La pelle dell'orso |
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Un film di Marco Segato.
Con Marco Paolini, Leonardo Mason, Lucia Mascino, Paolo Pierobon.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 92 min.
- Italia 2016.
- Parthénos
uscita giovedì 3 novembre 2016.
MYMONETRO
La pelle dell'orso
valutazione media:
3,40
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La pelle dell'orsodi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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giovedì 10 novembre 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Per il suo esordio nel cinema di finzione, il documentarista Segato prende il romanzo del suo conterraneo e quasi coetaneo Matteo Righetto – entrambi sono padovani poco più che quarantenni – e lo fa suo in un film dedicato a Carlo Mazzacurati che, giocando per sottrazione con il racconto di genere, si rivela a sorpresa un’opera tanto affascinante da conquistare nel profondo. Pietro è il reietto del paese: segnato da un oscuro passato che l’ha portato in galera, è guardato di traverso sia al lavoro, sia all’osteria dove esagera col bere. Quando in valle ricompare un orso che attacca il bestiame, egli si offre di dargli la caccia dopo una scommessa al bar, un po’ per il premio in palio – un anno di paga offerto dal suo principale (Paolo Pierobon) – e un po’ per riguadagnare il rispetto dei compaesani. Alla sua ricerca si mette il quattordicenne figlio Leonardo, per lui poco più di un estraneo: solo con estrema fatica e grazie alle inusuali circostanze, il ragazzo riesce a strappare al padre qualche notizia sulla vita del genitore e sul destino della madre morta molti anni prima. Lo svolgimento segue nel modo più classico il percorso di formazione del giovane, già reso più adulto della sua età da un’esistenza non facile, ma inevitabilmente trasformato dall’avventura sulle orme di papà: un’avventura che si sviluppa con un che di western nella solitudine del bosco o su tracce di sentiero appena segnate, immersa in una natura indifferente quando non inquietante nel suo continuo intrecciare la vita e la morte. L’economia di parole dei protagonisti, in primis Pietro, è il segno distintivo dell’intera narrazione (la sceneggiatura è firmata dal regista assieme a Paolini e a Enzo Monteleone) tanto che pure le spiegazioni sono risolte così che siano le più stringate possibili senza che si avverta l’esigenza di ulteriori particolari: tra montanari bastano poche frasi, il resto lo fanno gli sguardi al cospetto di un ambiente scontroso. Le montagne della Val di Zoldo che fanno da sfondo alla vicenda sono fotografate allo scopo di riecheggiare una tale severità, sia quando la luce disegna chiaroscuri a volte inquietanti, sia quando le nuvole avanzano avvolgendole: molto merito va alla forografia di Daria D’Antonio, peraltro altrettanto efficace con i dettagli del sottobosco e, in special modo, con gli ambienti bui in cui le figure sbucano a tutto tondo. Il risultato è che nelle scene ambientate nelle abitazioni o all’osteria si avverte un certo qual sentore di gotico tridentino, accentuato da inquadrature che spesso vanno dal basso verso l’alto: viene così restituito il microcosmo asfittico delle piccole comunità chiuse – siamo a metà degli anni Cinquanta - da cui scaturisce quel marchio da cui Pietro desidera liberarsi. Se tutti i tasselli dal punto di vista di scrittura e tecnico si incastrano alla perfezione, analogo valore aggiunto apporta la prova degli attori: se fra quelli di contorno, spicca Lucia Mascino con la sua irregolare Sara, un Paolini invecchiato sostituisce alla consueta loquela una dura maschera che comunica a fatica mentre l’adolescente Leonardo Mason dimostra una maturità davvero notevole per un esordiente. E poi, ovviamente, c’è l’orso: visto che Segato viene dai documentari, il plantigrado è vero (reclutato in Ungheria), incarnando sfuggente ma pericoloso le insidie del mondo degli adulti che Domenico si trova e si troverà ad affrontare.
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