Il colore delle parole

Ritratto polemico ma tutto sommato affettuoso dell’Italia a partire dagli anni ’70 fino ai nostri giorni da parte di quattro immigrati africani: Teodoro, mediatore culturale nonché poeta; Martin, informatico e musicista al tempo stesso; Steve, mediatore culturale e Justin sindacalista. Ripercorrendo vari avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi 30-35 anni di storia italiana, fra cui il delitto Moro, la legge Martelli, l’uccisione a Villa Literno di un sindacalista, Jerry Maslo, che come tanti altri immigrati, per mantenersi all’Università era solito impegnarsi nella raccolta estiva di pomodori e che per aver difeso se stesso e i suoi colleghi dai soprusi di chi li sfruttava aveva perso la vita nel 1989, si analizzano problemi quali l’immigrazione, il razzismo, la multicultura. Alle speranze della legge Turco-Napolitano fa seguito la disperazione della Bossi-Fini, ritenuta più una mossa propagandistica, ma che non affronta minimamente il problema degli immigrati. Il cruccio è che mai si sentiranno cittadini italiani a tutti gli effetti: prima venivano chiamati vu-cumprà, poi extracomunitari, un domani magari cittadini stranieri, ma sempre ci sarà qualcosa che li differenzierà dal resto degli italiani. Inoltre, la confusione della seconda generazione, la cosiddetta G2, che non riconosce chiaramente quelle che sono le loro radici. Il messaggio è di speranza, tuttavia, nessun sacrificio è considerato vano, come un seme che potrà dare i suoi frutti più avanti. Migrare non è reato. Questo il concetto cardine su cui ci si continuerà a battere. Un altro tema che spicca è la nostalgia, vista sotto una doppia luce. Nostalgia verso quell’Italia e quegli italiani che negli anni ’70 accolsero benevolmente i primi immigrati africani, anche improvvisando partite di calcio, cene, balli e feste tipiche e poi nostalgia del calore di Mamma Africa.