ne "I vitelloni" (realizzato vent'anni prima) era ancora evidente l'impronta del neorealismo, il Fellini di Amarcord è ormai autore in senso pieno, il cui cinema assume sempre di più la dimensione della memoria e dove la dimensione onirica ha preso definitivamente il sopravvento.
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L'adolescenza di Titta nella Rimini degli anni '30 (tutta ricostruita in studio): le Mille Miglia, il piroscafo Rex, l'olio di ricino e i gerarchi, lo zio matto, la tabaccaia più che maggiorata, la fatale Gradisca che finirà per sposare un carabiniere. Nel 1974 (data di uscita del film) Fellini era ormai una leggenda vivente; ed è in questo periodo che decide di tornare alle proprie origini. Se ne "I vitelloni" (realizzato vent'anni prima) era ancora evidente l'impronta del neorealismo, il Fellini di Amarcord è ormai autore in senso pieno, il cui cinema assume sempre di più la dimensione della memoria e dove la dimensione onirica ha preso definitivamente il sopravvento. In Fellini, infatti, non conta tanto la verità dei fatti, quanto piuttosto la fantasia del ricordo. Per il regista riminese era più vera la cosa inventata di quella reale (tanto che Fellini faceva fatica a distinguere l'una dall'altra). Non è un caso che la rappresentazione dell'italietta fascista risulta più impietosa di qualsiasi film "politico", riuscendo Amarcord a cogliere, dalla vita quotidiana, le peggiori bassezze del periodo. Ma l'aspetto che rende il film una delle vette del cinema italiano è la sua straordinaria capacità di trasformare il patetico in pura poesia e tenerezza. Così, tra le tante, vanno ricordate quattro sequenze memorabili: l'uscita da casa, in mezzo alla nebbia, del nonno prima e del nipote dopo; la visita allo zio matto (che si arrampica su un albero e grida: "Voglio una donnaaa!!!"); l'apparizione del pavone in mezzo alla neve; Titta e i suoi amici che ballano, in pieno inverno, di fronte al Grand Hotel chiuso per fine stagione, con in sottofondo l'indimenticabile musica di Nino Rota. Oscar come miglior film straniero.
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great steven
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venerdì 13 febbraio 2015
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fellini ci porta nel profondo del sogno popolare.
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AMARCORD (IT, 1973) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da BRUNO ZANIN, MAGALI NOEL, ARMANDO BRANCIA, PUPELLA MAGGIO, CICCO INGRASSIA, ALVARO VITALI, MARIA ANTONIETTA BELUZZI, LUIGI ROSSI, GIUSEPPE IANIGRO, GIANFILIPPO CARCANO, ARISTIDE CAPORALE, JOSIANE TANZILI, MARIO LIBERATE, NANDO ORFEI, ANTONINO FAA DI BRUNO
Amarcord è un intercalare del dialetto romagnolo (la lingua madre di Fellini) che significa, come è noto, “mi ricordo”, e non a caso il regista rievoca gli anni della sua infanzia, gli anni Trenta, in un paese che si affaccia sulla riviera romagnola. Un excursus fantastico, formidabile e completo dei miti, dei valori e del quotidiano che si respiravano a quel tempo: le parate fasciste che celebravano le ricorrenze della fondazione dell’Impero Romano, la scuola dove insegnava la maestra prosperosa che stuzzicava i primi pensieri sessuali, la prostituta sentimentale che si concedeva a tutti i clienti indistintamente, la visita dell’emiro arabo dalle cento mogli, lo zio matto ricoverato in manicomio che monta su un albero per gridare al mondo il suo bisogno d’affetto, le competizioni automobilistiche della Mille Miglia con le macchine colorate dalla carrozzeria aerodinamica, la tabaccaia dalle forme giunoniche, il capofamiglia antifascista che si fa riempire d’olio di ricino pur di non prendere la tessera del Fascio, tutti gli abitanti del paesello che di notte, in mare aperto, salutano il passaggio del transatlantico Rex.
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AMARCORD (IT, 1973) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da BRUNO ZANIN, MAGALI NOEL, ARMANDO BRANCIA, PUPELLA MAGGIO, CICCO INGRASSIA, ALVARO VITALI, MARIA ANTONIETTA BELUZZI, LUIGI ROSSI, GIUSEPPE IANIGRO, GIANFILIPPO CARCANO, ARISTIDE CAPORALE, JOSIANE TANZILI, MARIO LIBERATE, NANDO ORFEI, ANTONINO FAA DI BRUNO
Amarcord è un intercalare del dialetto romagnolo (la lingua madre di Fellini) che significa, come è noto, “mi ricordo”, e non a caso il regista rievoca gli anni della sua infanzia, gli anni Trenta, in un paese che si affaccia sulla riviera romagnola. Un excursus fantastico, formidabile e completo dei miti, dei valori e del quotidiano che si respiravano a quel tempo: le parate fasciste che celebravano le ricorrenze della fondazione dell’Impero Romano, la scuola dove insegnava la maestra prosperosa che stuzzicava i primi pensieri sessuali, la prostituta sentimentale che si concedeva a tutti i clienti indistintamente, la visita dell’emiro arabo dalle cento mogli, lo zio matto ricoverato in manicomio che monta su un albero per gridare al mondo il suo bisogno d’affetto, le competizioni automobilistiche della Mille Miglia con le macchine colorate dalla carrozzeria aerodinamica, la tabaccaia dalle forme giunoniche, il capofamiglia antifascista che si fa riempire d’olio di ricino pur di non prendere la tessera del Fascio, tutti gli abitanti del paesello che di notte, in mare aperto, salutano il passaggio del transatlantico Rex. Nel 1973 Fellini conquistò un meritatissimo Oscar per il migliore film straniero, e c’è da sottolineare come fosse capace, a cinquantatré anni suonati, di incantare praticamente con una materia elementare e quasi incorporea, confezionandola però con splendidi toni cromatici, fantasia debordante e sensazioni penetranti. Si giovò, per questo capolavoro popolare dai sapori agresti, dei collaboratori abituali, a partire dal compositore Nino Rota che si dimostrò costantemente importantissimo nell’economia del cinema felliniano. Per una volta, comunque, è doveroso evidenziare come la controparte di Fellini, o meglio il suo alter ego immancabile, non sia Mastroianni ma Titta (interpretato da B. Zanin, che non recita con la propria voce ma è doppiato da Piero Tiberi), lo sveglio ragazzo in età scolare che formula mentalmente desideri amorosi sulle donne procaci che osserva e che combina marachelle in compagnia degli amici. Due momenti di altissima poesia e di levatura grafica-plastica innegabile: la mucca che compare nella giornata di nebbia e che viene inizialmente scambiata per chissà quale creatura mostruosa, e il pavone che fa la ruota sotto la fitta nevicata di cui i bambini approfittano per giocare a palle di neve. Un ulteriore interpretazione a cui spetta un’obbligata lode è la performance di M. Noel, l’avvenente e furba Gradisca, donna matura in età da marito che alla fine riesce a contrarre un sontuoso e celebratissimo matrimonio, andando via dal paese nativo. Il suo abito rosso non verrà presto cancellato dall’immaginario collettivo cinematografico nostrano. Tra gli attori maschili, da notare A. Brancia nella parte del padre operaio che effettua volontariamente dei contrasti con i gerarchi fascisti per la sua opposizione convinta all’ideologia dominante, A. Vitali che raffigura il più pittoresco e maleducato fra i vivaci ragazzi della comunità e C. Ingrassia che con la sua solita verve controllata ma al contempo anche scatenata fa la parte dello zio infermo che esce dalla clinica per passare un pomeriggio con la famiglia. Insomma, il film mette in scena un tripudio di allegria, rimembranze nostalgiche, divertimento assicurato, ironia sottile e tagliente e malinconia per un’epoca ormai trascorsa che riesce tuttavia a rivivere finché c’è qualcuno che la rammenta. Con la correttezza espressiva e il gusto onirico che soltanto uno dei maestri del cinema italiano poteva imprimere ad un carosello indimenticabile di immagini audiovisive. Il film è anche una sorta di meta-racconto attraverso il quale non solo viene riportata alla luce la vita della città romagnola nell’era fascista, ma anche il lavoro dignitoso e ammirevole di un regista scomparso da ventidue anni che ha lasciato ai posteri un’eredità artistica senza precedenti, quasi tutta giocata sulle apparenze ingannevoli ma speciali del sogno.
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shiningeyes
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martedì 26 marzo 2013
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coloratissimo capolavoro di fellini
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“Amarcord” è un altro grandissimo capolavoro di Fellini, nel quale mette a colori la sua nota autobiografica di una Rimini paesaggistica ed originale, che ricalca i stilemi del borgo che somiglia a paese, tra matti, donne attempate ma piacenti, tabbaccaie dalle forme giunoniche che attizzano i ragazzini in piena fase ormonale, ninfomani, padri brontoloni e tipi fighi spericolati.
Il tutto avviene in una scenografia coloratissima, a tratti psichedelica, dove ogni scena rappresentata è una perla, ognuna meritevole di entrare nel bagaglio delle più belle scene mai viste in un film italiano.
Il film si prende anche il compito di raccontare un'Italia dominata dal fascismo e delle loro prepotenze, oltre che raccontare le azioni di un gruppo di ragazzi alla scoperta della sessualità e dello loro goliardate; il tutto raccontato con un velo di ironia e nostalgia, memore di un'epoca passata ed inghiottita dall'urbanizzazione e dalla uniformazione delle masse.
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“Amarcord” è un altro grandissimo capolavoro di Fellini, nel quale mette a colori la sua nota autobiografica di una Rimini paesaggistica ed originale, che ricalca i stilemi del borgo che somiglia a paese, tra matti, donne attempate ma piacenti, tabbaccaie dalle forme giunoniche che attizzano i ragazzini in piena fase ormonale, ninfomani, padri brontoloni e tipi fighi spericolati.
Il tutto avviene in una scenografia coloratissima, a tratti psichedelica, dove ogni scena rappresentata è una perla, ognuna meritevole di entrare nel bagaglio delle più belle scene mai viste in un film italiano.
Il film si prende anche il compito di raccontare un'Italia dominata dal fascismo e delle loro prepotenze, oltre che raccontare le azioni di un gruppo di ragazzi alla scoperta della sessualità e dello loro goliardate; il tutto raccontato con un velo di ironia e nostalgia, memore di un'epoca passata ed inghiottita dall'urbanizzazione e dalla uniformazione delle masse.
Quindi, “Amarcord” non è solo la biografia di Fellini, ma la biografia di chiunque abbia vissuto quell'epoca innocente e genuina, espressa in una poetica visiva di bellezza rara, che ha saputo ammaliare le platee di tutto il mondo, ed ha dato prova della grandezza del nostro cinema.
Il cast è proprio quello tipico felliniano, fatto da gente presa per strada, che risulta vera, che non recita, ma agisce con la naturalezza di un sempliciotto, in maniera di rendere più vero lo stile felliniano.
“Amarcord” è uno dei film di Fellini che ogni amante del cinema dovrebbe aver visto, che ti riempe di allegria e commozione, facendoti rimpiangere un posto alla quale te non hai niente al che fare.
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