maurizio.meres
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lunedì 29 ottobre 2018
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bellissimo film
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La bravissima Valeria Golino con questo film si conferma come una regista molto sensibile alle problematiche della vita intese come sofferenze della salute senza mai impietosire ma sempre con un ottimismo che sfiora l'eccitazione di chi scopre per la prima volta l'amore per tutti e per tutto,in una gioia di vivere.
Film tecnicamente perfetto,riprese sempre in primo piano con particolare tendenza nei particolari sia delle cose che delle persone con dei tagli scena perfetti e di senso compiuto così come i dialoghi intensi e personali entrano nel profondo dell'intimo facendo uscire per ogni personaggio il proprio essere.
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La bravissima Valeria Golino con questo film si conferma come una regista molto sensibile alle problematiche della vita intese come sofferenze della salute senza mai impietosire ma sempre con un ottimismo che sfiora l'eccitazione di chi scopre per la prima volta l'amore per tutti e per tutto,in una gioia di vivere.
Film tecnicamente perfetto,riprese sempre in primo piano con particolare tendenza nei particolari sia delle cose che delle persone con dei tagli scena perfetti e di senso compiuto così come i dialoghi intensi e personali entrano nel profondo dell'intimo facendo uscire per ogni personaggio il proprio essere.
Perfetto il dualismo scenico dei due attori sia Scamarcio che Mastandrea duettano con grande professionalità senza mai sovrapporsi rappresentano nel film due fratelli diametralmente opposti ma amorevolmente vicini,il male dell'uno diventa una nuova vita per l'altro "non si può assolutamente raccontare la trama per rispetto di chi non l'ha visto "
Sceneggiatura solida socialmente attuale e di estrema efficacia cinematografica facendo scorrere il film senza interruzioni sia emotive che sociali,con una raffinata dose di umor per alleggerire la tematica del film,con un finale giusto e profondo,bellissimo.
Titolo del film azzeccato l'euforia intesa come gioia,ottimismo,sensazione di contentezza,esuberanza e stima in se stessi,che in questo film vengono rappresentati,ma anche disorientamento,stato di un ebrezza artificialmente procurata,film da vedere.
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flyanto
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lunedì 29 ottobre 2018
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tanta ebbrezza per lenire il dolore
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Euforia”, l’ultimo film diretto dall’attrice Valeria Golino, racconta di un uomo d’affari ben avviato nella propria professione (Riccardo Scamarcio) che vive la sua quotidianità, e soprattutto i giorni a venire dopo la dolorosa notizia del fratello (Valerio Mastandrea) affetto da un tumore al cervello ad uno stadio ormai avanzato, in uno stato di eccitazione psico-fisica continuo. Ospitando il suddetto fratello nella propria lussuosa abitazione in vista dell’ operazione a cui quest’ultimo si deve sottoporre, il protagonista vive con profondo dolore, a dispetto però di quanto egli dimostri all’esterno con i parenti più vicini e con gli amici, questo periodo critico e, pertanto, per reazione si stravolge con sostanze stupefacenti, festini in discoteca e in casa, acquisti eccessivi di beni di lusso alla ricerca di un’allegria e di uno stato, appunto, euforico che gli facciano dimenticare la molto prossima morte del fratello.
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Euforia”, l’ultimo film diretto dall’attrice Valeria Golino, racconta di un uomo d’affari ben avviato nella propria professione (Riccardo Scamarcio) che vive la sua quotidianità, e soprattutto i giorni a venire dopo la dolorosa notizia del fratello (Valerio Mastandrea) affetto da un tumore al cervello ad uno stadio ormai avanzato, in uno stato di eccitazione psico-fisica continuo. Ospitando il suddetto fratello nella propria lussuosa abitazione in vista dell’ operazione a cui quest’ultimo si deve sottoporre, il protagonista vive con profondo dolore, a dispetto però di quanto egli dimostri all’esterno con i parenti più vicini e con gli amici, questo periodo critico e, pertanto, per reazione si stravolge con sostanze stupefacenti, festini in discoteca e in casa, acquisti eccessivi di beni di lusso alla ricerca di un’allegria e di uno stato, appunto, euforico che gli facciano dimenticare la molto prossima morte del fratello.
Ancora una volta, dopo il suo primo lungometraggio “Miele” , Valeria Golino ci sorprende con questa sua ultima opera cinematografica, trattando, sia pure in maniera differente, sempre il tema della morte e di come essa viene affrontata dai singoli individui. Se in “Miele” essi la ricercavano tramite una sorta di eutanasia procurata da una giovane donna dedita a ciò, in ”Euforia” il protagonista cerca di scongiurarla in ogni modo stravolgendosi o, più precisamente, cercando di ‘allontanarla’ dalla propria mente con uno stile di vita tendente all’eccesso.
Riccardo Scamarcio, affiancato da altrettanti bravi attori quali, Valerio Mastandrea, Isabella Ferrari, Valentina Cervi e Jasmine Trinca, prevale nettamente su tutti rappresentando quanto mai credibilmente il proprio ruolo di uomo tormentato: molto efficacemente l’attore riesce ad esprimere il carattere e la personalità di una persona che apparentemente appare come superficiale e, forse, anche un poco insensibile, ma che, al contrario, non lo è affatto e che proprio a causa della sua sensibilità è indotto a reagire, ‘recitando’ una parte davanti agli altri che non gli appartiene affatto.
Concludendo, Valeria Golino riesce ottimamente a rappresentare tale stato d’animo, presentandolo in tutte le sue sfaccettature ed attraverso un’analisi psicologica molto raffinata e delicata che ben si apprezza e si comprende. Dal punto di vista propriamente registico, ”Euforia” si avvale di un andamento misurato, lucido e preciso che denota padronanza e talento anche in questo campo da parte di questa già brava attrice.
Assolutamente da tenere in considerazione.
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flaw54
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domenica 28 ottobre 2018
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inaspettato
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Veramente un bel film. Triste secondo il cliché del cinema italiano, ma recitato dai due protagonisti e dagli attori di contorno in modo splendido. Scamarcio è una rivelazione e anche Mastrandrea è meno monolitico e capace di momenti fortemente ironici pur nella tragicità della vicenda. La Golino sa affrontare temi ancora difficili con delicatezza e non sfrutta la storia per creare una facile e scontata emotività nello spettatore. Forse il montaggio non è dei migliori per la presenza di alcune scene troppo brevi e forse inutili, ma l' opera rimane veramente accattivante. Uno dei migliori film di quest'anno.
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loland10
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domenica 28 ottobre 2018
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un pesce in faccia...
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Euforia” (2018) è il secondo lungometraggio dell’attrice-regista Valeria Golino.
Che dire di una regista che dopo un’esperienza vistosa di attrice in lungo e in largo si permette di girare un paio di lungometraggi che già recitano nel ricordo di un cinema italiano non certo al meglio che cerca, o vuole farlo, storie ridotte e diverse, miste e fuori dai gangheri.
Che dire di un cinema italiano che (ri)aspira ad essere di nuovo grande con strade, linee e vicoli, più o meno stretti, tra ambienti diversificati, omaggi evidenti e voci di recita da sembrare fuori dal coro.
Che dire di attori/ici che hanno la meglio (gettandosi in luogo) sul panorama (in senso di cast e di visuali multiformi) intorno quando le inquadrature e i modi sanno di classico del nostro cinema.
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Euforia” (2018) è il secondo lungometraggio dell’attrice-regista Valeria Golino.
Che dire di una regista che dopo un’esperienza vistosa di attrice in lungo e in largo si permette di girare un paio di lungometraggi che già recitano nel ricordo di un cinema italiano non certo al meglio che cerca, o vuole farlo, storie ridotte e diverse, miste e fuori dai gangheri.
Che dire di un cinema italiano che (ri)aspira ad essere di nuovo grande con strade, linee e vicoli, più o meno stretti, tra ambienti diversificati, omaggi evidenti e voci di recita da sembrare fuori dal coro.
Che dire di attori/ici che hanno la meglio (gettandosi in luogo) sul panorama (in senso di cast e di visuali multiformi) intorno quando le inquadrature e i modi sanno di classico del nostro cinema. Fermare la camera e andare diritto sui volti tende a cercare il meglio ma è quest’ultimo che manca tra sceneggiatura oltre, coraggio da vendere e stile da farsi copiare.
Quando il cinema rigetta il facile, inizia l’inusuale e alla fine non ha la voglia (e non sa farlo più) di andare fino in fondo e di cogliere il blasfemo mondo dell’ipocrisia tra rapporti omo, ragazze addolcite, riprese insinuanti e voglie di cambiamento, mentre la morte insegue tutti senza sconti e senza nessuna preghiera virtuosa.
Matteoe Ettore, due fratelli contrapposti, due storie lontane e vicine, tra amori lasciati, nuove compagnie, una moglie da ricercare, un affetto represso e delle bugie, una ricchezza ostentata e una difficoltà per vivere. Matteo lo sbruffone e Ettore il represso.
Incontri, finzioni, nascondimenti, scontri, denaro e cento volte tanto: un abbraccio di silenzi e di voli.
Riccardo Scamarcio(Matteo): un ruolo ad hoc per un presuntuoso faccia da schiaffi.
Valerio Mastrandrea(Ettore): un volto scavato, una barba incolta e uno sguardo da perdente.
Jasmine Trinca (Elena): una freschezza stralunata e sberleffi recitativi.
Isabella Ferrari(Michela): uno sguardo profondo, un trucco dismesso, un parlare arroccato.
La regia segue ambientazioni particolari e di omaggio con una diversificazione dal solito cliché romano o dell’interno già considerato. Scene clou ed effetti facili repressi, misto tra ironia in metastasi e interiorità in agonia. Un guizzo di compiacenze sfinite e una ripresa in obliquo. Il cartellone è di foto mentre il treno sta per partire. Una corsa ombrosa e umida, grigia e di testa mentre il rumore in sottofondo riconduce ad una tavolata a fianco ad una spiaggia, in un dicembre non da bagno mentre Ettore vuole spogliarsi come un bambino che non sa. Matteo ride e invoca.
Entusiasmo in una regia minima, efficace, non di routine, poco incline all’effetto; fratelli in balia del tempo e della foga successo-insuccesso, e di una vita grama; fastidioso, difficile nei rapporti, non risolto, scuse di troppo; botte e lacrime che non asciugano. Ora non più, dopo qualcosa in meno, domani un giorno di parole; alla fine un cielo annerito da uno stormo ricolmo. Una voglia di copiare. Ma senza si poteva fare in un Tevere che Ettore non sa più scandire mentre Matteo riceve un dono dal cielo…da un gabbiano.
Alcune sequenze di troppo, alcuni discorsi non conclusi e alcuni misti incontri da rifare. Una vita amorosa interrotta, approcci fortuiti e amori maschili per conoscere uno e arrivare ad altri.
Insiste la camera in laterale, giravolte, lunghi passaggi e traffico in corsa; la pioggia ricambia, prima da dietro il vetro di una finestra poi dentro il vetro di un auto in affanno e di corsa.
Attenzione allo spirito e alle nuotate umide mentre il credere (forse) arriva tra una cartolina di Lourdes e una Međugorje in aereo privato. ‘Un aereo privato?’, ‘Tanto nessuno può saperlo’, ‘La Madonna sì..’: ecco che lo scontro verbale tra i fratelli per un’apparizione e un miracolo. Una scarpinata e un arrivare tra corpo che chiede e uno spirito che non chiede. È il credere in convenienza di un uomo (dis)perso.
Poi ecco che nella pellicola fraseggi e modi di un cinema omaggio (e oggi finito): Risi il cibo in veneranda al mare....; Monicelli il sarcasmo dei perdenti; Scola le intersezioni vuote degli ambienti romani....; Antonioni in alcune fissità sugli sguardi che arrivano pochissimo.
Regia varia e variopinta poco teatrante e classica.
Voto: 6½/10 (***).
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francesca meneghetti
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giovedì 1 novembre 2018
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buoni propositi, ma...
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Si deve dar atto a Valeria Golino di due meriti. Anzitutto, ha avuto il coraggio di affrontare un tema tanto praticato da configurare un genere vero e proprio (Cancer movies), che annovera decine di opere (il filosofo Luciano De Fiore, nel suo “Cinema e oncologia” ne considera circa ottanta). Difficile essere originali ed evitare ripetizioni, oltre che sentimentalismi ed eccessi di pathos. Il secondo merito consiste nell’aver prescelto l’osservazione della relazione tra due fratelli maschi, Ettore e Matteo, molto diversi tra loro, sconquassata dalla rivelazione di una malattia terminale, di cui è al corrente, però, solo il fratello sano, Matteo, che decide di nascondere la verità a scopo protettivo.
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Si deve dar atto a Valeria Golino di due meriti. Anzitutto, ha avuto il coraggio di affrontare un tema tanto praticato da configurare un genere vero e proprio (Cancer movies), che annovera decine di opere (il filosofo Luciano De Fiore, nel suo “Cinema e oncologia” ne considera circa ottanta). Difficile essere originali ed evitare ripetizioni, oltre che sentimentalismi ed eccessi di pathos. Il secondo merito consiste nell’aver prescelto l’osservazione della relazione tra due fratelli maschi, Ettore e Matteo, molto diversi tra loro, sconquassata dalla rivelazione di una malattia terminale, di cui è al corrente, però, solo il fratello sano, Matteo, che decide di nascondere la verità a scopo protettivo. Non ho ricordi o esperienza di altre simili focalizzazioni. Mi vengono in mente film che hanno analizzato altre relazioni turbate dalla malattia: amorose e tragiche (sulla scia del classico binomio eros/thanatos), come Love Story e Anonimo veneziano; generazionali (La prima cosa bella, ma anche Gran Torino e Voglia di tenerezza); di sorellanza (Sussurri e grida, il primo forse dei Cancer movies). Dunque l’intenzione della Golino è buona, non altrettanto la realizzazione. La sintassi del film è alquanto frammentata, con frequenti ellissi che non giovano però al ritmo, lento e appesantito da sequenze irrilevanti o fuorvianti come quella devozionale (?) in Bosnia, dalla Madonna di Medjugorj e da altre che danno uno spazio eccessivo alla vita “terrazziera” e fancazzista di certa società romana, o che rappresentano un omaggio alla convenzione (il nuoto in piscina, come in Blu di Kieslowski). Poi lo sguardo della regia si concentra sul fratello sano, Matteo, ma in modo superficiale: l’euforia che esibisce per mascherare il dolore non convince, è compiaciuta, poco credibile (come la sua attività: imprenditore di che?). E’ tanto preoccupato che nel bel mezzo va a farsi un intervento di chirurgia estetica per migliorare i polpacci, cosa che non è bello mettere in relazione con la sua omosessualità. La sua compassione verso il fratello è di facciata, ma, al tempo stesso, non si scava abbastanza sulle cause di un’ipotetica indifferenza di fondo. Ci sono, è vero, alcuni momenti di fratellanza che sembrano improntati a una certa autenticità, ma pochi. Ancora: è abbastanza scontato porre Matteo-Scamarcio, con la sua faccia da bambinone belloccio, dalla parte dei vincenti (nella salute, nello status sociale) e relegare nel ruolo di sfigato Ettore-Mastandrea, che pure è avvezzo, fin troppo, alla parte. Non sarebbe stato più interessante capovolgere i ruoli? Far vedere come reagisce alla prospettiva di perdere presto la vita uno che ha tanto da perdere? Come cambierebbero, in tal caso, le relazioni tra due fratelli maschi, in competizione tra loro? Ettore rimane un personaggio passivo, e i suoi rapporti con altre figure fondamentali (la madre, la moglie, l’ultima fiamma, il figlio) sono appena abbozzati. La sua interpretazione da parte di Valerio Mastandrea, forse il miglior attore del nostro cinema, è però grande. Si dirà che non si può dire tutto, ma se si sceglie un tema “psicologico” ciò che si deve tagliare è altro.
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andilento
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domenica 28 ottobre 2018
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una grande bellezza con più anima
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Tra fratelli maschi si parla poco, ci si trova spesso a doverlo fare proprio nelle situazioni peggiori, lutti o malattie. Si resta in bilico tra confidenza ed estraneità, tenerezza mascherata e cattiveria ostentata. Direi che Valeria Golino si è dimostrata piuttosto abile nel dosare sentimenti così estremi e delicati, facilitata dall'ironia graffiante di Mastandrea e dall'affiatamento con il suo ex Scamarcio. Proprio la parte di Scamarcio sembra quella di un mini-gep, almeno nel fisico, nelle movenze da piacione fra terrazze e salotti romani. Niente a che vedere con i dialoghi scritti da Sorrentino, certo, eppure nel complesso ho pensato a una Grande bellezza meno calligrafica ma con più anima.
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Tra fratelli maschi si parla poco, ci si trova spesso a doverlo fare proprio nelle situazioni peggiori, lutti o malattie. Si resta in bilico tra confidenza ed estraneità, tenerezza mascherata e cattiveria ostentata. Direi che Valeria Golino si è dimostrata piuttosto abile nel dosare sentimenti così estremi e delicati, facilitata dall'ironia graffiante di Mastandrea e dall'affiatamento con il suo ex Scamarcio. Proprio la parte di Scamarcio sembra quella di un mini-gep, almeno nel fisico, nelle movenze da piacione fra terrazze e salotti romani. Niente a che vedere con i dialoghi scritti da Sorrentino, certo, eppure nel complesso ho pensato a una Grande bellezza meno calligrafica ma con più anima. Non sono attento al dettaglio, né tanto meno all'etica di un comportamento, ma al modo in cui il regista riesce a rendere l'insieme, alla sensazione che il film ti lascia addosso.
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pintaz
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martedì 13 novembre 2018
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la bellezza protegge la bellezza
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Matteo per vivere liberamente la propria omosessualità acquista un attico a Roma e, attraverso la sua infantile leggerezza, fa in modo che la personale navigazione giornaliera sia un’eterna festa per allontanare la propria ipocondria e accontentare, anche solo con un bicchiere di vino, la truppa di amici che lo circonda.
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Matteo per vivere liberamente la propria omosessualità acquista un attico a Roma e, attraverso la sua infantile leggerezza, fa in modo che la personale navigazione giornaliera sia un’eterna festa per allontanare la propria ipocondria e accontentare, anche solo con un bicchiere di vino, la truppa di amici che lo circonda.
Volutamente cercati, da parte della regista, i riferimenti al nostro cinema migliore partendo da Ozpetek (memorabile il pranzo in famiglia con la madre che, come tutte, rilegge la fanciullezza dei figli rievocando lo stornello fischiato) per finire a Sorrentino con le inquadrature “mosse” dentro il soggetto e una certa, apparente, illogica logorroica allegria.
Matteo deve proteggere suo fratello Ettore dalla verità per una malattia che inesorabilmente lo porterà alla morte provando (soprattutto?) a salvare anche sé stesso mentre tenta di recuperare un rapporto irrisolto con un uomo schivo e moralmente integro che è esattamente il contrario di lui.
Diametralmente opposti per modo di vestire, nella gestione della propria vita, nei rapporti con gli altri, questa splendida pellicola gioca su questo cercando di entrare dentro Scamarcio (Matteo)/Mastrandrea (Ettore) al fine di comprendere l'uno il mondo dell'altro. Semplicemente perfetto il passo sull’imitazione a Stanlio e Ollio nel ricordo dell’infanzia perduta, e mai vissuta fino in fondo, che ricorda il contraltare di alcuni film di Andò.
Euforia non è altro che quella particolare sensazione che si prova, come viene raccontato in auto durante la gita al mare, quando si comincia a scendere in fondo al mare. Più si va giù e meno si hanno le percezioni dei suoni, dei colori e delle immagini come quando irrompe una malattia o gli anni passano inesorabilmente non facendo vivere ma, al limite, sopravvivere.
La magia, dopo due ore di spettacolo, sta proprio nel fatto di percepire perfettamente lo stato d’animo, come un pugno allo stomaco, di ogni protagonista poiché vissuto e, a volte, somatizzato.
In fondo, il messaggio della Golino che ci avvolge insieme a due straordinari attori, è proprio questo; anche in silenzio attraverso un abbraccio, bisogna capire che l’esistenza va vissuta come viene perché la vera essenza è che alla sera di essa ciò che conta veramente è aver amato.
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kimkiduk
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lunedì 29 ottobre 2018
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meglio del previsto
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Che dire .... Valeria ci hai provato.
Il cinema italiano spesso è strutturato da fiction tv. Gli attori recitano con tempi e modi da tv. I dialoghi e le situazioni da tv. La Golino mette qualche cucchiaino di sale in più soprattutto nel tentativo di cura delle immagini e dei personaggi.
Ho trovato la figura di Matteo molto interessante e quella di Ettore ritagliata intorno ad un Mastandrea ormai specializzato nella parte dello "sfigato" con cuore. Le luci hanno qualche cosa di ricercato, di una Roma però rivista da balconi e finestre. Però c'è di peggio.
Scamarcio decisamente migliorato nella recitazione forse è al suo massimo che non è eccelso ma che in un panorama debole eccelle.
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Che dire .... Valeria ci hai provato.
Il cinema italiano spesso è strutturato da fiction tv. Gli attori recitano con tempi e modi da tv. I dialoghi e le situazioni da tv. La Golino mette qualche cucchiaino di sale in più soprattutto nel tentativo di cura delle immagini e dei personaggi.
Ho trovato la figura di Matteo molto interessante e quella di Ettore ritagliata intorno ad un Mastandrea ormai specializzato nella parte dello "sfigato" con cuore. Le luci hanno qualche cosa di ricercato, di una Roma però rivista da balconi e finestre. Però c'è di peggio.
Scamarcio decisamente migliorato nella recitazione forse è al suo massimo che non è eccelso ma che in un panorama debole eccelle. Non credo potrà fare altri grossi miglioramenti.
Il finale un pò accartocciato, come spesso succede, penso sia la parte più complicata come chiudere un film, ma che non lascia nè delusione nè EUFORIA allo spettatore.
Mi era piaciuto di più Miele, ma possiamo dire va bene anche questo. Purtroppo è come la storia della classe divisa tra bravi e duri e te hai un figlio che è il migliore dei duri, ti devi accontentare.
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alesimoni
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domenica 4 novembre 2018
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(tragi)commedia all'italiana
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Film ottimo di una regista sempre più brava, sensibile e attenta, esaltato dalla migliore perfomance in carriera di un finalmente strepitoso Riccardo Scamarcio. Si ride (moltissimo) e si piange come nei migliori film della nostra gloriosa tradizione cinematografica, la regia è equilibrata e indugia sui particolari, sulle sfumature di colore e sugli sguardi. Scamarcio è grandioso nell'interpretazione di un personaggio complesso , egoista ,narciso ma anche sensibile. Mastandrea come al solito è una garanzia con il suo dolente malato terminale che nn abbandona mai la voglia di restare attaccato alla vita. Unico neo la caratterizzazione del personaggio di Jasmine Trinca che sembra essere stato un po' appiccicato lì.
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Film ottimo di una regista sempre più brava, sensibile e attenta, esaltato dalla migliore perfomance in carriera di un finalmente strepitoso Riccardo Scamarcio. Si ride (moltissimo) e si piange come nei migliori film della nostra gloriosa tradizione cinematografica, la regia è equilibrata e indugia sui particolari, sulle sfumature di colore e sugli sguardi. Scamarcio è grandioso nell'interpretazione di un personaggio complesso , egoista ,narciso ma anche sensibile. Mastandrea come al solito è una garanzia con il suo dolente malato terminale che nn abbandona mai la voglia di restare attaccato alla vita. Unico neo la caratterizzazione del personaggio di Jasmine Trinca che sembra essere stato un po' appiccicato lì. Bella la citazione della corsa di Jules&Jim riportata anche nel manifesto del film.
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maria f.
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giovedì 15 novembre 2018
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evviva i buoni film!
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Il film inizia con la visita del “faccendiere” Matteo all’incaricato amministrativo che cura per conto dell’alto Clero anche restauri di opere d’arte.
Matteo gli propone ancora una volta di affidare il restauro di un quadro da poco ritrovato e di grande interesse culturale a una scuola giapponese.
Il curatore per l’ennesima volta gli nega quest’incarico, preferendo affidare quest’operazione delicatissima e di notevole responsabilità a un “maestro di nazionalità italiana o europea” che per scuola e tradizione ritiene forse maggiormente all’altezza .
L’affarista cerca di tranquillizzare il Prelato attirando l’attenzione sul fatto che l’opera, che risale al 1600(?), chissà nei secoli a quanti restauratori è stata affidata per renderle la sua originaria beltà, concludendo che nessun nome di chi è intervenuto, è arrivato fino ai nostri giorni, quindi in futuro nessuno conoscerà mai la nazionalità dell’ultimo professionista/restauratore.
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Il film inizia con la visita del “faccendiere” Matteo all’incaricato amministrativo che cura per conto dell’alto Clero anche restauri di opere d’arte.
Matteo gli propone ancora una volta di affidare il restauro di un quadro da poco ritrovato e di grande interesse culturale a una scuola giapponese.
Il curatore per l’ennesima volta gli nega quest’incarico, preferendo affidare quest’operazione delicatissima e di notevole responsabilità a un “maestro di nazionalità italiana o europea” che per scuola e tradizione ritiene forse maggiormente all’altezza .
L’affarista cerca di tranquillizzare il Prelato attirando l’attenzione sul fatto che l’opera, che risale al 1600(?), chissà nei secoli a quanti restauratori è stata affidata per renderle la sua originaria beltà, concludendo che nessun nome di chi è intervenuto, è arrivato fino ai nostri giorni, quindi in futuro nessuno conoscerà mai la nazionalità dell’ultimo professionista/restauratore.
Ecco Matteo: suadente, persuasivo, uomo d’affari che porta messaggi rassicuranti, che offre i suoi servigi dando l’impressione che la strada da seguire non è impropria, Matteo che rileva spunti e appigli logici che confortano il suo navigato ed esperto interlocutore in merito al possibile e non illegale uso di ciò che sta proponendo.
Lui stesso ci crede e proprio per questo il messaggio giunge sincero e allo stesso tempo impudente.
Lui è così anche nel quotidiano, rischia, non lascia niente d’intentato, la sua vita è una continua esaltazione, condivide tutto con gli altri, casa sua è sempre aperta: offre, spende, regala, accoglie.
Anche a se stesso non risparmia niente amanti, droghe, una casa principesca arredata con gusto, costose operazioni di lifting, sballi.
La storia racconta di due fratelli, Matteo ed Ettore quest’ultimo colpito da un tumore al cervello.
Due uomini per personalità e livello socio-economico diametralmente opposti, che dovendo trascorrere a causa della gravissima malattia di Ettore questa fetta di vita insieme, rispolverano quei giochi che da bambini amavano fare, creando così quell’intimità autentica che li conduce in breve a voler sapere dell’altro a tuti i costi modi e atteggiamenti, segreti e curiosità che mai prima avrebbero osato chiedere.
Ci sono anche grandi scontri fra loro, conflitti mai risolti che hanno radici lontane.
Questa malattia li induce a una frequentazione forzata che darà a Matteo la possibilità di dimostrare a Ettore quanto amore ha sempre nutrito per lui e a Ettore riconoscere la capacità di un fratello che ha dovuto soffrire per affermarsi e combattere la sua battaglia da solo come omossessuale.
Finalmente Ettore è in grado solo ora di abbandonarsi, vincere la sua innata riservatezza e allargare le braccia lasciandosi fasciare dalla potente stretta di Matteo ricevendo così da lui quel calore e quella vitalità allo stesso modo di uno stormo di uccelli che volando all’unisono inventano e creano con le loro ali una scia capace di realizzare un unico polmone che sprigiona energia.
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