luigim
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venerdì 21 aprile 2006
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...soltanto un western?
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Inizialmente un film che Leone fu costretto a girare soltanto per adempiere ad un contratto, in quanto la casa produttrice (*) non aveva accettato la sceneggiatura di C'era una volta in America (che poi Leone perfezionò e modificò infinite volte fino a quando non riuscì a girarlo come lo voleva e l'aveva sempre desiderato). Poi, a lavoro ultimato, l'ennesimo capolavoro. Purtroppo devo ammettere di non essere del tutto imparziale, da fan sfegatato di questo genio del cinema italiano, leggermente sottovalutato rispetto agli onori che avrebbe meritato in vita e che meriterebbe tuttora dopo la morte. Ma Giù la testa completa un ciclo a dir poco perfettamente simmetrico e a 360° sull'epopea del West.
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Inizialmente un film che Leone fu costretto a girare soltanto per adempiere ad un contratto, in quanto la casa produttrice (*) non aveva accettato la sceneggiatura di C'era una volta in America (che poi Leone perfezionò e modificò infinite volte fino a quando non riuscì a girarlo come lo voleva e l'aveva sempre desiderato). Poi, a lavoro ultimato, l'ennesimo capolavoro. Purtroppo devo ammettere di non essere del tutto imparziale, da fan sfegatato di questo genio del cinema italiano, leggermente sottovalutato rispetto agli onori che avrebbe meritato in vita e che meriterebbe tuttora dopo la morte. Ma Giù la testa completa un ciclo a dir poco perfettamente simmetrico e a 360° sull'epopea del West. Infatti, Sergio Leone, in soli cinque film (molti di meno rispetto a quanti ne ha girati John Ford, considerato il maestro in questo genere), ha trattato tutti gli argomenti e i topoi ricorrenti del genere western (considerando che le guerre contro gli indiani non appartengono all'epopea del Far West): il cacciatore di taglie, il desiderio di vendetta implacabile a distanza di anni, la guerra di Secessione, la caccia al tesoro, i duelli all'ultimo sangue, la rivoluzione dei campesinos, la costruzione della ferrovia come metafora del progresso e quindi della fine dell'epopea stessa. Molto più maturo (ma non per questo più riuscito) delle opere precedenti, Giù la testa è infarcito di un'ideologia politica testimoniata chiaramente dall'aforisma di Mao con cui si apre il film. Inoltre è anche il percorso d'iniziazione di un bandito ignorante ma molto furbo (da antologia il discorso sugli "uomini che leggono i libri" che decidono che le cose devono cambiare e coloro che ci vanno a perdere e poi non avvertono il cambiamento quando c'è sono gli "uomini che non sanno leggere"). Poi, che Ennio Morricone sia un maestro di colonne sonore (come si fa a non premiare tutti i suoi film con l'Oscar!?) già lo sapevamo, ma questo è uno dei rari casi in cui supera veramente se stesso: soltanto lui riesce a dare ai continui flash-back di Sean/John l'intensità che richiedono. Rod Steiger ricorda molto l'Eli Wallach de Il buono, il brutto, il cattivo e non riusciremmo a immaginare nessun'altro nel ruolo di Juan, mentre più che James Coburn (che riprende quella tenebrosa inespressività che tanto piaceva a Sergio Leone e che già era stata appannaggio di Clint Eastwood e Charles Bronson) bisogna elogiare Romolo Valli, perfetto nei panni del dottor Villega, uomo dai forti ideali ma dalla morale non tanto pulita. Insomma, un capolavoro.
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andrea b
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domenica 21 novembre 2010
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giù la testa
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Un irlandese esperto di esplosivi si unisce ad un rozzo bandito per rapinare una banca ma si troveranno a combattere con i rivoltosi di Villa e Zapata.Una pregevole colonna sonora del grande Ennio Morricone aiuta e non poco lo sviluppo di una trama che non ha nulla di banale.All' inizio questo western sembra quasi ironico nella sua parte iniziale ma,soprattutto nella seconda,tocca i temi più scottanti dell' epoca e allo stesso tempo dei giorni nostri.Si susseguono grandi scene di storia cinematografica con una recitazione ottima da parte di James Coburn che dimostra di essere uno dei migliori attori di questo genere.Il finale ci lascia con una grande malinconia.Meritato il David di Donatello.
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tomas
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giovedì 12 marzo 2009
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un motivo per amare il cinema
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Questo film è davvero un capolavoro, è eccezionale, i personaggi sono così diversi ma irrimediabilmete uguali, in quanto Leone vuole sottolineare proprio l oggettività del bene e del male umano.Per me questo capolavoro cinematografico vuole anche scardinare le tematiche del semplice western ,ove i personaggi sono spesso fini a se stessi, qui invece anke un semplice brigante sbeffeggiato volutamente anke da Leone all inizio si rende protagonista di una rivoluzione fatta nn più da politci e da gente "erudita" ma semplicemente da UOMINI,insomma i personaggi non vivono in fase di stallo , ogni personaggio all interno del film vive una sua emancipazione. La colonna sonora poi è un capolavoro ke suscita allo spettatore emozioni nn indifferenti.
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Questo film è davvero un capolavoro, è eccezionale, i personaggi sono così diversi ma irrimediabilmete uguali, in quanto Leone vuole sottolineare proprio l oggettività del bene e del male umano.Per me questo capolavoro cinematografico vuole anche scardinare le tematiche del semplice western ,ove i personaggi sono spesso fini a se stessi, qui invece anke un semplice brigante sbeffeggiato volutamente anke da Leone all inizio si rende protagonista di una rivoluzione fatta nn più da politci e da gente "erudita" ma semplicemente da UOMINI,insomma i personaggi non vivono in fase di stallo , ogni personaggio all interno del film vive una sua emancipazione. La colonna sonora poi è un capolavoro ke suscita allo spettatore emozioni nn indifferenti.
UN FILM DA nn perdere
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cineofilo92
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venerdì 25 agosto 2006
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giù la testa, c******e.
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Giù la testa, oltre ad essere la prova generale di Leone prima del capolavoro C'era una volta in America, è anche un wester piuttosto moderno, riferendoci al periodo storico. Ambientato in messocp durante la rivoluzione, dove già esistevano mitragliatrici, camion, motociclette e composti esplosivi liquidi, emerge una storia che attacca facilmente, diverte e commuove, la fotografia nitida e i pochi effetti speciali (intesi come esplosioni di treni e carrozze) sono puramente artigianali. Come sempre la bizzarra musica di Morriconr contorna lo spettacolo. E poi c'è da notare qualche riferimento alla seconda guerra mondiale e alla fuga del Duce. E poi, quella bizzara carrozza a inizio film, fuori spoglia e dentro vittoriana e spaziosa? Cose da Sergio Leone.
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Giù la testa, oltre ad essere la prova generale di Leone prima del capolavoro C'era una volta in America, è anche un wester piuttosto moderno, riferendoci al periodo storico. Ambientato in messocp durante la rivoluzione, dove già esistevano mitragliatrici, camion, motociclette e composti esplosivi liquidi, emerge una storia che attacca facilmente, diverte e commuove, la fotografia nitida e i pochi effetti speciali (intesi come esplosioni di treni e carrozze) sono puramente artigianali. Come sempre la bizzarra musica di Morriconr contorna lo spettacolo. E poi c'è da notare qualche riferimento alla seconda guerra mondiale e alla fuga del Duce. E poi, quella bizzara carrozza a inizio film, fuori spoglia e dentro vittoriana e spaziosa? Cose da Sergio Leone.
Splendido
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nathan
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sabato 17 febbraio 2007
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una grande storia d'amore e di morte
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Questo film secondo me segna il passaggio tra il primo Leone,quello iventivo,barocco,ironico,della trilogia del dollaro,e il secondo Leone,quello riflessivo,malinconico,di C'era una volta in America (ed è un peccato che Leone sia morto prima delle riprese del film sull'assedio di Stalingrado...).Questo film è diviso chiaramente in due parti che rispecchiano la summenzionata divisione.Si passa dalle scaramuccie e i litigi alle fucilazioni di massa,dove emerge l'antimilitarismo del regista.Personalmente io preferisco il primo Leone,quello della trilogia,ma tuttavia ritengo Giù la testa di gran lunga superiore a C'era una volta in America.Le due anime di Leone si trovano qui in un connubio che viene sempre mantenuto in un difficile equilibrio,la struttura a flash back qui è inarrivabile,la colonna sonora struggente.
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Questo film secondo me segna il passaggio tra il primo Leone,quello iventivo,barocco,ironico,della trilogia del dollaro,e il secondo Leone,quello riflessivo,malinconico,di C'era una volta in America (ed è un peccato che Leone sia morto prima delle riprese del film sull'assedio di Stalingrado...).Questo film è diviso chiaramente in due parti che rispecchiano la summenzionata divisione.Si passa dalle scaramuccie e i litigi alle fucilazioni di massa,dove emerge l'antimilitarismo del regista.Personalmente io preferisco il primo Leone,quello della trilogia,ma tuttavia ritengo Giù la testa di gran lunga superiore a C'era una volta in America.Le due anime di Leone si trovano qui in un connubio che viene sempre mantenuto in un difficile equilibrio,la struttura a flash back qui è inarrivabile,la colonna sonora struggente.Ed è bellissima l'evoluzione psicologica dei due personaggi:Juan Miranda da chiassoso ladruncolo a vendicatore triste,Sean da professionista della rivoluzione a disilluso alcolizzato.La trama mostra come il destino di un uomo possa essere influenzato dagli eventi,in Juan Miranda la coscienza di classe all'inizio del film è nascosta,successivamente diventa un eroe per caso e un rivoluzionario per necessità (la necessità di vendicare i suoi figli).Sean invece rappresenta il destino,che coinvolge Juan nella storia;il destino disilluso protagonista della trilogia del dollaro,lo stesso destino che si accompagna alla bellissima storia d'amore e morte che viene rievocata dai flash back.Infine appare per Juan la scritta Giù la testa,il destino della rivoluzione è segnato,il povero è destinato a perdere.
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gianni lucini
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giovedì 15 settembre 2011
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il western più politico di leone
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Giù la testa è considerato il western di maggior impegno politico diretto da Sergio Leone in tutta la sua carriera. La citazione di Mao, le letture di Bakunin da parte di Sean, l’impianto narrativo, i dialoghi, tutto concorre a farne una sorta di riflessione sul Sessantotto, i suoi miti e i rischi insiti in ogni ideologia. In realtà, però, non è in assoluto la più forte e schierata pellicola politica del regista. Sergio Leone infatti, l’anno prima dell’uscita nelle sale di Giù la testa, firma con Tinto Brass, Cesare Zavattini, Luigi Magni, Ugo Pirro, Mario Monicelli, Valerio Zurlini, Nelo Risi, Luchino Visconti, Elio Petri e Nanni Loy il lungometraggio 12 dicembre, un documentario di controinformazione sulla Strage di Piazza Fontana.
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Giù la testa è considerato il western di maggior impegno politico diretto da Sergio Leone in tutta la sua carriera. La citazione di Mao, le letture di Bakunin da parte di Sean, l’impianto narrativo, i dialoghi, tutto concorre a farne una sorta di riflessione sul Sessantotto, i suoi miti e i rischi insiti in ogni ideologia. In realtà, però, non è in assoluto la più forte e schierata pellicola politica del regista. Sergio Leone infatti, l’anno prima dell’uscita nelle sale di Giù la testa, firma con Tinto Brass, Cesare Zavattini, Luigi Magni, Ugo Pirro, Mario Monicelli, Valerio Zurlini, Nelo Risi, Luchino Visconti, Elio Petri e Nanni Loy il lungometraggio 12 dicembre, un documentario di controinformazione sulla Strage di Piazza Fontana.
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filippo catani
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sabato 10 agosto 2013
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il western e le rivoluzioni
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Durante la sollevazione messicana guidata da Zapata e Pancho Villa un bandito fa la conoscenza con un ex militante dell'IRA esperto di esplosivi. Il capobanda, intuite le possibilità della dinamite, propone all'irlandese di svuotare la banca di Mesa Verde. I due però si ritroveranno nel pieno della rivoluzione.
Per capire il genere di film al quale si sta andando incontro non occorre aspettare molto; nemmeno il tempo di partire che la pellicola ci consegna il pensiero di Mao sulla rivoluzione che non essendo un pranzo di gala o una festa letteraria si connota per essere un atto violento. La rivoluzione è sicuramente il tema guida del film ma è sviluppato in maniera ora ironica e leggera ora più intensa quando entrano in scena i due protagonisti.
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Durante la sollevazione messicana guidata da Zapata e Pancho Villa un bandito fa la conoscenza con un ex militante dell'IRA esperto di esplosivi. Il capobanda, intuite le possibilità della dinamite, propone all'irlandese di svuotare la banca di Mesa Verde. I due però si ritroveranno nel pieno della rivoluzione.
Per capire il genere di film al quale si sta andando incontro non occorre aspettare molto; nemmeno il tempo di partire che la pellicola ci consegna il pensiero di Mao sulla rivoluzione che non essendo un pranzo di gala o una festa letteraria si connota per essere un atto violento. La rivoluzione è sicuramente il tema guida del film ma è sviluppato in maniera ora ironica e leggera ora più intensa quando entrano in scena i due protagonisti. Il bandito messicano vive con la famiglia e la sua banda di piccoli colpi e assalti alle diligenze (splendida la scena iniziale dove ci viene mostrata la spocchiosità dei più ricchi e di certi alti prelati nei confronti dei più poveri e dei rivoluzionari). L'irlandese è un uomo ben più tormentato: fedele alle sue idee rivoluzionarie non ha esitato ad andare fino in fondo in Irlanda anche quando si è trattato di toccare i propri affetti personali. Ed è particolarmente azzeccato e struggente il parallelo tra i momenti di spensieratezza del giovanissimo Sean che lasciano spazio ai momenti ben più duri della militanza armata. Sicuramente il punto più forte del film è la discussione tra i due sulla rivoluzione quando il furente messicano esprime tutta la sua delusione per un atto orchestrato da chi ha letto libri per cercare di invogliare la povera gente ma che finisce con i rivoluzionari che si siedono a mangiare insieme agli avversari e per la povera gente non cambia nulla (con il significativo gesto del libro di Bakunin scagliato via da Sean). Un messaggio ancora di grandissima attualità. Insomma tra i due si instaura una particolare sorta di amicizia che è un altro dei temi del film insieme a quello della lealtà alla causa rivoluzionaria. I protagonisti sono semplicemente formidabili, la regia, la sceneggiatura e le scenografie sono splendide e la colonna sonora è qualcosa di unico con il suo indimenticabile Sean Sean che ci accompagna lungo l'intero corso della storia. Insomma un film da guardare e riguardare più volte.
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gianni lucini
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giovedì 15 settembre 2011
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antieroi nella rivoluzione
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«La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una cena letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza». La frase di Mao appare sullo schermo nero prima dell’inizio della storia e fornisce allo spettatore una guida preziosa per interpretare l’incontro con gli eventi. E quando inizia la storia con Juan Miranda sbeffeggiato dai rappresentanti delle classi dominanti che lo credono un innocuo e miserabile peone, si capisce al volo che il regista sta dalla parte della rivoluzione, anche se non rinuncia a guardarla con l’occhio critico dei suoi antieroi.
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«La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una cena letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza». La frase di Mao appare sullo schermo nero prima dell’inizio della storia e fornisce allo spettatore una guida preziosa per interpretare l’incontro con gli eventi. E quando inizia la storia con Juan Miranda sbeffeggiato dai rappresentanti delle classi dominanti che lo credono un innocuo e miserabile peone, si capisce al volo che il regista sta dalla parte della rivoluzione, anche se non rinuncia a guardarla con l’occhio critico dei suoi antieroi. Come accade al Biondo e a Tuco in Il buono, il brutto, il cattivo, Sean e Juan attraversano la storia o, meglio la incontrano e la vivono indipendentemente da quelle che erano le loro intenzioni. Tra le due coppie c’è però una differenza. Se il Biondo e Tuco mantengono un distacco assoluto e non si fanno mai coinvolgere, neppure per un momento, dalle vicende della Guerra di Secessione, Sean e Juan finiscono per partecipare coscientemente alla rivoluzione pur vedendone i limiti e le contraddizioni. Hanno mille ragioni per tenersene distanti e sono entrambi pessimisti sulla possibilità che serva davvero a cambiare lo stato delle cose. Sean diffida della rivoluzione perché porta sul cuore il peso di un doloroso tradimento mentre Juan è convinto che le rivoluzioni nascono per iniziativa di “quelli che leggono i libri”, servano solo a loro e quando terminano“tutto torna come prima”. Eppure quando la loro vita incrocia gli eventi della storia non si tirano indietro. A modo loro Scelgono di stare dalla parte di chi si ribella al potere, pronti anche a giocarsi la vita nonostante la convinzione dell’inutilità dei loro sforzi. Non a caso Sergio Leone confessa di aver pensato di chiudere il film con un’altra citazione di Mao: «Appena finita una rivoluzione, se ne dovrebbe incominciare subito un’altra».
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gianni lucini
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giovedì 15 settembre 2011
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l’ultimo western diretto da sergio leone
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All’inizio degli anni Settanta, dopo C’era una volta il West, Sergio Leone ha deciso di chiudere con il genere western e sta lavorando al progetto di C’era una volta in America. In quel periodo lavora anche a Giù la testa, ma nelle sue intenzioni è poco più di un soggetto destinato ad altri, primi tra tutti il suo assistente Giancarlo Santi o lo statunitense d’origini russe Peter Bogdanovich, preferito dai distributori d’oltreoceano. La situazione comincia a modificarsi quando nessun produttore sembra intenzionato a investire su C’era una volta in America e Sergio Leone comincia a farsi tentare dall’idea di mettersi in gioco direttamente.
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All’inizio degli anni Settanta, dopo C’era una volta il West, Sergio Leone ha deciso di chiudere con il genere western e sta lavorando al progetto di C’era una volta in America. In quel periodo lavora anche a Giù la testa, ma nelle sue intenzioni è poco più di un soggetto destinato ad altri, primi tra tutti il suo assistente Giancarlo Santi o lo statunitense d’origini russe Peter Bogdanovich, preferito dai distributori d’oltreoceano. La situazione comincia a modificarsi quando nessun produttore sembra intenzionato a investire su C’era una volta in America e Sergio Leone comincia a farsi tentare dall’idea di mettersi in gioco direttamente. A convincerlo definitivamente arriva la richiesta esplicita dei due protagonisti Rod Steiger e James Coburn. Sono disposti a partecipare al film soltanto se alla regia c’è il maestro. Leone decide di dirigerlo in prima persona e lo fa con la solita passione. Ne esce un lavoro impegnativo, come sempre molto curato, che mescola l’epicità di C’era una volta il west con l’ironia che caratterizza i protagonisti dei film della “Trilogia del dollaro”.
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m.raffaele92
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sabato 2 novembre 2013
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capolavoro di leone: un film elegiaco
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A lungo erroneamente considerato un Leone minore, questo film non ha invece nulla da invidiare ai grandi capolavori del regista nostrano.
Un’opera monumentale, ma soprattutto un film fortemente politico (come dimostra fin da subito la citazione di Mao Tse-tung all’inizio), che in questo si differenzia in parte dai precedenti western di Leone.
Già nei primi 15/20 minuti assistiamo a una sequenza geniale, che mostra attraverso primissimi piani di bocche e occhi le differenze sociali e culturali tra i peones rivoluzionari e i ricchi.
Nell’assenza di tempi morti o di una qualsiasi caduta di ritmo, e grazie invece alla presenza di più di un tocco di ironia, trascorrono due ore e mezza dove il regista sviluppa in maniera magistrale svariati temi importanti quali l’amicizia, nonché l’oppressione di un popolo afflitto e dilaniato da una situazione politica fatta di inganni (le false promesse del governatore Jaime “mostrate” attraverso i manifesti affissi sulle mura delle piazze) e crudeltà.
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A lungo erroneamente considerato un Leone minore, questo film non ha invece nulla da invidiare ai grandi capolavori del regista nostrano.
Un’opera monumentale, ma soprattutto un film fortemente politico (come dimostra fin da subito la citazione di Mao Tse-tung all’inizio), che in questo si differenzia in parte dai precedenti western di Leone.
Già nei primi 15/20 minuti assistiamo a una sequenza geniale, che mostra attraverso primissimi piani di bocche e occhi le differenze sociali e culturali tra i peones rivoluzionari e i ricchi.
Nell’assenza di tempi morti o di una qualsiasi caduta di ritmo, e grazie invece alla presenza di più di un tocco di ironia, trascorrono due ore e mezza dove il regista sviluppa in maniera magistrale svariati temi importanti quali l’amicizia, nonché l’oppressione di un popolo afflitto e dilaniato da una situazione politica fatta di inganni (le false promesse del governatore Jaime “mostrate” attraverso i manifesti affissi sulle mura delle piazze) e crudeltà.
Il film è superlativo soprattutto nel modo in cui ci mostra come le guerre e le varie tensioni politiche possano portare le persone (gli amici) a tradirsi.
Questo mutamento della coscienza è un processo che “appartiene” (sembra dirci Leone) a tutte le guerre, poiché infatti nel film si ripete col passare del tempo. Ciò si rispecchia nei flashback che ci mostrano il passato di James Coburn (che viene tradito dall’amico torturato) che si ripete nel presente (rivoluzione messicana dei primi del ‘900), quando Romolo Valli (sempre dopo essere stato torturato) è “costretto” a tradire i suoi compagni facendoli in questo modo fucilare. Durante la scena che mostra questa fucilazione, il regista compie una sorta di (chiamiamolo così) miracolo di montaggio, poiché associa frammenti del flashback di Mallory (in particolare la scena in cui si gira e spara all’amico nel bar) con la fucilazione in atto, elevando così la reiterazione degli eventi ad uno stato elegiaco.
Le scelte (e gli errori) del passato si ripeteranno nel presente. I giorni felici sono ormai andati (questo ce lo comunica, non senza un tocco di forzata commozione, la scena finale dell’ultimo flashback di Coburn prima di morire).
Il fatto poi che Rod Steiger diventi il leader della rivoluzione a causa di un comico equivoco, ci mostra come in un periodo bellico-rivoluzionario siano così fragili i confini tra chi detiene l’autorità di decidere e cambiare il corso degli eventi e chi no.
Questi bruschi cambiamenti causati dalla/e situazione/i politica/che si rispecchiano anche nel’idea della banca Mesa Verde, prima piena d’oro e poi durante la guerra civile diventata una prigione politica.
Il finale, triste e amaro come di rado si è capitato di vedere, getta infine uno sguardo angosciante e incerto sul futuro.
Questa emozionante e trascinante epopea è accompagnata da una delle migliori tracce di Ennio Morricone. Il tema portante del film composto dal maestro accompagna i flashback (e non solo) del (co)protagonista, elevandoli ad uno stato quasi onirico e conferendovi un carattere nostalgico che tocca cuore e spirito.
In definitiva, un film immancabile, ultimo atto di un regista che, dopo John Ford, ha dato al genere western il più grande contributo di tutti i tempi e che di lì a qualche anno si sarebbe spostato su tutt’altro piano (“C’era una volta in America”, 1984).
Un opera memore dei tempi d’oro di un cinema che ora non c’è più.
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