Il senso di Milla per la vita è segnato sin dalle prime scene in cui la giovane adolescente, sguardo perso nel vuoto, divisa della scuola femminile che frequenta e custodia del violino in spalla è mostrata dinanzi a una metropolitana, pronta a un insano gesto.
Pochi istanti che potrebbero segnare la tragedia di un suicidio, momenti concitati di una sofferta decisione che uno strano ragazzo tatuato, Moses, tossicodipendente, impedisce, salvandola.
Inizia così Babyteeth, rivelazione “due Venezie fa” della giovane attrice Eliza Scanlen, young adult sick-lit, film sull’amore osteggiato da una malattia, quella di Milla, un tumore che non le lascia scampo e di cui si sa sin da subito come finirà.
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Il senso di Milla per la vita è segnato sin dalle prime scene in cui la giovane adolescente, sguardo perso nel vuoto, divisa della scuola femminile che frequenta e custodia del violino in spalla è mostrata dinanzi a una metropolitana, pronta a un insano gesto.
Pochi istanti che potrebbero segnare la tragedia di un suicidio, momenti concitati di una sofferta decisione che uno strano ragazzo tatuato, Moses, tossicodipendente, impedisce, salvandola.
Inizia così Babyteeth, rivelazione “due Venezie fa” della giovane attrice Eliza Scanlen, young adult sick-lit, film sull’amore osteggiato da una malattia, quella di Milla, un tumore che non le lascia scampo e di cui si sa sin da subito come finirà.
Eppure il film dell’australiana Shannon Murphy non è una storia artificiosamente retorica o strappalacrime, no. E’ una vicenda di un amore. Un amore di ultimi tra gli ultimi benchè i protagonisti non siano figli della miseria, tutt’altro: sia Milla che Moses hanno una famiglia appartenente a un contesto sociale agiato: lei un padre psichiatra dal dolore latente incapace di gestire una situazione angosciante, che preferisce “glissare” prescrivendo tranquillanti a una moglie musicista apprensiva; lui un padre assente e una madre tutt’altro che indulgente nei confronti di un figlio con problemi di droga (come si dice oggi) a cui impedisce di accedere persino a casa.
Insomma, due anime scostanti, entrambe malate e bisognose di affetto che si annusano diffidenti, malgrado l’evidente differenza d’età, ove l’elemento “scostante”, Moses, è introdotto per rompere le righe di una storia personale, quella di Milla, fatta di una conservatrice routine, lezioni di violino, rari rapporti con le amiche (la scena cruda del selfie con la sua parrucca, fa amaramente riflettere sull’egotica appartenenza giovanile), dialoghi frammentati con i genitori.
Milla si innamora di Moses, attratta forse da quell’aura di malcelato ardore, lui sembra inizialmente fare orecchie da mercante, la frequenta solo per imbottirsi di anfetamine rubate dallo studio del padre, ma presto, il film come ogni letteratura per giovani, prende pieghe inaspettate non necessariamente struggenti ma efficaci dal punto di vista narrativo.
Milla rivive con Moses una seconda vita a cui lui riconosce il giusto peso, esce dagli schemi (la regista è abile ad esempio nella scena del ballo, nell’interrompere il flusso continua di musica techno con la frammentazione mentale subita da Milla), rifugge da ogni quotidiana amara fonte di depressione, illuminando con la macchina da presa il volto e i grandi occhioni della protagonista, alla ricerca di una esistenza breve ma vissuta sino in fondo.
Coniugando dei co-primari ben tratteggiati come l’insegnante di violino della ragazza e la nuova vicina di casa o il fratellino di Moses, alla dolcezza d’insieme di una “stella” Eliza Scanlen, in stato di grazia, Shannon Murphy è capace di dare concretezza e empatia all’intera, vicenda.
Il tutto, con intenti lodevoli, malgrado, un’eccessiva lungaggine iniziale che rende il noto finale meno pervicace e ahimè alla lunga tirato e stanco con continue metafore narrative. Una sforbiciata di mezz’ora avrebbe giovato ma va bene così, i denti da latte, del resto, cadono dopo diverso tempo.
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