zarar
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venerdì 2 gennaio 2015
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cheryl dei miracoli
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Visto nella versione originale inglese. Il film, basato su una storia apparentemente vera riguardante una certa Cheryl Strayed, e tradotta dalla stessa in un reportage di grande successo, vorrebbe essere, come dice il titolo italiano del reportage medesimo, una storia selvaggia di avventura e rinascita. Non ho letto il libro, ma la prima e persistente sensazione che lascia il film è quella di qualcuno che ti prende per il naso. Una smilza e sbattuta Reese Witherspoon / Cheryl Strayed (quest’ultima su Internet di aspetto più robusto, ma non tanto), distrutta psicologicamente e fisicamente da una depressione successiva alla morte della amata madre, seguita da un successivo divorzio, e culminata nella dipendenza dalla droga e dal sesso promiscuo, viene presentata in una scena-chiave iniziale mentre barcolla penosamente e crolla per terra nel vano tentativo di caricarsi addosso un mega-zaino a tre piani da trekking solitario.
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Visto nella versione originale inglese. Il film, basato su una storia apparentemente vera riguardante una certa Cheryl Strayed, e tradotta dalla stessa in un reportage di grande successo, vorrebbe essere, come dice il titolo italiano del reportage medesimo, una storia selvaggia di avventura e rinascita. Non ho letto il libro, ma la prima e persistente sensazione che lascia il film è quella di qualcuno che ti prende per il naso. Una smilza e sbattuta Reese Witherspoon / Cheryl Strayed (quest’ultima su Internet di aspetto più robusto, ma non tanto), distrutta psicologicamente e fisicamente da una depressione successiva alla morte della amata madre, seguita da un successivo divorzio, e culminata nella dipendenza dalla droga e dal sesso promiscuo, viene presentata in una scena-chiave iniziale mentre barcolla penosamente e crolla per terra nel vano tentativo di caricarsi addosso un mega-zaino a tre piani da trekking solitario. E qui finisce il verosimile e comincia la favola. Perché in queste condizioni la dolce fanciulla sta progettando di affrontare a piedi, a scopi di riscatto personale e ritrovamento del suo più vero io, una pinzillacchera come il Pacific Crest Trail, un percorso di più di 4.000 km con dislivelli che arrivano a 4.000 metri, rallegrato, come poi si vedrà, da deserti a perdita d’occhio con disidratazione garantita, paludi, climi intollerabili per caldo o freddo o piogge, sentieri impraticabili tra le rocce, per non parlare di sibilanti serpenti e umani (meno delle dita di una mano) ancora meno rassicuranti dei serpenti. In tre mesi, miracolata da uno strenuo allenamento ma non per questo rinsavita, è, a sentir lei, pronta a partire. Lasciatemi dire che questo esordio indispone una persona di moderato buon senso e rende proclivi ad un criticismo forse eccessivo. E va bene non aver niente da perdere, e va bene l’eroe che si cela dentro ogni Americano e soprattutto Americana, e va bene lo spirito di frontiera, e va bene il fanatismo quasi religioso con cui alcuni soggetti del genere affrontano le imprese più improbabili, ma enough is enough! Tutto il film è così, anche se veniamo informati che un bel pezzo del percorso – eh eh, bricconcella… - è stato saltato, che qualche passaggio su quattro ruote se lo è concesso, e altre minuzie del genere. Il tutto resta fastidiosamente inverosimile. Il peggio è che, in questa gloriosa Odissea, del percorso interiore di rinascita e della comunione salvifica con la natura nulla trapela di significativo. Ciò non impedisce alla nostra eroina di raggiungere i confini del Canada dichiaratamente rinnovata in corpo ed anima, anche se con la solita faccia vagamente disperata dell’inizio. Da quel momento in poi – ci informa doverosamente – tutto si è risolto ed è andato per il meglio. Restiamo edificati. Il film è ricco di utili consigli per escursionisti: come sostituire scarponi perduti (il destro) e scagliati nel vuoto con rabbia (il sinistro) con zatteroni di gomma fissati a piedi sanguinanti con lo scotch, come mangiare cibi crudi finché non si impara a far funzionare un fornello da campeggio (particolare sfuggito in allenamento), come scappare agilmente e con successo, al solito carica come un mulo, da figuri pericolosi in tenuta leggera.
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storie di cinema
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mercoledì 8 aprile 2015
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un viaggio spirituale fuori dal consueto
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Cosa c’è dietro la fatica, dietro il sangue di un’unghia staccata, dietro le imprecazioni urlate proprio di fronte a un angolo di mondo incontaminato, ancora in pace con la natura e con le sue meraviglie? C’è tutta la vita di Cheryl Strayed. C’è la rovinosa esistenza di una ragazza inghiottita dalle proprie disavventure e annichilita da una disperata rassegnazione. Una vita difficile, quindi, resa pubblica dalla stessa Strayed tramite il libro di memorie Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita, ed arrivata al cinema grazie a Jean-Marc Vallée – Dalla Buyers Club, C.
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Cosa c’è dietro la fatica, dietro il sangue di un’unghia staccata, dietro le imprecazioni urlate proprio di fronte a un angolo di mondo incontaminato, ancora in pace con la natura e con le sue meraviglie? C’è tutta la vita di Cheryl Strayed. C’è la rovinosa esistenza di una ragazza inghiottita dalle proprie disavventure e annichilita da una disperata rassegnazione. Una vita difficile, quindi, resa pubblica dalla stessa Strayed tramite il libro di memorie Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita, ed arrivata al cinema grazie a Jean-Marc Vallée – Dalla Buyers Club, C.R.A.Z.Y. – e allo scrittore inglese Nick Hornby, che ha curato la sceneggiatura. E allora ecco Reese Witherspoon da sola in una stanza che tenta di sollevare in maniera goffa un enorme zaino da trekking per incamminarsi, poi, lungo i sentieri polverosi del Pacific Crest Trail. Non c’è un briciolo di entusiasmo in lei. Cheryl porta con sé tutto il peso delle sue provviste e quello ancor più schiacciante dei ricordi. Ricordi che costituiscono un trascorso inclemente e che raccolgono tutto il senso di una decisione importante. Vallée li inscena attraverso flashback ripetuti e taglienti, che fanno via via affiorare gli elementi salienti di un trascorso ancora oppressivo ed emotivamente penetrante. Il regista canadese fa un ottimo lavoro. Il suo stile, infatti, dimostra ancora una volta di essere controllato, di avere padronanza delle parti, di avvalersi di un linguaggio coinvolgente ed equilibrato nella gestione delle sensazioni. A contrasto con gli spettri passati di Cheryl c’è tutta la fatica del cammino in atto: il caldo, la neve delle alture, incontri causali di animali e umani. Spavento, soste rigeneranti, sconforto, consigli di chi ha sposato la medesima causa, grinta, anche quando le piaghe sulla schiena fanno male e le scarpe dilaniano i piedi. Questo è il prezzo di tanta dissolutezza. Questo è il prezzo che riscatterà la virtù perduta. Questo è ciò che occorre a Cheryl per ripartire dopo una perdita importante – Luara Dern, nel ruolo di una moglie maltrattata e di una madre adorabile - e per ricostruire una speranza sopra le macerie lasciate dal dolore subito. Un dolore profondo, devastante, tenuto a bada da eroina e sesso occasionale. Wild è un viaggio spirituale fuori dal consueto che, tuttavia, non punta alla spiazzamento, né all’escalation di tensione o alle facili emozioni da melodramma. Uno smarrimento identitario che, sin dal titolo, ricorda molto il bel film di Sean Penn Into the Wild. E, in verità, sono tanti i punti in comune: libri, audacia, determinazione, spazi sterminati, contatto con la natura. Ma l'intimismo delle vicende, il senso quasi contemplativo che le accompagna, indotto da una dimensione domestica chiusa rispetto al mondo esterno - tanto da toccare solo di striscio una lettura socioculturale -, rendono senz’altro Wild un qualcosa di altrettanto interessante che si spinge ben oltre il semplice rifacimento al femminile dell’opera di Penn. Brava Reese Witherspoon, fulcro del film, capace in ogni istante di concentrare su di sé tutta la potenza espressiva delle vicende e di rivelare senza forzature le contraddizioni di una donna in rivolta con se stessa, ostinata a ristabilire un contatto sincero col genere umano e con la parte più viva della sua personalità. Wild è un film che può insegnarci qualcosa sulla vita e sul coraggio. Una raro esempio cinematografico che parla di sacrificio e redenzione in chiave laica, in cui volontà e razionalità sembrano essere elementi imprescindibili per addolcire e reinventare le sorti dell’esistenza.
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[+] bella recensione.congratulazioni!
(di mericol)
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[+] un formativo, emozionante viaggio dentro se stessi
(di antonio montefalcone)
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cinebura
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martedì 7 aprile 2015
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in viaggio per tornare a vivere
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Comprate uno zaino a tre piani, riempitelo con tutto quello che può essere utile per sopravvivere mesi nel deserto e tra le montagne del Sierra Nevada. Godetevi l'ultima notte di pace e di comodità in un caldo e soffice letto di un motel. La mattina seguente caricatevi lo zaino sulle spalle e iniziate a camminare. Passo dopo passo, notte dopo notte, sul sentiero del "Pacific Crest Trail". Ecco che state percorrendo la via per tornare a vivere veramente. Incomincerete di nuovo ad apprezzare i doni di madre natura senza dare mai niente per scontato. Accendere un fuoco per la sera e mangiare qualcosa di caldo sarà la vostra unica preoccupazione di quella notte, lontano da tutti i pensieri che affollano la vita quotidiana.
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Comprate uno zaino a tre piani, riempitelo con tutto quello che può essere utile per sopravvivere mesi nel deserto e tra le montagne del Sierra Nevada. Godetevi l'ultima notte di pace e di comodità in un caldo e soffice letto di un motel. La mattina seguente caricatevi lo zaino sulle spalle e iniziate a camminare. Passo dopo passo, notte dopo notte, sul sentiero del "Pacific Crest Trail". Ecco che state percorrendo la via per tornare a vivere veramente. Incomincerete di nuovo ad apprezzare i doni di madre natura senza dare mai niente per scontato. Accendere un fuoco per la sera e mangiare qualcosa di caldo sarà la vostra unica preoccupazione di quella notte, lontano da tutti i pensieri che affollano la vita quotidiana. Ogni volta che berrete un sorso d'acqua sarà come bere la bevanda più fresca e buona di sempre, quella che tutti noi desideriamo durante le giornate estive. Sarà come nascere nuovamente cullati dalle montagne o dal cielo stellato. La solitudine vi porterà a parlare con voi stessi, con i vostri ricordi racchiusi nel cuore. Il vostro unico obbiettivo sarà quello di arrivare alla fine del duro e impervio viaggio tra le Ande. Uscirete da quel sentiero di pietre e tornerete nelle grandi città cambiati, rigenerati da qualcosa di inspiegabile. Pronti per vivere una nuova vita in pace con se stessi e volenterosi a non commettere più gli errori passati.
Ecco entrerete nella sala del cinema con le luci che si stanno per spegnere e con lo schermo che sta per prendere vita. Vi sederete sulle soffici poltrone e ammirerete la storia di una ragazza che nacque due volte. Una ragazza che non sapeva apprezzare la vita e che per colpa di una serie di disgrazie familiari è arrivata quasi a perderla. Toccando il fondo e perdendo tutti quelli che le volevano bene Cheryl Strayed, la nostra protagonista, decise di partire, di partire per quel viaggio, quel viaggio di rinascita spirituale. Il percorso si presenta duro e davvero massacrante per Cheryl, la quale pensa più volte di mollare tutto, ma, con una gran forza di volontà e con voglia di riscattarsi riesce a continuare lo stretto sentiero. Lei vuole tirare fuori da se il meglio come lo riusciva a fare sua madre. Quest'oggi Cheryl non è sola, è accompagnata da voi spettatori che state seduti su quelle poltrone. Camminate con lei fino alla meta, fino alla vera vita, fino alla rinascita e fino alla felicità. Ecco che uscirete dalla sala cambiati in qualche modo e forse, con un viaggio da organizzare o almeno sognare.
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riccardo1309
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mercoledì 8 aprile 2015
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semplicemente wild
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Viene proposta una realizzazione cinematografica di qualità firmata JeanMarc Vallèe e Nick Hornby , dal titolo accattivante ‘’Wild’’ che suscita a primo acchito l’immagine della bellezza paesaggistica del continente americano dall’immenso fascino della sua natura ancora semi incontaminato , suggerendo come trama un tracking di tutto rilievo 1600km , una storia autobiografica nel genere femminile che ci dirotta inevitabilmente ai predecessori del genere il bellissimo e sofferente‘’Tracks’’ e all’indimenticabile ed enigmatico ‘’Into the wild’’ dell’illustrissimo Sean Penn .
Wild è una pellicola semplice , pulita ,direi quasi di tutti i giorni , se non fosse per il contesto avventura in un’impresa fisica e mentale non realizzabile da tutti , ma così finemente filmata che sembra una passeggiata in un parco metropolitano dove si coglie una boccata di aria pura mentre le nostre sensazioni svolazzano cariche di energie interiori , ritrovandoci spesso di fronte allo specchio delle nostre brame giudici e giudicati dal proprio io .
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Viene proposta una realizzazione cinematografica di qualità firmata JeanMarc Vallèe e Nick Hornby , dal titolo accattivante ‘’Wild’’ che suscita a primo acchito l’immagine della bellezza paesaggistica del continente americano dall’immenso fascino della sua natura ancora semi incontaminato , suggerendo come trama un tracking di tutto rilievo 1600km , una storia autobiografica nel genere femminile che ci dirotta inevitabilmente ai predecessori del genere il bellissimo e sofferente‘’Tracks’’ e all’indimenticabile ed enigmatico ‘’Into the wild’’ dell’illustrissimo Sean Penn .
Wild è una pellicola semplice , pulita ,direi quasi di tutti i giorni , se non fosse per il contesto avventura in un’impresa fisica e mentale non realizzabile da tutti , ma così finemente filmata che sembra una passeggiata in un parco metropolitano dove si coglie una boccata di aria pura mentre le nostre sensazioni svolazzano cariche di energie interiori , ritrovandoci spesso di fronte allo specchio delle nostre brame giudici e giudicati dal proprio io . Si evincono nel corso del film , due strade possibili nel vivere la propria esistenza : essere stupidi ma felici nella convenzionalità , o sensibili e sofferenti nel l’arena dei nostri sentimenti . (o dedalo delle nostre sofferenze , citazione dal film)
Wild non ci mostra la bellezza dei paesaggi mozzafiato di una natura più grande di noi , non ci mostra l’eroismo dello spirito indomabile americano di fronte all’avversità , non è questo , Wild non è l’ambiente , ma il selvaggio che pulsa nel nostro DNA , il vuoto oscuro dell’essere che crea un bisogno di riempimento , soggettivo a tutti .
Il suggerimento personale dell’autrice si addice a una miriade di esperienze comuni a tutti , semplicemente alla vita . Vado oltre lo stereotipo e mi sorge il ricordo di ‘Il cammino di Santiago’ interpretato da Martin Sheen in cui cito : La vita non si sceglie ma si vive . E all’insegnamento colto da ‘’Lucy’’ per la ‘realizzazione della fonte’ nel pensiero zen di Luc Besson .
Non ho letto il libro ma consiglio di non perdersi il finale del film che chiude con chiave poetica il tutto .
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paulnacci
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lunedì 15 giugno 2015
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il coraggio di ricominciare
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Della protagonista di questo film ho soprattutto ammirato il coraggio e la volontà di rimettere ordine nella propria vita, affrontanto una sfida molto difficile sia dal punto di vista fisico che mentale.Non è facile affrontare le proprie paure.
Grazie ai flashback un pò alla volta scopriamo quali siano le state le motivazioni che l' hanno spinta ad intraprendere questo viaggio dentro se stessa. Belle immagini ottima colonna sonora .Grande somiglianza fisica tra l' attrice e la protagonista reale.
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giank51
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giovedì 20 agosto 2015
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non c'è solo il cammino di santiago
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C'è sempre qualcosa che accomuna queste esperienze personali che prevedono per la propria rinascita un pellegrinaggio. In Europa molti sono questi cammini spirituali, il più noto è quello di Santiago di Compostela. Un lungo cammino nella natura implica un altro più intimo cammino all'interno di sè stessi alla ricerca di qualcosa che si è perduto: la propria anima. Prima di questo film ignoravo l'esistenza negli USA di qualcosa di analogo, il Pacific Trail Crest. Una totale immersione nella natura per riemergere rinnovati.
Ma questo film non si esaurisce in una versione americana dell'esperienza della "Wanderung".
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C'è sempre qualcosa che accomuna queste esperienze personali che prevedono per la propria rinascita un pellegrinaggio. In Europa molti sono questi cammini spirituali, il più noto è quello di Santiago di Compostela. Un lungo cammino nella natura implica un altro più intimo cammino all'interno di sè stessi alla ricerca di qualcosa che si è perduto: la propria anima. Prima di questo film ignoravo l'esistenza negli USA di qualcosa di analogo, il Pacific Trail Crest. Una totale immersione nella natura per riemergere rinnovati.
Ma questo film non si esaurisce in una versione americana dell'esperienza della "Wanderung". Qui aleggiano due grandi figure del panorama culturale americano: H.D. Thoreau con il suo mito della "Wilderness" e J.Hilman, lo psicologo dell'anima. Il regista ci dice che possiamo perdere la nostra anima durante la nostra esistenza per tutta una serie di motivi ma c'è sempre la possibilità di recuperla anche più autentica di prima, come? La risposta è tutta americana: immergendosi nella natura, quello che H.J. Thoreau non cessò mai di ripetere durante la sua esistenza.
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gianleo67
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sabato 9 maggio 2015
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tracking philosophy on pacific crest trail
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Delusa e insoddisfatta da una vita inconcludente e sregolata e nel tentativo di elaborare il lutto della perdita della madre e della separazione dal marito, la giovane Cheryl Strayed si cimenta senza alcuna preparazione atletica e logistica nel PCT (Pacific Crest Trail), uno dei percorsi escursionistici più impegnativi e difficili degli States che si dispiega lungo tre stati, dal confine meridionale con il Messico a quello settentrionale con il Canada, lungo una dorsale montuosa che segue parallelamente la costa pacifica del continente Nord Americano. Alla fine dei due mesi più straordinari e massacranti della propria vita, Cheryl giungerà alla meta del suo percorso come una persona totalmente cambiata e piena di rinnovate speranze per il futuro.
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Delusa e insoddisfatta da una vita inconcludente e sregolata e nel tentativo di elaborare il lutto della perdita della madre e della separazione dal marito, la giovane Cheryl Strayed si cimenta senza alcuna preparazione atletica e logistica nel PCT (Pacific Crest Trail), uno dei percorsi escursionistici più impegnativi e difficili degli States che si dispiega lungo tre stati, dal confine meridionale con il Messico a quello settentrionale con il Canada, lungo una dorsale montuosa che segue parallelamente la costa pacifica del continente Nord Americano. Alla fine dei due mesi più straordinari e massacranti della propria vita, Cheryl giungerà alla meta del suo percorso come una persona totalmente cambiata e piena di rinnovate speranze per il futuro.
Da un soggetto autobiografico della protagonista del film ('Wild: From Lost to Found on the Pacific Crest Trail') e dalla sceneggiatura dello scrittore inglese Nick Hornby, Jean-Marc Vallée ('Dallars Buyers Club' - 2013) trae un dramma esistenziale dall'animo avventuroso che sembra incrociare la metafora di una catarsi uomo-natura dell'esordio di Sean Penn ('Into the Wild' -2007), il survival-drama da biopic esemplare di Danny Boyle ('127 ore' - 2003) e la esegesi di una dimensione spirituale del percorso di autoflagellazione di Emilio Estevez ('Il cammino per Santiago' 2012), riuscendo tuttavia a mantenere una propria identità cinematografica soprattutto nella capacità di alternare il prima e il dopo (durante?) di una protagonista nella continua ed ostinata lotta contro una se stessa che non vuole e non può più permettersi di riconoscere. Giocando su di uno scarto cronologico e scenografico che sembra far coesistere nei magheggi del montaggio (dello stesso autore sotto lo pseudonimo di John Mac McMurphy) le fasi contraddittorie di un percorso esistenziale che dalla claustrofobica insofferenza per la vita di provincia (l'infanzia segnata dalla violenza paterna, l'adolescenza piena di speranze disattese, una maturità di incomprensioni familiari e coniugali, la lenta discesa nel tunnel delle dipendenze) si trasferisce negli sconfinati orizzonti di una natura selvaggia ed ostile che reclamano il drastico cambio di prospettiva necessario alla sopravvivenza fisica e psichica. Fin qui tutto bene e tutto risaputo diremmo, compresi gli incidenti di percorso di una rinnovata (s)fiducia verso il genere umano (gli ha detto bene al contrario della nostra compianta Pippa Bacca) ed i sensi di colpa da superare a colpi di flashback e voice over, se non fosse che gli elementi narrativi e le dinamiche dell'azione sembrano eccessivamente compressi nelle maglie del cut-off, rischiando di banalizzare tanto le motivazioni profonde di questo disagio esistenziale a tratti poco comprensibile (il linguaggio visivo è un talento che non tutti possiedono) quanto il drastico espediente di un'autoflagellazione 'on the road' che le vorrebbe esorcizzare (ma lei è golosa e ci ricasca col primo rockettaro che incontra). Restano, è vero, le emozioni di un drammone strappalacrime che il volto meraviglioso della superlativa Laura Dern rende credibile e umanissimo ed i rari momenti di felici intuizioni cinematografiche dal sapore favolistico (lo sguardo esopico e compassionevole di una volpe delle nevi e l'ugola d'oro di un angioletto riccioluto che sembrano aver capito chi sei) che la bellissima colonna sonora sottolinea a dovere. Tra azione (poca) e riflessione (troppa) è un film che sfida coraggiosamente i suoi abbondanti 115' meglio di come la protagonista affronti i suoi due mesi di peripezie tra le montagne dell'Oregon, riuscendo a condurre lo spettatore al di là di un 'Ponte degli Dei' che, si sà, guardano sempre con indulgenza ed il necessario distacco le sventure e le disavventure degli esseri mortali. Bravina la Witherspoon con quella faccia tosta e un pò così della brava ragazza che non deve chiedere mai. Nomination ai premi oscar 2015 per le due attrici principali.
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allaroundtheworld
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lunedì 1 giugno 2015
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wild ma non troppo
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Se si ha già visto Into the wild - Nelle terre selvaggie non so quanto sia facile apprezzare questo film. Io non ci sono riuscita. Entrambe tratte da delle biografie, ma se c'è un Sean Penn alla regia e dietro la sceneggiatura, spiacente ma ne esce tutta un'altra cosa. Wild è una imbarazzante replica al femminile, con una Reese Witherspoon abbastanza insipida, che suscita ben poca empatia. Il titolo sembra più avvicinarsi ad una descrizione di quella che diventa l'esistenza della protagonista dopo la morte della madre più che evocare una sua "resurrezione" grazie all'isolamento e al contatto con la natura (... punti già qui discuibili.
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Se si ha già visto Into the wild - Nelle terre selvaggie non so quanto sia facile apprezzare questo film. Io non ci sono riuscita. Entrambe tratte da delle biografie, ma se c'è un Sean Penn alla regia e dietro la sceneggiatura, spiacente ma ne esce tutta un'altra cosa. Wild è una imbarazzante replica al femminile, con una Reese Witherspoon abbastanza insipida, che suscita ben poca empatia. Il titolo sembra più avvicinarsi ad una descrizione di quella che diventa l'esistenza della protagonista dopo la morte della madre più che evocare una sua "resurrezione" grazie all'isolamento e al contatto con la natura (... punti già qui discuibili...). In questo la scena d'apertura è d'effetto e descrive bene lo stato selvatico di Cheryl Strayed, dallo stile di vita allo stato brado tra sesso e droga. Il bello è che questa similitudine dura fino alla presentazione del titolo, quindi forse cinque minuti, anche meno. Da qui in poi quel sentore di selvatico, di selvaggio, viene sempre meno. Accompagnamo Cheryl tra i pericoli della natura (un serpente che se ne sta per i fatti suoi, e con gli ampi spazi che la circondano Cheryl esita mooooolto a lungo prima di aggirarlo di un metro o poco più....) e i suoi inconvenienti (non sapere come far funzionare un fornello, non avere le scarpe adatte....e notiamo come ogni volta incontri sempre qualcuno che finisca con il darle una mano), oltre che ai pericoli "umani" (OGNI volta che Cheryl incontra uno sconosciuto nel bel mezzo del nulla, ovviamente si tratta sempre di uomini e si fa di tutto per farci credere che lei stia per essere stuprata). Lungo il percorso si alternano flashback sulla sua vita, dalla madre alle pseudo-relazioni, ecc: non si può dire sia proprio una "trovata" registica originale, anche perché la vera linea narrativa finisce col seguire il passato di Cheryl e non il suo presente, al punto che alla fine del film lei si dice finalmente rinata... ma non si capisce in che modo esattamente arrampicarsi sulle rocce e marciare nella neve l'abbiano cambiata. Non percepiamo una sua completa fusione con l'ambiente, non c'è un vero contatto con la natura. Non è neanche un vero ritiro dal mondo il suo, vista la quantità di gente che attraversa sul cammino. Si ha più l'impressione che, mentre lei sta percorrendo il suo sentiero di rinascita interiore, noi ripercorriamo la strada che l'ha condotta alla depressione. E ci ritroviamo infine dal fondo alla cima confusionati, con la sensazione di esserci persi l'intera salita. E uscendo dalla sala, non abbiamo l'impressione ci sia rimasto qualcosa. E' difficile persino provare ammirazione o compassione. Se la pseudo-ricerca interiore c'è stata, non vi siamo stati molto partecipi. E se non c'è stata, forse a Cheryl invece che 1.600 km bastava un giro intorno all'isolato per trovare sé stessa.
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(di darkovic)
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flyanto
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venerdì 10 aprile 2015
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un lungo cammino di rinascita personale
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Film in cui si racconta di una giovane donna che, dopo la morte della madre e dopo essere caduta in una spirale di conseguenti scelte sbagliate nel corso della sua esistenza, decide di ricostruirsi la propria vita intraprendendo un percorso quasi di "rinascita" attraverso la lunga traversata a piedi e da sola della Pacific Crest Trail. Riuscirà a portare a termine, non senza difficoltà, quanto deciso.
Questa pellicola trasporta cinematograficamente le esperienze narrate nel suo libro di memorie dalla reale Cheryl Strayed che veramente intraprese negli anni '90 e dopo un'esistenza dissoluta il difficile viaggio a piedi e da sola attraverso le montagne del territorio dell' America dell'Ovest.
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Film in cui si racconta di una giovane donna che, dopo la morte della madre e dopo essere caduta in una spirale di conseguenti scelte sbagliate nel corso della sua esistenza, decide di ricostruirsi la propria vita intraprendendo un percorso quasi di "rinascita" attraverso la lunga traversata a piedi e da sola della Pacific Crest Trail. Riuscirà a portare a termine, non senza difficoltà, quanto deciso.
Questa pellicola trasporta cinematograficamente le esperienze narrate nel suo libro di memorie dalla reale Cheryl Strayed che veramente intraprese negli anni '90 e dopo un'esistenza dissoluta il difficile viaggio a piedi e da sola attraverso le montagne del territorio dell' America dell'Ovest. Tutto il film si snoda, dunque, presentando il difficile cammino, fisico e spirituale di rinascita, della protagonista ed i pericoli in cui ella incorse, riuscendo a superarli con molta tenacia e buona volontà (nonchè un pizzico di fortuna) e ritraendo paesaggi naturali, assolati od innevati, fantastici e molto suggestivi. La trama in sè non presenta alcuna novità: svariati films e libri di memorie del genere sono stati ideati e prodotti, basti pensare anche alla precedente pellicola "Tracks" con Mia Wasikowska, e pertanto anche questo rientra nel filone avventuroso-suggestivo in cui il/la protagonista costituiscono gli eroi indiscussi, tormentati ma sufficientemente determinati, ed abili da portare a fine il loro programma ed, ovviamente, con successo. La fotografia, più che la trama, diventa il solo elemento in questo tipo di pellicole suggestivo e seducente e dunque anche di attrazione e di interesse per lo spettatore, il resto, ripeto, è solo ripetizione, sia pure in contesti diversi.
In conclusione, in generale il film è piacevole, nonostante qualch lungaggine di troppo, ma nulla di più.
Reese Whiterspoon, la protagonista, è ben rispondente al suo ruolo di donna tormentata, dedita alle esperienze più estreme di sesso promiscuo ed uso costante di eroina e dal passato quanto mai burrascoso ma anche riguardo a lei, non si può aggiungere altro di più.
Nemmeno l'abile sceneggiatura cinematografica adattata dal libro ad opera dello scrittore Nick Hornby riesce un poco a distinguere questa pellicola e renderla più particolare. Peccato!
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eugenio
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lunedì 6 aprile 2015
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la donna e la natura
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Se tra di voi si nasconde uno spirito inquieto “affamato” di camminate e lunghi percorsi, allora il recente Wild potrebbe essere una giusta occasione per trascorrere due ore immersi un uno spettacolo naturale dove pratagonista e ambiente quasi si fondono per creare un tutt’uno con l’empatia dello spettatore.
Non ci si lasci ingannare però: Wild è una pellicola “furba”. Chiaramente sentimental-drammatico, dicotomico e per antifrasi “anti-naturale” nella sua artificiosità stilistica fatta di frequenti e confusi flashback, è costruito subdolamente per essere eccellente trappola per topi per spettatori pronti a usare il fazzoletto alla prima occasione.
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Se tra di voi si nasconde uno spirito inquieto “affamato” di camminate e lunghi percorsi, allora il recente Wild potrebbe essere una giusta occasione per trascorrere due ore immersi un uno spettacolo naturale dove pratagonista e ambiente quasi si fondono per creare un tutt’uno con l’empatia dello spettatore.
Non ci si lasci ingannare però: Wild è una pellicola “furba”. Chiaramente sentimental-drammatico, dicotomico e per antifrasi “anti-naturale” nella sua artificiosità stilistica fatta di frequenti e confusi flashback, è costruito subdolamente per essere eccellente trappola per topi per spettatori pronti a usare il fazzoletto alla prima occasione.
Vantando una struttura registica creata dal cineasta di Dallas Buyers Club -Jean-Marc Vallée- e sfruttando una sceneggiatura di Nick Hornby (basato sul libro di memorie autobiografico di Cherly Strayed) vede, come nel genere che si rispetti, l’uomo ( o la donna come in questo caso) dinanzi all’orrido/splendido spettacolo naturale che qui ha il volto dello Pacific Crest Trail , uno dei trekking più famosi d’America. Attraversando milleseicento chilometri con dislivelli sino a quattromila metri per vari stati come Oregon, California, Messico, il PCT costituisce la scommessa su cui puntare la rinascita della giovane Cherly, attanagliata dalla morte della madre, scomparsa precocemente a causa di un tumore e dal divorzio col marito, Paul, che mai ha accettato la frustrante e dolorosa reazione della moglie dinanzi al lutto.
Distrutta da una morte che mai le dà requie, desiderando la totale dissoluzione dei sensi (rapporti promiscui con sconosciuti), e del corpo (abuso di eroina), Cherly sfida sè stessa compiendo “l’impresa” che potrebbe permetterle un risanamento e,nella solitudine del cammin, una riscoperta di sè per affrontare con coraggio una nuova vita.
Jean-Marc Vallée, ex abrupto, ci presenta sin dall’inizio una protagonista abbandonata in una foresta che scaglia violentemente lo scarpone verso un dirupo dove era scivolato l’altro tolto nel tentativo di fasciarsi una ferita. Il grido di dolore di Cherly, potente e acuto, che rompe il silenzio naturale, le barriere invisibili tra mistico pensiero e la fisicità, scandisce le inquadrature che impiegano sovente primi piani per analizzare le ragioni di quella scelta, giudicata assolutamente insensata, specie per una che di trekking, prima di quell’esperienza nulla sapeva.
Tra inquadrature di deserti selvaggi e foreste di conifere, il silenzio degli abissi e la caoticità delle città di frontiera, incontri salvifici (il primo fondamentale con un un agricoltore) e altri ambigui (con trekker di dubbio gusto), il regista mostra al pubblico scene di intimità familiare incentrate quasi tutte, sul forte rapporto tra Cherly e la madre, sola dopo aver abbandonato il marito, alcolista violento nei confronti dei figli. Si insinua così pericolosamente nel cuore dello spettatore un sentimento di subitanea amicizia per questa fanciulla che da sola ha aiutato la madre e sempre da sola da questa è stata dolorosamente strappata (il fratello è quasi una figura evanescente, appare come un fantasma e altrettanto in silenzio alza i tacchi).
Il melò, le ragioni familiari, importanti nella scelta e motori propulsori di un’impresa così dura non sono foriere al cinema di “paesaggi”. Recentemente, molte pellicole hanno analizzato il percorso di trasformazione spirituale di un uomo (Into the Wild) o di una donna (Tracks) alle prese con una natura spesso ostile pronta ad abbattersi come tifone per infrangere quella gabbia dorata di personalità che con essa nulla hanno da spartire spesso intercalata in cittadini d’ambienti medio-borghesi. Wild non fa eccezione ma se nei primi due casi, in Into the Wild in particolare ,era la natura stessa il palcoscenico fondante di una narrazione fluida e priva di barocchismi, nella pellicola di Jean-Marc Vallée si assiste al limite della programmaticità del fittizio, dell’insistenza che urta lo spettatore nel voler proporre una storia personale (con fastidiosi steady cam) di cui vorremmo sottrarci e nella quale, al contrario, rimaniamo invischiati grazie anche a accordi e canzonette che lasciano sorvolare su decine di incongruenze della narrazione. Una tra tutte: come fa una persona ferita e con i piedi completamente doloranti ad affrontare oltre ottanta chilometri in tratturi sconnessi su montagne con dei sandali tenuti insieme da nastro adesivo?
L’esperienza di traduzione dei sentimenti umani che avevo reso grande Dallas Buyers Club si rivela in Wild una parziale vittoria. Consoliamoci con alcune riprese fotografiche suggestive di un’America lontana dai crismi delle città, ancora fatta di tratturi, boschi e montagne oltre che di spettacoli di rara bellezza.
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