darkglobe
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mercoledì 6 luglio 2022
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specchio di ansie, malumori e dubbi esistenziali
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Synecdoche, New York, va detto con sincerità, è un film deprimente, uno specchio di ansie, malumori e dubbi esistenziali riversati in pellicola e scaraventati con poco riguardo in faccia al pubblico. Film, come noto, destinato forse a cadere nell’oblio, almeno qui in Italia, ma recuperato dalla BIM a seguito della morte di Hoffman. Si tratta del primo lavoro come regista di Charlie Kaufman, fino a quel momento già ampiamente noto per aver realizzato gli script di Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa e Se mi lasci ti cancello.
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Synecdoche, New York, va detto con sincerità, è un film deprimente, uno specchio di ansie, malumori e dubbi esistenziali riversati in pellicola e scaraventati con poco riguardo in faccia al pubblico. Film, come noto, destinato forse a cadere nell’oblio, almeno qui in Italia, ma recuperato dalla BIM a seguito della morte di Hoffman. Si tratta del primo lavoro come regista di Charlie Kaufman, fino a quel momento già ampiamente noto per aver realizzato gli script di Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa e Se mi lasci ti cancello.
Il livello di complessità di Synecdoche, New York è assai elevato e richiederebbe non meno di un paio di visioni, perché eventi e personaggi si accatastano, il tempo degli accadimenti si dilata e si restringe e la confusione regna sovrana. Sintomatico che durante la lavorazione un addetto alla scenografia si occupò di disegnare una mappa dei luoghi per contestualizzare correttamente i personaggi e facilitare la vita agli attori.
Il film è la storia di Caden Cotard (Philip Seymour Hoffman), regista teatrale di un certo successo, che vive in una piccola e caotica casa, sposato con Adele (Catherine Keener), pittrice di minute, e padre di una bambina. Cotard viene lasciato dalla moglie, che lo tradisce con Maria (Jennifer Jason Leigh), la quale diventerà perfino amante della figlia. Quando il regista riceve inaspettatamente un consistente premio in soldi, decide di investirlo in una mastodontica opera teatrale sulla propria vita, anche per dimostrare alla ex moglie di non far solo lavori dal successo sicuro. La scrittura dell’opera si allunga negli anni ed il set teatrale si espande all’interno di un vecchio capannone riproducendo via via interi quartieri della città. In questo gigantismo scenografico in crescita continua, Cotard si dibatte tra amori femminili, realizzazione affannosa dell’opera teatrale e progressiva degenerazione fisica.
Caden Cotard è un ipocondriaco: inghiottisce pillole come caramelle ed il suo stato di degrado mentale, che diviene anche fisico, procede inesorabilmente negli anni, nel classico rapporto di scarsa empatia con i medici. Personaggio assai problematico, a pelle quasi respingente nel suo modo di affrontare la vita, pare un misto tra le depressioni e le incertezze nei rapporti con l’altro sesso alla Woody Allen e lo stile impacciato e bofonchiante alla Jack Lemmon.
Quello che si può dire con una qualche sicurezza è che il film è un lungo e duraturo incubo, nel quale si accavallano a ritmi ossessivi una moltitudine di episodi (fallimentari) di vita personale, in pieno delirio onirico. La folle sequenza dei fatti lo dimostra in maniera inequivocabile, già dall’incipit con le incongruenze tra le date annunciate alla radio e quelle sul giornale; quando Cotard si lamenta della figlia di soli 4 anni (ma ne ha in realtà già 11); o quando il diario della figlia dimenticato sotto un cuscino si espande tematicamente in maniera autonoma, anche come grafia, continuando ad offrire sempre nuovi spunti riflessivi della ragazza. Detto delirio raggiunge il suo culmine nella fase in cui Cotard viene affiancato, nella ricostruzione teatrale della sua vita, da Sammy Barntham (Tom Noonan), un imitatore che lo ha studiato ossessivamente e a fondo per 20 anni e che diviene così onnipresente nella vita del regista da richiedere per la pièce l’ingaggio di un imitatore dello stesso imitatore; aspetto quest’ultimo che smaschera un ingestibile avviluppamento dei fatti su se stessi, a dimostrare che il progetto artistico nato dalla riproduzione via via più fedele della vita di un individuo sia in fondo irrealizzabile.
I rapporti di Cotard con l’altro sesso afferiscono anch’essi alla sfera del depressivo e dei sensi di colpa: la moglie, apatica ed insofferente, lo tradisce con una donna e per lunga parte del film la sua fuga in Germania pare rappresentare un vuoto psicologico all'apparenza non colmabile - ma traspare una questione di orgoglio personale -; la figlia – il simbolo del dolore del distacco genitoriale - diventa ipertatuata e lesbica ( Hoffman lo tratta appunto come incubo paterno), esibendosi come spogliarellista e nutrendo rancore per il padre per fatti sessuali inesistenti, inculcati dalla perfida amante tedesca; l’amore di Cotard per la focosa segretaria Hazel ( Samantha Morton) - forse la sua donna ideale pur se incolta (razzismo culturale) e un po’ stramba (si pensi all’acquisto di una casa in fiamme) - pare giunga alla concretezza solo in vecchiaia, con una morte di quest’ultima che vorrebbe strappare un sorriso ma risulta penosamente ridicola; la seconda moglie Claire ( Michelle Williams) è una donna bella ma priva totalmente di personalità – i migliori attori rappresentano gli altri, non se stessi -, capace però anche lei, pur nella sua inconsistenza, di piantare Cotard; l’immancabile psicoterapeuta Madeline Gravis ( Hope Davis) – la donna in carriera piena di sé e tentatrice - pare più una macchietta stereotipata che un personaggio in grado di suscitare interesse, se non fisico; infine l’attrice Tammy ( Emily Watson) – la donna buona solo per una scopata – è insensibile perfino di fronte allo spettacolo del sangue della madre di Cotard.
Tralascio per pietà la questione delle manie sulla pulizia, che iniziano con uno spazzolino per la rimozione delle incrostazioni casalinghe e passano negli anni alla pulizia della casa della ex moglie. Per carità, tutto correlato psicologicamente allo stato mentale di Cotard, ma tutto anche piuttosto degradante.
Su questo mesto miscuglio di vicende ed obiettivi falliti, il tempo, pur nelle sue assurde asincronie dei fatti, scorre inesorabile conducendo Cotard alla morte, dopo aver seminato, lui malato, morti ovunque dietro di sé, inducendo lo spettatore a detestare il tempo sprecato per la visione del film.
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fabrizio giovanardi
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sabato 14 novembre 2020
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splendido viaggio nella psiche umana
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Il film di Kaufman rappresenta un viaggio nella psiche e nella vita di Caden, regista teatrale tormentato dal timore della morte e con una difficile situazione familiare sul groppo. Si tratta sicuramente di una pellicola complessa, quasi inafferrabile, che però nella sua cripticità rende grandiosamente l'effetto metaforico dell'indagine mentale e psicologica di un personaggio complicato come Caden. L'impossibilità di conoscere realmente una persona in tutti i suoi aspetti, fatto evidenziato dall'estrema scelta del personaggio di Sammy verso la fine del film, mi rimanda in qualche modo a un'analogia, sebbene ridimensionata, con Charles Foster Kane, protagonista di Quarto Potere di Welles.
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Il film di Kaufman rappresenta un viaggio nella psiche e nella vita di Caden, regista teatrale tormentato dal timore della morte e con una difficile situazione familiare sul groppo. Si tratta sicuramente di una pellicola complessa, quasi inafferrabile, che però nella sua cripticità rende grandiosamente l'effetto metaforico dell'indagine mentale e psicologica di un personaggio complicato come Caden. L'impossibilità di conoscere realmente una persona in tutti i suoi aspetti, fatto evidenziato dall'estrema scelta del personaggio di Sammy verso la fine del film, mi rimanda in qualche modo a un'analogia, sebbene ridimensionata, con Charles Foster Kane, protagonista di Quarto Potere di Welles. I personaggi sono entrambi complessi, articolati, difficili, e se in Quarto Potere Welles ci mostrava la difficoltà di indagine attraverso gli articolati movimenti di macchina costantemente ostacolati da elementi fisici sullo schermo, Kaufman decide di rendere l'impossibilità di indagine attraverso un montaggio frenetico, non lineare, quasi anti-narrativo e anarchico. Nel complesso il film è splendido, una delicata indagine sulla psiche umana che, allo stesso tempo, ci racconta molto sulla nostra specie, sui nostri comportamenti e sulle nostre ipocrisie e contraddizioni. Aggiungiamo che il protagonista è interpretato da un Maestoso Philip Seymour Hoffman, che regala a mio parere una delle migliori interpretazioni della sua carriera, e possiamo dire che questo film vada assolutamente recuperato e rivisto.
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criticacritici
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martedì 10 settembre 2019
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la malattia della vita
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Siamo tutti condannati a morte dalla nascita.
Charlie Kaufman/Caden Cotard rappresenta l'essere umano in genere, da un lato terrorizzato dal decadimento fisico innarrestabile che il tempo gli infligge inesorabilmente e che lo porterà alla morte, dall'altro proiettato nel futuro della sua opera omnia, per lasciare un segno, per essere ricordato ai posteri.
Tutto questo, sovente, senza ascoltare il nostro intimo che ci suggerirebbe altre scelte di vita per goderselo appieno questo nostro repentino passaggio nel mondo.
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Siamo tutti condannati a morte dalla nascita.
Charlie Kaufman/Caden Cotard rappresenta l'essere umano in genere, da un lato terrorizzato dal decadimento fisico innarrestabile che il tempo gli infligge inesorabilmente e che lo porterà alla morte, dall'altro proiettato nel futuro della sua opera omnia, per lasciare un segno, per essere ricordato ai posteri.
Tutto questo, sovente, senza ascoltare il nostro intimo che ci suggerirebbe altre scelte di vita per goderselo appieno questo nostro repentino passaggio nel mondo.
Emblematica la scelta del nuovo appartamento perennemente in fiamme fatta da una coprotagonista, nonostante la tossicità dell'ambiente che la porterà alla morte per intossicazione.
Il segreto è imparare a vivere attimo per attimo, senza proiezioni nel passato, nè nel futuro, ma Caden Cotard riesce a recepire questo messaggio solo marginalmente attraverso i suoi attori e solamente un imperioso FINE scandito fuori campo farà terminare la sua commedia.
Film non facile, per questo merita di essere visto più volte per non perdere nessuna sfumatura e per questo lo definisco un capolavoro.
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darkmage1975
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giovedì 4 febbraio 2016
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inutilità
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Il film ti illude di essere bello ma ne esce un'opera magistralmente inutile ed autoreferenziale.
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dandy
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martedì 22 dicembre 2015
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ogni vita è una storia?
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Dopo una serie di sceneggiature esemplari("Essere John Malkovich","Se mi lasci ti cancello"tra gli altri)Kaufman sceglie un'idea degna di lui per esordire come regista.La storia di un uomo patetico che in oltre vent'anni affronta con stoicismo lancinante umiliazioni,soprusi,malattie varie e fnisce per ricreare nel lavoro quella vita che non ha mai saputo controllare.Arte che imita la vita,anzi,che la sostituisce.Non è una novità,ma non si possono negare il fascino dell'assurdo che prende pian piano il sopravvento(senza rendercene conto,ci troviamo a non distinguere più tra le due "vite" del protagonista),l'umorismo ermetico e l'impassibilità con cui sono serviti tragedie,salti temporali e paradossi vari.
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Dopo una serie di sceneggiature esemplari("Essere John Malkovich","Se mi lasci ti cancello"tra gli altri)Kaufman sceglie un'idea degna di lui per esordire come regista.La storia di un uomo patetico che in oltre vent'anni affronta con stoicismo lancinante umiliazioni,soprusi,malattie varie e fnisce per ricreare nel lavoro quella vita che non ha mai saputo controllare.Arte che imita la vita,anzi,che la sostituisce.Non è una novità,ma non si possono negare il fascino dell'assurdo che prende pian piano il sopravvento(senza rendercene conto,ci troviamo a non distinguere più tra le due "vite" del protagonista),l'umorismo ermetico e l'impassibilità con cui sono serviti tragedie,salti temporali e paradossi vari.Finale apocalittico pleonastico ma suggestivo.Piuttosto complicato(andrebbe visto più di una volta)e non adatto al grande pubblico atrofizzato odierno.Grande prova di Hoffman e del resto del cast.Il titolo è un gioco di parole su Schenectady,cittadina dove vive il protagonista,il cui nome è a sua volta un'allusione a una sindrome che convince chi ne è afflitto di stare per morire.
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howlingfantod
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martedì 28 luglio 2015
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raffinato ed ineseguibile
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Ambizioso progetto di film totale, domanda esistenziale e artistica sulla rappresentazione e/o rappresentabilità del reale, film nel film che contiene continue sovrapposizioni ed incursioni anche difficili e sfiancanti, forse eccessive reale finzione e viceversa. Tutto il il film è infatti il tentavo destinato al fallimento di un regista teatrale di mettere in scena in pratica l’opera monstre in presa diretta della sua vita.
Il film interpretato quasi come un testamento dal compianto grandissimo Philip Seymour Hoffman è la storia già rivista in altre forme nel mondo del cinema nel cinema o nel teatro (Vanja sulla 42° strada), del tentativo immane di rappresentare la realtà, è la rappresentazione della grande difficoltà dello sforzo creativo destinato comunque al fallimento come in ogni narrazione “postmoderna” e comunque del suo profondo valore etico (“Miliardi di persone al mondo e nessuno è una comparsa, ognuno è protagonista della sua storia) e per inciso quella che Caden Cotard vorrebbe rappresentare non è nemmeno quella più importante e a tutti gli altri è giusto che gli interessi relativamente.
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Ambizioso progetto di film totale, domanda esistenziale e artistica sulla rappresentazione e/o rappresentabilità del reale, film nel film che contiene continue sovrapposizioni ed incursioni anche difficili e sfiancanti, forse eccessive reale finzione e viceversa. Tutto il il film è infatti il tentavo destinato al fallimento di un regista teatrale di mettere in scena in pratica l’opera monstre in presa diretta della sua vita.
Il film interpretato quasi come un testamento dal compianto grandissimo Philip Seymour Hoffman è la storia già rivista in altre forme nel mondo del cinema nel cinema o nel teatro (Vanja sulla 42° strada), del tentativo immane di rappresentare la realtà, è la rappresentazione della grande difficoltà dello sforzo creativo destinato comunque al fallimento come in ogni narrazione “postmoderna” e comunque del suo profondo valore etico (“Miliardi di persone al mondo e nessuno è una comparsa, ognuno è protagonista della sua storia) e per inciso quella che Caden Cotard vorrebbe rappresentare non è nemmeno quella più importante e a tutti gli altri è giusto che gli interessi relativamente.
Concessioni al grottesco, al surreale in un film per certi versi molto “Alleniano”, ritmo serratissimo per un opera poetica e raffinata ma musicalmente si darebbe detto una volta ineseguibile, come il testo teatrale che alla fine infatti non si riesce a rappresentare e nemmeno a concludere
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liuk!
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sabato 27 dicembre 2014
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nessun senso
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I primi venti minuti riescono ad interessare: ottimo cast e relativa performance, storiella drammatica ma avvincente, ritmo sostenuto. Poi il delirio. A scene senza senso vengono affiancate scene che hanno senso ma sarebbe stato meglio se non lo avessero avuto. Il ritmo scende per poi spegnersi. Al che mi sovviene una domanda? ma per fare film impegnati e profondi si deve per forza scadere nell'onirico, nel non sense? mi rispondo brevemente: NO. Spengo il lettore e lascio per sempre questa stupidaggine di pellicola.
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inesperto
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domenica 30 novembre 2014
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dubbi, molti dubbi...
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Cosa avrà mai voluto comunicare questo regista... Mah... La ricerca del complesso fine a se stesso appare molto infantile. Quasi a voler dire: questo è un film per pochi eletti dotati di una comprensione superiore e voi comuni mortali che guardate i film per trascorrere qualche ora di svago non valete niente. Se è vero che ogni spettatore trae dall'opera un significato diverso e personale (ed è sacrosanto che sia così), è anche vero che giocare a stupidi contro intelligenti risulta quanto meno irrispettoso (e rischioso, perchè i ruoli si ribaltano sempre nella vita). Un semplice film drammatico, condito da surrealismo (la casa perennemente in fiamme in cui abita Hazel cosa rappresenterebbe?) e da continui nonsense.
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Cosa avrà mai voluto comunicare questo regista... Mah... La ricerca del complesso fine a se stesso appare molto infantile. Quasi a voler dire: questo è un film per pochi eletti dotati di una comprensione superiore e voi comuni mortali che guardate i film per trascorrere qualche ora di svago non valete niente. Se è vero che ogni spettatore trae dall'opera un significato diverso e personale (ed è sacrosanto che sia così), è anche vero che giocare a stupidi contro intelligenti risulta quanto meno irrispettoso (e rischioso, perchè i ruoli si ribaltano sempre nella vita). Un semplice film drammatico, condito da surrealismo (la casa perennemente in fiamme in cui abita Hazel cosa rappresenterebbe?) e da continui nonsense. Da vedere, sicuramente; ma evitiamo di tirarcela.
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cineman94
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lunedì 25 agosto 2014
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uno dei film più belli e complessi degli anni 2000
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Difficilmente, nel corso degli anni, mi sono trovato davanti a film particolarmente complessi e tematicamente "nuovi" nella narrazione cinematografica. Inoltre, mai come in questo caso mi sono trovato davanti ad un simile capolavoro in quanto a profondità, complessità, creatività ed argomentazioni, tutto racchiuso in maniera intensa, struggente in una storia che fa di vita, morte, malattia, realismo e surrealismo le sue colonne portanti mettendo in scena uno spettacolo che, proprio grazie a questo studio esistenzialista e psicologico, culmina in un turbine di emozioni che portano lo spettatore a riflettere, grazie ad un protagonista (interpretato da un mastodontico, incredibile ed intenso Philip Seymour Hoffman), un regista di teatro, che già dal nome, Caden Cotard, è un'allegoria al decadimento psicofisico e che decide di intraprendere una strada ambiziosa, realizzare la più grande opera teatrale della sua vita, o meglio sulla sua vita, decidendo di rappresentare "una parte per il tutto" (riprendendo appunto il concetto di Sineddoche presente nel titolo del film).
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Difficilmente, nel corso degli anni, mi sono trovato davanti a film particolarmente complessi e tematicamente "nuovi" nella narrazione cinematografica. Inoltre, mai come in questo caso mi sono trovato davanti ad un simile capolavoro in quanto a profondità, complessità, creatività ed argomentazioni, tutto racchiuso in maniera intensa, struggente in una storia che fa di vita, morte, malattia, realismo e surrealismo le sue colonne portanti mettendo in scena uno spettacolo che, proprio grazie a questo studio esistenzialista e psicologico, culmina in un turbine di emozioni che portano lo spettatore a riflettere, grazie ad un protagonista (interpretato da un mastodontico, incredibile ed intenso Philip Seymour Hoffman), un regista di teatro, che già dal nome, Caden Cotard, è un'allegoria al decadimento psicofisico e che decide di intraprendere una strada ambiziosa, realizzare la più grande opera teatrale della sua vita, o meglio sulla sua vita, decidendo di rappresentare "una parte per il tutto" (riprendendo appunto il concetto di Sineddoche presente nel titolo del film). Ecco quindi dove si cela il vero cuore del film, in una trama che fonde insieme elementi che sarebbero altrimenti difficili da trattare, creando un universo nell'universo affascinante, in cui "ogni singola persona è protagonista della sua storia", mettendo in gioco elementi che fanno riferimento tanto al cinema quanto al teatro, aumentando quindi in maniera esponenziale la natura intellettuale del film, grazie ad una regia favolosa che attrae lo spettatore ad ogni inquadratura, lo ipnotizza e non lo lascia più, rendendo anch'egli parte della storia ed interagendo con lui, allo scopo di coinvolgerlo, proprio come un regista farebbe ad un attore che sta aspettando di entrare in scena. I dialoghi sono bellissimi da ascoltare, di una naturalezza ed emotività incredibili, che sanno essere dolci, pacati ma anche crudi o tristemente ironici, allegorie della vita stessa. Questo non è solo un film, non è solo la storia di una vita, non è solo complessità, vita o morte, realismo, surrealismo, no! È tutto questo e qualcosa in più, qualcosa che nessun film, nessun libro, nessuna serie TV o altro sia mai riuscito a darmi: un'esperienza che rimane indelebile agli occhi e al cuore di chi lo guarda. Questo è Synecdoche, New York e per me questo è abbastanza!
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radamanto
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giovedì 10 luglio 2014
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essere caden cotard
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E' la storia di Caden Cotard, regista teatrale di provincia di discreto livello che vive la propria vita come una comparsa al punto da somatizzare dei disturbi nervosi e da essere abbandonato da moglie e figlia. Vincitore di un premio prestigioso, investe tutto in un progetto teatrale che per la sua vastità e audacia è votato sin dal principio al fallimento.
Da questo momento il demiurgo Charlie Kaufman inizia a modellare la realtà a suo totale arbitrio, contraendo il tempo della narrazione e dilatando gli spazi all'inverosimile, dosando sapientemente atmosfere kafkiane e dialoghi ioneschiani.
L'allestimento dello spettacolo diventa una matrioska onirica e metafisica in cui ogni personaggio diventa più autentico solo nella misura in cui le sue interpretazioni si moltiplicano in un complesso gioco di scatole cinesi.
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E' la storia di Caden Cotard, regista teatrale di provincia di discreto livello che vive la propria vita come una comparsa al punto da somatizzare dei disturbi nervosi e da essere abbandonato da moglie e figlia. Vincitore di un premio prestigioso, investe tutto in un progetto teatrale che per la sua vastità e audacia è votato sin dal principio al fallimento.
Da questo momento il demiurgo Charlie Kaufman inizia a modellare la realtà a suo totale arbitrio, contraendo il tempo della narrazione e dilatando gli spazi all'inverosimile, dosando sapientemente atmosfere kafkiane e dialoghi ioneschiani.
L'allestimento dello spettacolo diventa una matrioska onirica e metafisica in cui ogni personaggio diventa più autentico solo nella misura in cui le sue interpretazioni si moltiplicano in un complesso gioco di scatole cinesi. Progressivamente la finzione diventa la realtà più vera, forse perché il vero era diventato finto a forza di essere vissuto. Nell'ultima parte della pellicola la realtà e la finzione teatrale si intrecciano a tal punto che la prima è fagocitata dalla seconda e i due livelli logici di vero e falso, ormai insufficienti per codificare il senso della vita/recita, figliano quella polifonia quantistica di realtà mai completamente vere e mai completamente false.
Solo nelle ultimissime scene Caden Cotard, il vecchio ipocondriaco sopravvissuto alle sue malattie che si aggira come un fantasma nella sua metropoli abbandonata, inizia a vivere compiutamente la sua vita interpretando se stesso e allo stesso tempo vestendo il ruolo delle innumerevoli comparse che hanno scandito la sua esistenza, perché "ci sono miliardi di persone al mondo e nessuna di loro è una comparsa; ognuno è protagonista della sua storia".
Sipario.
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