eugenio
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domenica 10 gennaio 2021
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il terrorismo dagli occhi di un bambino
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Inizia come nessuno se lo aspetta il nuovo film di Claudio Noce Padrenostro. Con una metropolitana che si muove tra le profondità della terra, all’interno della quale una persona preoccupata, tesa e nervosa si guarda intorno. Poi, un improvviso black-out spinge tutti a guadagnare presto l’uscita senza perdere troppo la calma, quella di cui il nostro misterioso protagonista inquadrato ne ignora il significato. Il nostro personaggio scende, si muove incerto fino a che qualcuno lo tocca alle spalle…
Un battito di ciglia, due minuti e nulla più. Poi torniamo indietro di diverso tempo, a metà degli anni settanta in quell’arco temporale genericamente definito come “anni di piombo”, in cui il rapimento di Moro avrebbe rappresentato il climax inevitabile di un’evoluzione violenta e armata.
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Inizia come nessuno se lo aspetta il nuovo film di Claudio Noce Padrenostro. Con una metropolitana che si muove tra le profondità della terra, all’interno della quale una persona preoccupata, tesa e nervosa si guarda intorno. Poi, un improvviso black-out spinge tutti a guadagnare presto l’uscita senza perdere troppo la calma, quella di cui il nostro misterioso protagonista inquadrato ne ignora il significato. Il nostro personaggio scende, si muove incerto fino a che qualcuno lo tocca alle spalle…
Un battito di ciglia, due minuti e nulla più. Poi torniamo indietro di diverso tempo, a metà degli anni settanta in quell’arco temporale genericamente definito come “anni di piombo”, in cui il rapimento di Moro avrebbe rappresentato il climax inevitabile di un’evoluzione violenta e armata. Ed è proprio due anni prima del tragico evento, nel 1976, che inizia “realmente” il film. Dalla radio di casa e alcune incursioni in terrazzo, Valerio, il giovane protagonista della pellicola (intepretato da un convincente Mattia Garaci), guarda il mondo muoversi inesorabilmente inghiottito in una spirale di violenza, permeato dall’agnizione della madre che enigmaticamente svicola ogni giustificazione alle misteriose assenze del papà Alfonso (Pierfrancesco Favino), vice questore a Roma. Fino all’inevitabile tragedia in cui Valerio assisterà direttamente, non visto, al ferimento del padre in un attentato armato mosso dai nuclei armati proletari che si concluderà con la morte di uno dei “nappisti” Montanari e del poliziotto della scorta.
A tali eventi il “non più bambino” cercherà di appellarsi, sfruttando il potere più grande e bello che crescendo tende a scomparire ovvero la fervida immaginazione e soprattutto la curiosità che accompagnerà il giovane ad una maturità sofferta. Una maturità che riuscirà a palesarsi durante l’estate, in un periodo di sospensione dagli affanni, meta di scoperte ma anche di conoscenze in Calabria, a Riace, luogo di origine del padre. Qui, in un mondo incantato e quasi atavico, supportato da una maggiore “presenza fisica” del padre, Valerio vivrà le sue prime esperienze da “adulto”, convivendo con la paura e la vulnerabilità che si percepiscono sempre più minacciose a casa, confrontandosi, finalmente, con la figura di un “padre eroe” integro e “gigante buono” invincibile, erodendone labilmente i confini.
L’intento di Noce, in Padrenostro, non è la rievocazione didascalica di un periodo estremamente cupo della storia italiana come le lotte armate di fine anni settanta quanto l’analisi a misura di bambino di un’esplosione pedagogica di vita vissuta come trauma. Il film è ambizioso: Noce traduce un evento drammatico appunto come il ferimento e la morte violenta, in una struggente ricerca di una corrispondenza d’amorosi sensi tra un padre ritrovato e un figlio lentamente cosciente.
Valerio, imperterrito spirito solitario, troverà proprio nel padre l’innocenza perduta e in Christian, enigmatico ragazzino di quattordici anni poco più grande di lui, apparso dal nulla, l’amicizia. Segni, appunto che permetteranno ai giovani “uomini” di rielaborare in qualche modo il dolore, lasciando esplodere la creatività in disegni e sinistre fisionomie umane tracciate col gessetto sull’asfalto di Roma e tuffi nell’acqua limpida e cristallina per uscirne nuovi scoprendo sulla loro pelle la violenza degli adulti, ma anche la forza dell’amicizia.
Padrenostronelle sue due ore, non annoia mai. La fotografia nitida, la scenografia di un territorio quasi mitico tra montagna e mare, boschi vergini (la Sila del Lago Arvo) e scogliere a picco, rendono la pellicola struggente, capace di spaziare e rendere persino poetico il dramma, oltrepassando la gretta meschinità del realismi visti da un buco della serratura o tra grate come prigionieri di una casa stantia.
E Noce lo fa aprendo il suo film, tra campi di grano simil Io non ho paura di Ammaniti, cauterizzando le profonde ferite dell’anima in un redde rationem con un abbraccio profondamente consolatorio e felice con qualche lacrima di gioia che fa sempre bene. Vincitore della coppia Volpi per la migliore interpretazione maschile a Pierfrancesco Favino al Festival del Cinema di Venezia 2020.
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paolo salvaro
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lunedì 28 settembre 2020
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padre e figlio negli anni di piombo
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Claudio Noce ci racconta una storia estremamente personale e dolorosa, incentrata sul rapporto padre-figlio durante i sanguinosi anni di piombo che lasciarono un segno indelebile sulla sua famiglia. Una scenografia sapiente e funzionale curata da Paki Meduri ci catapulta indietro di oltre quarant'anni, riesumando dall'oltretomba un'Italia che nel bene e nel male oramai non esiste più; lo sguardo con cui il regista si muove all'interno di questo contesto riflette tale dualismo ed appare ora nostalgico e a tratti malinconico, per poi lasciarvi esplodere tutta la sofferenza, la paura e l'ansia di cui era pervaso quel mondo apparentemente sereno.
Di tutti questi sentimenti si fanno portavoce i vari personaggi del film, a cominciare dal giovane protagonista che soffre per la lontananza sia fisica che mentale nei confronti del padre, una distanza che cerca di colmare in ogni modo e con ogni pretesto possibile.
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Claudio Noce ci racconta una storia estremamente personale e dolorosa, incentrata sul rapporto padre-figlio durante i sanguinosi anni di piombo che lasciarono un segno indelebile sulla sua famiglia. Una scenografia sapiente e funzionale curata da Paki Meduri ci catapulta indietro di oltre quarant'anni, riesumando dall'oltretomba un'Italia che nel bene e nel male oramai non esiste più; lo sguardo con cui il regista si muove all'interno di questo contesto riflette tale dualismo ed appare ora nostalgico e a tratti malinconico, per poi lasciarvi esplodere tutta la sofferenza, la paura e l'ansia di cui era pervaso quel mondo apparentemente sereno.
Di tutti questi sentimenti si fanno portavoce i vari personaggi del film, a cominciare dal giovane protagonista che soffre per la lontananza sia fisica che mentale nei confronti del padre, una distanza che cerca di colmare in ogni modo e con ogni pretesto possibile. Allo stesso modo i suoi genitori sono vittime del mondo crudele in cui si trovano a dover vivere e provano le sue stesse emozioni, ma in quanto adulti non è loro concesso di mostrarsi fragili agli occhi del figlio; o almeno è quello che loro credono perchè è proprio nel momento in cui suo padre smetterà di essere un "eroe" che comprensibilmente nemmeno lui avrebbe mai desiderato diventare, ponendosi allo stesso livello del figlio e dimostrando di tenere veramente a lui, di essere vulnerabile quanto lui, che la distanza tra loro avrà (o meno) modo di colmarsi.
Noce in questo film tratta un tema assai caro all'infinito filone dei family movie, dotandolo però di una carica drammatica ed emozionale molto superiore al solito; il risultato finale a mio avviso è buono, ma la storia di per sè viene resa molto più arzigogolata e dispersiva di quanto non dovrebbe essere per via della presenza di un elemento estraneo a tutta la vicenda, il quale fintanto che interagisce solo con il protagonista non causa grossi problemi ma quando si trova invece ad essere messo in relazione con il resto della famiglia genera non poca irritazione nello spettatore. Francamente il mistero (o meglio il non mistero) riguardante l'estraneo è la parte più disorientante dell'intera vicenda, essendo esso per giunta negli intenti della sceneggiatura il collante che lega capo e coda del film. Molto in ombra il personaggio della madre, relegata ad ameba inerme dinanzi al marito, tanto da subire un complesso di inferiorità nei suoi confronti per il fascino e l'influenza che egli esercita su suo figlio Valerio; il fatto che le vengano assegnate tutte le battute meno ispirate e più generiche non la aiuta.
A giganteggiare pure in dialoghi che sembrano presi in prestito da una qualche fiction della Rai un Pierfrancesco Favino che riempie lo schermo con la sua sola presenza prima ancora che con le sue parole; non potevano trovare un attore più adatto a ricoprire il ruolo del padre adone e statuario. Non a caso da il meglio di sè verso la fine del film, facendo sfoggio di un'espressività incredibile in un'intensissima sequenza per lo più priva di dialoghi. Degna di lode anche la colonna sonora firmata da Ratchev e Carratello che hanno composto delle gradevolissime melodie classiche, consentendo a diverse scene di colpire molto più nel segno, e la fotografia di Michele D'Attanasio che da oltre quindici anni ci delizia con la forza e l'ingegno delle sue immagini; mi è molto piaciuto ad esempio il modo in cui ha gestito la scena del tunnel e quelle all'aperto in Calabria, contribuendo con i suoi colori a dare un senso di sicurezza e pace in contrapposizione alla città grigia, caotica e ostile.
Nel complesso è un film tecnicamente valido e apprezzabile, seppur dalla sceneggiatura tutt'altro che brillante e a tratti troppo retorico soprattutto nell'andare a descrivere il rapporto tra Valerio e l'estraneo. In particolare inserirlo nel contesto familiare del protagonista a mio avviso ha solo complicato inutilmente la storia; lui è un qualcosa di strettamente vincolato a Valerio e alla sua crescita individuale e a mio avviso sarebbe stato meglio se fosse rimasto confinato solo a quella sua dimensione personale.
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no_data
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lunedì 11 gennaio 2021
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un film che emoziona e commuove
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Delizioso racconto sulla relazione tra un padre e un figlio durante un capitolo molto doloroso della nostra storia. Un film capace di raccontare non già le vicende stranote dei vili attentati dei terroristi a esponenti dello Stato, quanto il clima di terrore nel quale si ritrovavano a vivere le famiglie e tutti coloro che intorno a questi personaggi ruotavano. La narrazione riesce pienamente a coinvolgere lo spettatore nel clima di costante paura che vivono i personaggi coinvolti, evidente anche e soprattutto durante i pochi momenti di ricercata felicità e spensieratezza, nei quali si respira sempre l'aria densa e oppressiva della tensione e del timore che qualcosa di brutto stia per accadere.
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Delizioso racconto sulla relazione tra un padre e un figlio durante un capitolo molto doloroso della nostra storia. Un film capace di raccontare non già le vicende stranote dei vili attentati dei terroristi a esponenti dello Stato, quanto il clima di terrore nel quale si ritrovavano a vivere le famiglie e tutti coloro che intorno a questi personaggi ruotavano. La narrazione riesce pienamente a coinvolgere lo spettatore nel clima di costante paura che vivono i personaggi coinvolti, evidente anche e soprattutto durante i pochi momenti di ricercata felicità e spensieratezza, nei quali si respira sempre l'aria densa e oppressiva della tensione e del timore che qualcosa di brutto stia per accadere. Spettacolare l'interpretazione di Favino e, a mio avviso, anche di Mattia Garaci che interpreta il figlio. Una stupenda fotografia, con panorami mozzafiato, contribuisce a conferire un tono elegiaco e poetico al racconto.
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felicity
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martedì 17 agosto 2021
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sospeso tra realtà e immaginazione
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Tratto dalla tragica vicenda dell’attentato al padre del regista, PADRENOSTRO è sospeso tra realtà e immaginazione e fa fatica a trovare un suo equilibrio.
Un evento tragico, avvenuto nell’estate del 1976, ha sconvolto la vita di Valerio, un ragazzino di quasi 11 anni; con i suoi occhi ha assistito all’attentato di un gruppo di terroristi nei confronti del padre. Da quel momento la sua famiglia, composta anche dalla madre e dalla sorella più piccola, ha spesso paura che ogni volta possa accadere qualcosa di brutto. Ciò avviene, per esempio, il giorno in cui Valerio scappa da scuola. Il ragazzino ha anche una fervida immaginazione. E proprio in quei giorni difficili conosce Christian, un ragazzino poco più grande.
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Tratto dalla tragica vicenda dell’attentato al padre del regista, PADRENOSTRO è sospeso tra realtà e immaginazione e fa fatica a trovare un suo equilibrio.
Un evento tragico, avvenuto nell’estate del 1976, ha sconvolto la vita di Valerio, un ragazzino di quasi 11 anni; con i suoi occhi ha assistito all’attentato di un gruppo di terroristi nei confronti del padre. Da quel momento la sua famiglia, composta anche dalla madre e dalla sorella più piccola, ha spesso paura che ogni volta possa accadere qualcosa di brutto. Ciò avviene, per esempio, il giorno in cui Valerio scappa da scuola. Il ragazzino ha anche una fervida immaginazione. E proprio in quei giorni difficili conosce Christian, un ragazzino poco più grande. Di lui si sa poco o nulla. Non si sa chi è la sua famiglia e da dove viene. Solitario e ribelle, spunta all’improvviso mentre Valerio è in Calabria con la sua famiglia a casa dei nonni.
PADRENOSTRO è ispirato a un evento realmente accaduto. Il padre del regista, il vicequestore Alfonso Noce, aveva infatti subito un attentato da parte dei NAP (Nuclei Armati Proletari) il 14 dicembre 1976. Diventa quindi un film personalissimo, in cui lo sguardo del cineasta è avvolto completamente dentro la storia che racconta. Dietro ciò che vede Valerio, sospeso tra realtà e immaginazione, c’è la ricostruzione dei ricordi del cineasta, che all’epoca aveva un anno e mezzo.
Sono film difficili quelli come PADRENOSTRO. Perché si avverte uno scarto tra le intuizioni e il risultato. Ed entra per forza in gioco l’elemento soggettivo. Dal nostro punto di vista, quel senso di paura, di smarrimento, è arrivato solo parzialmente. Forse perché da una parte in Italia è difficile ancora oggi fare film sul terrorismo.
Noce privilegia l’angolo soggettivo. Resta la visione de padre con una prova notevole e difficile da parte di Pierfrancesco Favino che di PADRENOSTRO è anche uno dei produttori. Meno convincente è l’interpretazione dei due ragazzini, Mattia Garagi e Franceco Ghegi nei panni rispettivamente di Valerio e Christian che appaiono a disagio soprattutto nel momento in cui sono come sospesi e proiettati in un altro mondo.
Inoltre la paura. Come si è detto attraversa tutto il film. Almeno dal nostro punto di vista, è stata percepita più dai dialoghi dei personaggi che visivamente.
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fabriziog
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lunedì 28 settembre 2020
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film che fa ricordare agli smemorati
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Dopo il lockdown finalmente si torna a vedere i film sul Grande Schermo con una bellissima pellicola di Claudio Noce, "Padrenostro", che vede co-protagonista un sempre bravissimo Pierfrancesco Favino, vincitore della Coppa Volpi come miglior interprete maschile all'ultimo festival del cinema di Venezia.Il regista racconta se stesso da bambino, figlio del vice questore di Roma Alfonso Noce, vittima di un attentato da parte della organizzazione terrorista NAR, in cui persero la vita un poliziotto e un criminale.
In realtà l'opera non è sugli anni di piombo ma su cosa ha provato il regista (interpretato da uno straordinario Mattia Garaci, fanciullo con notevoli doti attoriali, mimiche ed espressive) nel vivere nel costante incubo di perdere il padre.
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Dopo il lockdown finalmente si torna a vedere i film sul Grande Schermo con una bellissima pellicola di Claudio Noce, "Padrenostro", che vede co-protagonista un sempre bravissimo Pierfrancesco Favino, vincitore della Coppa Volpi come miglior interprete maschile all'ultimo festival del cinema di Venezia.Il regista racconta se stesso da bambino, figlio del vice questore di Roma Alfonso Noce, vittima di un attentato da parte della organizzazione terrorista NAR, in cui persero la vita un poliziotto e un criminale.
In realtà l'opera non è sugli anni di piombo ma su cosa ha provato il regista (interpretato da uno straordinario Mattia Garaci, fanciullo con notevoli doti attoriali, mimiche ed espressive) nel vivere nel costante incubo di perdere il padre. Il ragazzino l'attentato lo ha visto, all'insaputa dei genitori, e questo apre una voragine nell'animo di Valerio, voragine a cui la famiglia non sa fornire una risposta, non capendola, anzi, non sapendone nemmeno l'esistenza.
È un film ambivalente sulla solitudine e la tragedia che hanno vissuto intere famiglie, sulla paura di vedere ammazzato un proprio familiare, il proprio padre, madre, figlio, figlia, fratello, sorella. Le vittime sono i bambini, anche quelli dei terroristi: i figli pagano la colpa dei crimini efferati compiuti dai genitori.
La dicotomia fra ragazzini, il figlio del vice questore e del terrorista ucciso (per legittima difesa), è anche fisica e comportamentale: Valerio è basso e biondo, tutto casa e regole, silenzioso, taciturno, perennemente impaurito, mentre Christian (Francesco Gheghi) è alto e bruno, slanciato e disinibito, senza regole e induce il primo a fumare, bere, leggersi i giornaletti pornografici e non rispettare gli orari. Le immagini vaste, immani, potenti, di ampio respiro, senza confini, della Calabria rafforzano la solitudine di Valerio, ne sottolineano l'angoscia. La respirazione ansimante e stertorosa punteggia le scene insieme alle musiche degli anni '70.
La tensione è l'argine entro cui si muove la trama: lo spettatore in ogni momento si aspetta che accada qualche cosa...di brutto.
L'unione della realtà con l'arte si palesa nelle ultime battute, quando il regista si manifesta da adulto, soggetto ad attacchi di panico, perché la paura se non curata è ancora lì, terribilmente presente: il padre si è salvato ma tanti come lui hanno perso la vita per mano di brigatisti che, dietro un linguaggio farneticante, hanno distrutto la vita di centinaia e centinaia di famiglie.
Il contatto delle mani di Valerio con il ritrovato Christian, oramai anche lui cresciuto, è un riinizio, una conciliazione fra due piccoli uomini che non erano stati mai nemici, ma uniti da un patto di sangue di eterna amicizia.
Fabrizio Giulimondi
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frankmoovie
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lunedì 28 settembre 2020
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"padrenostro": una fiction per il cinema
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Il film di questo weekend lascia soddisfatti per metà. La storia, negli anni Settanta, di un’amicizia tra due ragazzi cresciuti in modo molto diverso: uno ha assistito all’attentato al padre, l’altro appare come un fantasma da esperienza diversa. L’amicizia tra ragazzi nasce sempre spontaneamente, con innocenza e trasporto, inconsapevole degli eventuali sviluppi. Il film pone l’accento sulla famiglia, sulla comunicazione tra genitori, tra genitori e figli e, in particolare, tra un padre apparentemente burbero e preso da responsabilità e un figlio che per lui stravede e tra una madre che dal figlio riceve un rapporto più freddo (a memoria: a un certo punto lei gli chiede: “Perché fai così con tua madre?” e il ragazzo risponde “Perché non sei un padre”).
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Il film di questo weekend lascia soddisfatti per metà. La storia, negli anni Settanta, di un’amicizia tra due ragazzi cresciuti in modo molto diverso: uno ha assistito all’attentato al padre, l’altro appare come un fantasma da esperienza diversa. L’amicizia tra ragazzi nasce sempre spontaneamente, con innocenza e trasporto, inconsapevole degli eventuali sviluppi. Il film pone l’accento sulla famiglia, sulla comunicazione tra genitori, tra genitori e figli e, in particolare, tra un padre apparentemente burbero e preso da responsabilità e un figlio che per lui stravede e tra una madre che dal figlio riceve un rapporto più freddo (a memoria: a un certo punto lei gli chiede: “Perché fai così con tua madre?” e il ragazzo risponde “Perché non sei un padre”). Il film biografico, dedicato dal regista Claudio Noce. al padre vicequestore sfiora il problema del terrorismo, guarda ai rapporti umani, scappa dall’approfondimento delle conseguenze di un attentato, volando alto, facendoci vedere belle scene, primi piani intensi o ascoltare una colonna sonora buona, ma con inserimenti furbeschi di canzoni famose dell’epoca ma non scende nella disperazione e nei problemi reali, psicologici e sentimentali. Una commedia che racconta comportamenti e preoccupazioni di una qualsiasi famiglia. Due stelle brillano: le interpretazioni di Pierfarncesco Favino, sempre più maturo ed esperto, e di Barbara Ronchi, vera mamma con le sue espressioni di preoccupazioni e affetti. I ragazzi, Mattia Garaci e Francesco Gheghi, sono ben guidati e possono avere futuro nel cinema. L’autore comunque non fa partecipare lo spettatore in maniera coinvolgente come avviene in genere in una sala cinematografica, ma raccontato una storia da salotto di casa davanti a una fiction in TV.
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giampituo
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lunedì 5 ottobre 2020
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figli miei non paderenostro
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Un film forse un po’ volutamente lento, con ripetuti, quasi esclusivi primi piani, ma che è una lectio magistralis sulla struttura psicologica dei bambini. Film poetico e allo stesso tempo didascalico. Commovente in molti momenti. Non voglio spoilerare ma solo concludere con Is regia che figli andrebbero abbracciati tutti i giorni, sorretti, aiutati, confortati per il mondo che gli abbiamo lasciato. Molto peggiore rispetto a quello che ci avevano lasciato i nostri nonni e i nostri padri.
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Un film forse un po’ volutamente lento, con ripetuti, quasi esclusivi primi piani, ma che è una lectio magistralis sulla struttura psicologica dei bambini. Film poetico e allo stesso tempo didascalico. Commovente in molti momenti. Non voglio spoilerare ma solo concludere con Is regia che figli andrebbero abbracciati tutti i giorni, sorretti, aiutati, confortati per il mondo che gli abbiamo lasciato. Molto peggiore rispetto a quello che ci avevano lasciato i nostri nonni e i nostri padri. E il senso di colpa dello spettatore incalza quando escono i titoli di coda, dopo la crisi di panico del bambino diventato adulto che si risolve grazie ad un abbraccio che è come una carezza. Corro via anche io come loro, ma solo per abbracciare forte i miei figli. Chissà se capiranno. Ma questa è un’altra questione.
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