ashtray_bliss
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sabato 3 settembre 2016
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la natura umana al suo stato più spietato e crudo.
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The Survivalist è certamente un film che merita e cattura l'attenzione. In primis per il futuro prossimo nel quale è ambientato, ma del quale lo spettatore non percepisce nulla se non fosse per l'informazione proveniente da un grafico all'inizio della prellicola stessa. In secondo luogo perchè come un post-apocalittico che si rispetti concentra tutta l'essenza della storia attorno alla vera natura umana; quella natura spoglia di sentimenti elevati, di morale e di etica, mettendo a nudo, nel più letterale dei sensi, la natura umana più essenziale e primaria, dove tutto ruota attorno alla mera sopravvivenza, alla lotta contro il prossimo, visto come un nemico ed avversario pronto a prendere il sopravvento, dove tutto quanto c'è di bello e raffinato al mondo scompare sotto l'alone della disperazione, desolazione e disgregazione umana.
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The Survivalist è certamente un film che merita e cattura l'attenzione. In primis per il futuro prossimo nel quale è ambientato, ma del quale lo spettatore non percepisce nulla se non fosse per l'informazione proveniente da un grafico all'inizio della prellicola stessa. In secondo luogo perchè come un post-apocalittico che si rispetti concentra tutta l'essenza della storia attorno alla vera natura umana; quella natura spoglia di sentimenti elevati, di morale e di etica, mettendo a nudo, nel più letterale dei sensi, la natura umana più essenziale e primaria, dove tutto ruota attorno alla mera sopravvivenza, alla lotta contro il prossimo, visto come un nemico ed avversario pronto a prendere il sopravvento, dove tutto quanto c'è di bello e raffinato al mondo scompare sotto l'alone della disperazione, desolazione e disgregazione umana. Tale contesto di grigiume e appiattimento interiore viene in pieno contrasto con la magnificenza del luogo in qui si svolge l'azione di quasi tutto il film: all'interno di un bosco maestoso e spietato (riccorenti sono i simboli dualisti) che serve da rifugio al anonimo protagonista della pellicola ma che al contempo si rende il luogo inospitale e pericoloso del suo confinamento, fisico ed emotivo. In tale contesto l'uomo si dedica alla coltivazione del suo orticello che gli procura gli alimenti necessari per sopravvivere, e munito di fucile e poche cartucce il giovane tutti i giorni ripete lo schema routinario della sua esistenza, accertandosi che nel perimetro dell'abitacolo non vi siano nemici. Un giorno però la sua routine verrà spezzata dall'arrivo di due donne, una anziana madre e una giovane figlia che chiedono rifugio e cibo all'uomo in cambio delle prestazioni sessuali della più giovane. Il tutto ha alla base uno scambio di servizi legati strettamente al dualismo sopravvivenza e bisogno/istinto umano da soddisfare, privi di sentimentalismi ed altri legami psico-affettivi. Il tutto resta freddo, meccanico, vuoto. L'uomo acconsente ad accogliere il casa le donne ma restando sempre sulla difensiva. Nessuno può fidarsi di nessuno. Le relazioni umane si basano su scontri più o meno violenti e su scambi d'interesse. Più mani per coltivare l'orto, piu' persone per proteggersi dagli agguati degli intrusi. Ma in questo contesto di freddezza emotiva, di mancanza di empatia e di distacco totale qualcosa è destinato a cambiare. Quando l'uomo resterà ferito nel tentativo di salvare la ragazza da una violenza assistiamo al primo cambiamento di prospettiva in un film cupo, nichilista e pessimista sulla natura umana. Il secondo cambiamento è incentrato sul personaggio della stessa giovane. La ragazza s'intenerisce, si affezziona ed infine si innamora di colui che sino al giorno prima rappresentava uno sfruttatore del suo corpo e che le teneva il fucile puntato addosso. Non solo; quando capirà di essere rimasta incinta, emergerà ancora una volta, dirompante, la natura più spietata ed incontrollaile dell'animo umano, rendendo la giovane dal volto angelico ed innocuo in una brutale matricida. La natura, l'istinto di autoconservazione prende il sopravvento ancora una volta, e la ragazza capisce che per creare una famiglia e mantenere l'equilibrio a tre dovrà sbarazzarsi dell'anello più debole e vecchio della catena. Spiragli di luce e barlumi di speranza sono rari in questa pellicola ma sono decisivi per fotografare e delineare al meglio il cambiamento lento ma progressivo del survivalista del titolo, della sua rinascita interiore e del riappacificamento con alcuni frammenti dell'aspetto umano che aveva sepolto sotto le sabbie del tempo. L'empatia, la solidarietà, l'istinto di proteggere il più giovane e debole, la compassione che dimostra nei confronti della madre donandogli una morte più veloce e meno traumatica indicano l'evoluzione del protagonista. Alla fine l'uomo stesso deciderà di sacrificarsi per far fuggire da quel paradiso tramutato in inferno la ragazza, ripristinando quel minimo di umanità ed equilirio morale che credevamo fosse andato perso per sempre.
The Survivalist è un film intimista e crudo, che racconta in maniera lucida e diretta la vita di persone involute e disumanizzate, senza ingentilire troppo alcuni passaggi. E' un film che concentra tutta la sua essenza sulla spietatezza umana posta davanti alla minaccia costante di morte, una lotta contro il tempo per sopravvivere fino al giorno seguente. Eppure, alla fine, ci lascia un senso agrodolce di speranza assistendo al sacrificio volontario di un uomo per salvare la sua neotrovata compagna incinta. L'umanità dopotutto non si è spenta del tutto, e anche sotto le prove più ardue e disperate da sopportare basta poco per risvegliare i sentimenti della nostra umanità i quali in fondo sono gli unici veri elementi a guidarci in avanti: compassione, solidarietà, empatia, amore.
Fingleton firma una pellicola fieramente indipendente, forse un pizzico troppo intimista e cruda, che seppur senza risultare un capolavoro incisivo del genere (a tratti ricorda pellicole passate, quali Essential Killing, The Rover), riesce comunque a gestire in maniera abilissima solo tre interpreti, mettendo cosi in piedi un dramma famigliare, che vagamente si lega alle tragedie greche, in un contesto futuristico ma non troppo lontano o inverosimile da quello che potrebbe effetivamente verificarsi.
Buona la regia, sublime la fotografia naturale del luogo, convincenti le interpretazioni dei tre sofferti e sofferenti personaggi. I dialoghi invece sono ridotti all'osso perchè i movimenti, le espressioni, gli sguardi sono quelli che sorreggono quasi interamente il peso di questa pellicola semi-riuscita trasmettendo l'intensità dei momenti e delle emozioni provate. L'unico vero e proprio neo di questo lungometraggio? la lentezza con cui si svolge l'azione, la diluizione, forse eccessiva, dei tempi. Resta comunque un prodotto valido che merita di essere visto e apprezzato quando si ha voglia di riflettere. 2,5/5.
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(di tommy)
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alex62
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sabato 20 febbraio 2016
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spietato è il mondo prossimo venturo
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È un film piccolo che fa tanto male... Quando le ultime scorte di petrolio si saranno esaurite e la popolazione mondiale avrà “mangiato” tutte le risorse del pianeta, un ragazzo e suo fratello prenderanno rifugio nel fitto di un bosco, dove credono di essere al sicuro, ma, oltre a dover strappare a mani nude (o quasi) quel poco che riescono a ottenere per sopravvivere con furti e aggressioni ai loro confinanti, devono difendersi da bande sempre più aggressive e spietate.
La coscienza del protagonista sarà sgretolata dalla orrenda scelta: uccidere il fratello rischiare di essere catturato e ucciso lui stesso...
Si rifugia in una baracca e diventa contadino.
Dopo aver messo in scena con grande abilità, si potrebbe dire “teatrale”, questa tragedia, giunge - come un buon copione impone - una madre e una figlia disperate, che cercano rifugio.
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È un film piccolo che fa tanto male... Quando le ultime scorte di petrolio si saranno esaurite e la popolazione mondiale avrà “mangiato” tutte le risorse del pianeta, un ragazzo e suo fratello prenderanno rifugio nel fitto di un bosco, dove credono di essere al sicuro, ma, oltre a dover strappare a mani nude (o quasi) quel poco che riescono a ottenere per sopravvivere con furti e aggressioni ai loro confinanti, devono difendersi da bande sempre più aggressive e spietate.
La coscienza del protagonista sarà sgretolata dalla orrenda scelta: uccidere il fratello rischiare di essere catturato e ucciso lui stesso...
Si rifugia in una baracca e diventa contadino.
Dopo aver messo in scena con grande abilità, si potrebbe dire “teatrale”, questa tragedia, giunge - come un buon copione impone - una madre e una figlia disperate, che cercano rifugio.
Da questo momento, dopo un periodo di “acclimatazione” difficilissima, segnata da una diffidenza tesa e ostile fra i tre protagonisti, un drammatico evento modifica qualcosa di profondo in lui. Qui c'è un momento sostanziale per tutto il film che non posso rivelare, in quanto, oltre al pericolo di spoiler, che crea nel suo cuore una frattura profonda, l'unica che può ottenere una rottura in quel cuore ormai di pietra.
Mettendo a repentaglio la sua vita salva la ragazza, che, a sua volta lo cura e lo guarisce. Si crea qualcosa di profondo e d'indistruttibile nelle loro interiorità.
Ma la morte e l'avidità, sorelle gemelle, sono in agguato, sempre.
Il cinismo della sopravvivenza a tutti i costi, la fame che uccide ogni sentimento umano, anche le caratteristiche più inviolabili dell'antropologia, è come un quarto personaggio del film e agisce, quasi sempre forzando la volontà dei personaggi.
Ma, quando non ce lo aspettiamo più, la conversione del ragazzo salva due vite, senza riflettere, senza titubanze: sente che è quello che vuole, l'unica cosa importante: salvare due vite!
E noi scopriamo, con enorme raccapriccio, che il suo corpo servirà solo come cibo...ma il film non è ancora finito, non ci ha torturato abbastanza, in quanto nel finale scopriamo che non c'è vera salvezza in questo mondo di belve umane!
Dove la vita e addirittura la carne umana diventa oggetto di mercato come tutto il resto, non c'è rifugio dove potersi nascondere:
NESSUNO È AL SICURO!!!
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gianleo67
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lunedì 22 febbraio 2016
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homo homini lupus...foemina homini deus est
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Sopravvissuto alla terribile crisi demografica mondiale conseguente all'esaurimento dei combustibili fossili, un uomo vive in pieno isolamento all'interno di una foresta dove si è ritagliato l'eremo di una miserevole sussistenza basata sulla coltivazione di poche varietà vegetali. Sempre sul chi va là per difendersi dagli attacchi di altri gruppi umani dediti al cannibalismo, riceve la visita di un'anziana madre in cerca di cibo che è disposta a barattare il corpo della giovane figlia per un pasto ed una notte di riposo. Le cose però prendono una piega del tutto inaspettata.
Dimostrazione di come un soggetto fanta-horror in salsa apocalittica come questo possa insospettabilmente superare il facile pregiudizio dell'inflazione cinematografica e del dejavù, il film dell'esordiente Stephen Fingleton concentra le sue risorse creative e quelle più limitate del budget nel minimalismo di una messa in scena che agiti lo spettro di una inesorabile involuzione culturale e psicologica, laddove i chiari riferimenti allegorici e letterari riportano agli esempi di una esegesi biblica cara al mondo anglosassone ed al pessimismo antropologico dell'uomo ridotto allo stato naturale immaginato da Thomas Hobbes.
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Sopravvissuto alla terribile crisi demografica mondiale conseguente all'esaurimento dei combustibili fossili, un uomo vive in pieno isolamento all'interno di una foresta dove si è ritagliato l'eremo di una miserevole sussistenza basata sulla coltivazione di poche varietà vegetali. Sempre sul chi va là per difendersi dagli attacchi di altri gruppi umani dediti al cannibalismo, riceve la visita di un'anziana madre in cerca di cibo che è disposta a barattare il corpo della giovane figlia per un pasto ed una notte di riposo. Le cose però prendono una piega del tutto inaspettata.
Dimostrazione di come un soggetto fanta-horror in salsa apocalittica come questo possa insospettabilmente superare il facile pregiudizio dell'inflazione cinematografica e del dejavù, il film dell'esordiente Stephen Fingleton concentra le sue risorse creative e quelle più limitate del budget nel minimalismo di una messa in scena che agiti lo spettro di una inesorabile involuzione culturale e psicologica, laddove i chiari riferimenti allegorici e letterari riportano agli esempi di una esegesi biblica cara al mondo anglosassone ed al pessimismo antropologico dell'uomo ridotto allo stato naturale immaginato da Thomas Hobbes. Isolato dal mondo per sfuggire alle atrocità di una dieta a base di altri uomini e forse dai rimorsi di una coscienza che ha visto prevalere l'istinto di sopravvivenza sugli affetti familiari, l'adamitico protagonista del film strappa il miserrimo appezzamento di un minuscolo paradiso terrestre all'inesorabile dominio del regno vegetale, in attesa di una indesiderata Eva che ne solletichi gli istinti riproduttivi e ne garantisca la conservazione della specie. Lungi dall'essere didascalico o schematico, la dialettica di questo dramma della sopravvivenza (con la 'suocera' al posto del classico serpente dalla lingua biforcuta) sviluppa con soprpendente realismo gli elementi psicologici ed una progressione delle relazioni in un mondo dove amore e solidarietà sono mere categorie del pensiero e dove la pratica della violenza e della sopraffazione sono diventate una necessità quotidiana che garantisca la possibilità di rivedere con i propri occhi il nuovo giorno. Dall'eremo ecologista di un egoismo della sussistenza si passa quindi, attraverso le piccole folgorazioni visive di una regia attenta e partecipe, al menage a trois di una reciprocità umana in cui il sesso, la fame, la riconoscenza e la maternità scandiscono altrettante possibili svolte narrative in cui i soggetti meno adatti e necessari finiscono per uscire di scena, forse assecondando anche la facile nemesi di una colpa da espiare agli occhi del mondo (l'uomo reo di aver tradito il fratello, l'anziana donna per aver tradito la fiducia nell'Uomo) non prima di aver assolto ai propri doveri riproduttivi e nutrito una rinnovata speranza per la nascita di una nuova vita. Pur nella sostanziale sobrietà dei dialoghi e dello sviluppo narrativo, il film di Fingleton dimostra una sicura padronanza dei mezzi tecnici (il piano sequenza della singolar tenzone in mezzo ai campi) e la folgorante sensibilità nel suggerire alcuni passaggi con scene di suggestivo valore simbolico (la ragazza che conquista la fiducia dell'uomo convincendolo a farsi radere, le due donne che stringono il corpo dell'uomo malato nel caldo abbraccio di una materna concupiscenza, gli squarci onirici di una dolorosa fuga dalla civiltà) delegando al prevedibile finale le residue possibilità per l'incerto futuro del figlio degli uomini. Protagonisti più che in parte, tra cui si segnala la prestanza da novello Robinson Crusoe per il biondo Martin McCann e la elusiva sensualità di una efebica Mia Goth nel ruolo della giovane Milja. Fingleton (autore e direttore) giustamente premiato al British Independent Film Awards 2015, al Sitges - Catalonian International Film Festival 2015 e al Tribeca Film Festival 2015. Homo homini lupus, foemina foeminae lupior...foemina homini deus est.
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drachenbaer
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sabato 25 luglio 2020
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come è facile regredire
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La breve grafica introduttiva ci catapulta in un futuro nemmeno troppo lontano, quando il petrolio si esaurirà, a questo conseguirebbe, nel film, un crollo demografico piuttosto improvviso e una regressione della società ad una sorta di primitiva lotta per la sopravvivenza.
Sebbene girato in evidente economia, trovo interessanti punti di riflessione stimolati dal film.
La società si annulla (salvo forse nel finale...), si accartoccia sugli individui o su piccoli gruppi votati alla sopravvivenza, in un mondo di risorse scarsissime e con una natura avara di doni. Tutte le regole vengono spazzate via, ritorna un ruolo fisicamente subalterno della donna, l'etica si estingue, i rapporti tra consanguinei o parenti si dissolvono fino al sacrificio di chiunque per la propria sola salvezza, i razziatori/cacciatori vincono sugli agricoltori, non c'è nemmeno un residuo di religiosità.
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La breve grafica introduttiva ci catapulta in un futuro nemmeno troppo lontano, quando il petrolio si esaurirà, a questo conseguirebbe, nel film, un crollo demografico piuttosto improvviso e una regressione della società ad una sorta di primitiva lotta per la sopravvivenza.
Sebbene girato in evidente economia, trovo interessanti punti di riflessione stimolati dal film.
La società si annulla (salvo forse nel finale...), si accartoccia sugli individui o su piccoli gruppi votati alla sopravvivenza, in un mondo di risorse scarsissime e con una natura avara di doni. Tutte le regole vengono spazzate via, ritorna un ruolo fisicamente subalterno della donna, l'etica si estingue, i rapporti tra consanguinei o parenti si dissolvono fino al sacrificio di chiunque per la propria sola salvezza, i razziatori/cacciatori vincono sugli agricoltori, non c'è nemmeno un residuo di religiosità. Riappare quel mondo che immaginiamo essere esistito nella preistoria (o che, sbagliando, immaginiamo medievale). Tutto sommato una visione pessimistica che contempla esiti catastrofici, ma facilmente ipotizzabili come risultato della società, ridotta all'individualismo estremo cui siamo giunti. Se da questo mondo individualista, dove il patto sociale è dissolto, togliamo improvvisamente i mezzi di sussistenza, rimangono gli istinti basilari.
Apprezzo anche la lentezza narrativa e la scarsità del parlato, perché permettono un'immedesimazione più potente con una vita isolata, basata sui ritmi naturali, mentre la semplicità interpretativa elimina ogni separazione tra spettatore e protagonisti.
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