kimkiduk
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sabato 8 novembre 2014
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onore al maestro
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Come il vino che invecchiando migliora caro Maestro Olmi. Se dobbiamo dare un voto alla regia dovremmo dare 10. La perfezione non esiste, ma siamo veramente vicini. Voleva dare la sensazione di inutilità e assurdità della guerra e non so come si possa fare meglio. Contrapposizione immensa tra i "silenzi assordanti" e gli scoppi delle granate laceranti. L'evidenziazione di un rispetto tra tutti calati nello stesso dramma (napoletani e veneti) come se il messaggio dato da chi ha perso la vita per quello adesso sia stato inutile. La follia ed il dolore affioranti sempre nei limiti di una enorma dignità anche quella perduta. L'attesa della posta come unico momento di dolcezza e speranza e la contrapposizione di una posta consegnata prima a tutti e poi a pochi dopo un bombardamento.
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Come il vino che invecchiando migliora caro Maestro Olmi. Se dobbiamo dare un voto alla regia dovremmo dare 10. La perfezione non esiste, ma siamo veramente vicini. Voleva dare la sensazione di inutilità e assurdità della guerra e non so come si possa fare meglio. Contrapposizione immensa tra i "silenzi assordanti" e gli scoppi delle granate laceranti. L'evidenziazione di un rispetto tra tutti calati nello stesso dramma (napoletani e veneti) come se il messaggio dato da chi ha perso la vita per quello adesso sia stato inutile. La follia ed il dolore affioranti sempre nei limiti di una enorma dignità anche quella perduta. L'attesa della posta come unico momento di dolcezza e speranza e la contrapposizione di una posta consegnata prima a tutti e poi a pochi dopo un bombardamento.Paesaggi di una bellezza da togliere il fiato anch'essi osservanti stupiti di una follia collettiva. La natura ci guarda attonita ed incredula ed anche gli animali danno la speranza come una volpe spaurita ed un topo amico di compagnia e di branda. Foto sbiadite di parenti lontani che sanno di ricordi nella coscienza di non tornare più. Scene di dolore costellate di rispetto di tutto e di tutti come nei confronti della follia, del dolore di chi sta morendo nella paura e nell'accettazione di sapere che i prossimi minuti potrebbero essere gli ultimi. Sono 100 anni dalla guerra ma sembrano millenni. Scene memorabili tra cui il canto straziante, vitale e richiesto anche dal nemico, di un soldato napoletano in mezzo alla neve o l'attaccamento alla vita di un larice anch'esso "ucciso" e bruciato da una granata e cantato come un figlio da un soldato. Primi piani da cineteca e osservanti dei particolari da chi sa cosa vuol dire fare arte. Parole mai spese in inutilità troppo spesso abusata. Olmi credente che dice a Dio di essere infame e che non ha tempo per i poveri uomini. Film che non abusa nemmeno del tempo, 1h. 20' per non essere noioso e prolisso in niente. Caro Maestro Olmi mi hai commosso per quella persona che ho conosciuto a Venezia, di cui ho un ricordo immenso di gentilezza e modestia. Tanto di cappello a chi ancora ha da insegnare tanto e con il cinema e l'arte sa trasmettere sensazioni e far capire cosa vuole dire veramente. Posso solo inchinarmi doverosamente e rispettosamente ringraziando. Grazie Maestro.
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[+] un doveroso atto di impegno civile e morale
(di antonio montefalcone)
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(di pressa catozzo)
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(di kimkiduk)
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ollipop
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mercoledì 3 dicembre 2014
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per non dimenticare mai
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Nessuna trama perche' la guerra , quella guerra non ha trama .
Dentro a una trincea dove il tempo viene scandito dalla miseria del rancio e dal mortaio che inesorabilmente batte i suoi rintocchi,il dramma di tante anonime vite perdute in una apocalisse senza senso .
In un silenzio surreale di un paesaggio innevato quasi paradossalmente fiabesco ,si consuma il destino di tanti uomini a cui il regista dedica il suo profondo tributo .Immagini di volti in cui leggi disperazione e rassegnazione nella consapevolezza di un sacrificio assurdo .
La stupenda fotografia gli scarni costumi dove misere coperte non possono vincere il freddo di una morte imminente,sono magistralmente usati da un regista che nella sua laicita' riesce tuttavia a portarci a una religiosa riflessione senza enfasi e senza
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Nessuna trama perche' la guerra , quella guerra non ha trama .
Dentro a una trincea dove il tempo viene scandito dalla miseria del rancio e dal mortaio che inesorabilmente batte i suoi rintocchi,il dramma di tante anonime vite perdute in una apocalisse senza senso .
In un silenzio surreale di un paesaggio innevato quasi paradossalmente fiabesco ,si consuma il destino di tanti uomini a cui il regista dedica il suo profondo tributo .Immagini di volti in cui leggi disperazione e rassegnazione nella consapevolezza di un sacrificio assurdo .
La stupenda fotografia gli scarni costumi dove misere coperte non possono vincere il freddo di una morte imminente,sono magistralmente usati da un regista che nella sua laicita' riesce tuttavia a portarci a una religiosa riflessione senza enfasi e senza rettorica
Si perderà il ricordo di tanti anonimi eroi, torneranno i prati , tornerà anche il sole a rischiarare il buio opprimente di una notte una lunga notte durata troppi anni e costata troppe vite
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angelo umana
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domenica 30 novembre 2014
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la guerra che si sente
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Tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non far poltrire gli uomini nell’ozio: questa direttiva dei comandi superiori riferisce un ufficiale al capitano di un avamposto in trincea sulle montagne della prima guerra mondiale. Il capitano esausto risponde che l’unica direttiva che i suoi uomini sono ancora capaci di riconoscere sarebbe la via di casa. Ermanno Olmi è solito dirci le sue idee, spesso le parole in bocca agli attori sono la didascalia delle sue immagini, ne Il villaggio di cartone ma anche in Cento chiodi erano più le parole a contare.
Contro quella guerra si schiera apertamente, e il giudizio è condivisibile come per tutte le guerre, ma soprattutto si schiera contro l’ottusità dei comandi che decidevano dal chiuso dei loro uffici, senza rendersi conto delle condizioni degli uomini al fronte e senza nemmeno conoscere i territori dove si combatteva, con mappe approssimative ricopiate da altre e non recanti nemmeno l’altimetria.
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Tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non far poltrire gli uomini nell’ozio: questa direttiva dei comandi superiori riferisce un ufficiale al capitano di un avamposto in trincea sulle montagne della prima guerra mondiale. Il capitano esausto risponde che l’unica direttiva che i suoi uomini sono ancora capaci di riconoscere sarebbe la via di casa. Ermanno Olmi è solito dirci le sue idee, spesso le parole in bocca agli attori sono la didascalia delle sue immagini, ne Il villaggio di cartone ma anche in Cento chiodi erano più le parole a contare.
Contro quella guerra si schiera apertamente, e il giudizio è condivisibile come per tutte le guerre, ma soprattutto si schiera contro l’ottusità dei comandi che decidevano dal chiuso dei loro uffici, senza rendersi conto delle condizioni degli uomini al fronte e senza nemmeno conoscere i territori dove si combatteva, con mappe approssimative ricopiate da altre e non recanti nemmeno l’altimetria. La piccola guarnigione realizza di essere stata mandata a morire invano, ingannata per una inutile guerra di posizione: i soldati sono stremati e vicinissimi alla trincea austriaca, molti hanno la febbre e le coperte non bastano a riscaldarsi, il posto è sepolto sotto quattro metri di neve. E’ un film di guerra, si vedono e sentono le bombe austriache che distruggono il presidio italiano, ma vediamo principalmente l’interno buio della trincea italiana e gli occhi disperati dei soldati. Dio non ha ascoltato nemmeno suo figlio sulla croce, vuoi che ascolti noi poveri cani? Ci rubano la vita prima ancora di viverla. Non c’era la morte nei nostri sogni. Il capitano rifiuterà il grado, grida al suo superiore in visita che è criminale l’ordine datogli di installare una trasmittente in un rudere poco lontano, i suoi soldati sono sotto il tiro perenne degli avversari. E’ cosciente del massacro a cui hanno mandato lui e i suoi uomini e ripiegare è stato possibile solo a una parte dei soldati. L’episodio si riferisce a un fatto vero accaduto negli altipiani del nord-est.
Alle immagini della luna sulla cresta, della neve sulle montagne, dell’interno buio della trincea e agli sguardi spenti dei soldati viene resa giustizia dal bianco e nero del film, né il colore sarebbe stato appropriato per tanta disperazione. Un soldato napoletano cantava “com’è bella a montagna stanotte …” all’inizio del film, quando il rancio e la posta erano in arrivo, riceveva l’approvazione dei commilitoni ma anche di una voce austriaca, tanto vicini erano: dopo non riesce più a farlo perché, dice, per cantare bisogna stare contenti.
Spesso si è parlato del desiderio, dei giovani mandati a morire, di essere ricordati. Lo confermano le parole recitate da una voce narrante e inserite da Olmi, che ha dedicato il film Al mio papà che quand’ero bambino mi raccontava della guerra dove lui era stato. Sono parole tratte anche da nostri scrittori come Rigoni Stern e Buzzati: I sopravvissuti sono condannati a morire due volte. La cosa difficile sarà perdonare. Di tutto quello che c’è stato qui non si vedrà più niente. Quello che abbiamo patito non sembrerà più vero, (etorneranno i prati).
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armaduk
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martedì 11 novembre 2014
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mi spiace, ma...
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Aspettavo con ansia l'uscita di questo film ma, dopo averlo visto, sono purtroppo rimasto profondamente deluso. Ottimo dal punto di vista della ricostruzione visiva (soldati sporchi, stanchi, equipaggiamenti corretti) e della fotografia, secondo me non ha molti altri meriti; come già fatto notare, la trama è slegata, a tratti priva di senso, un insieme di episodi (comunque pochi, il film dura poco più di un'ora...) messi assieme affrettatamente, senza alcuna correlazione tra di loro; l'ordine impossibile prevede l'occupazione di una posizione sconosciuta agli italiani, che però è a meno di 10 metri dalla loro trincea (???). Dopo un paio di morti, il capitano febbricitante si inalbera, ordina di bloccare tutto e si strappa i gradi: il suo superiore non trova nulla da obbiettare, sparisce e dell'ordine assurdo non si sa più nulla.
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Aspettavo con ansia l'uscita di questo film ma, dopo averlo visto, sono purtroppo rimasto profondamente deluso. Ottimo dal punto di vista della ricostruzione visiva (soldati sporchi, stanchi, equipaggiamenti corretti) e della fotografia, secondo me non ha molti altri meriti; come già fatto notare, la trama è slegata, a tratti priva di senso, un insieme di episodi (comunque pochi, il film dura poco più di un'ora...) messi assieme affrettatamente, senza alcuna correlazione tra di loro; l'ordine impossibile prevede l'occupazione di una posizione sconosciuta agli italiani, che però è a meno di 10 metri dalla loro trincea (???). Dopo un paio di morti, il capitano febbricitante si inalbera, ordina di bloccare tutto e si strappa i gradi: il suo superiore non trova nulla da obbiettare, sparisce e dell'ordine assurdo non si sa più nulla. Dopo l'ordine del ripiegamento i soldati scendono a valle, ma in tenentino rimane sul posto assieme ad altri due o tre non si capisce bene a fare cosa. L'episodio della mina sembra aver l'unica giustificazione nel far dire al soldato minatore, che ha sentito i rumori di scavo, di aver lavorato tanti anni in giro per il mondo (e quindi?Omaggio all'emigrazione?) Prima della fine è stato inserito uno spezzone di filmato reale (di qualità mediocre) riguardante la battaglia sul Piave e il giorno della vittoria finale, che non ho capito cosa c'entrasse con tutto il resto; subito dopo, la lettera del tenentino alla madre. Fine del film (e meno male, perché se si fosse continuato così...) Molto ben fatto il bombardamento, ma è un po' poco... Gli amanti di Olmi forse lo reputeranno splendido; chi sperava finalmente in un film italiano che parlasse seriamente della tragedia della Grande Guerra rimarrà, probabilmente, delusissimo. Più che un film a me è parso un esercizio di stile fine a sé stesso. Mi spiace, nessuno si arrabbi: è questione di opinioni e di gusti.
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(di pietronefurlanone )
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(di giuliog02)
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(di angelo umana)
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adrian_anders
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venerdì 16 gennaio 2015
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lo stato di grazia di un grande maestro
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Un'altra grande opera di Olmi sulla guerra. Dopo Il mestiere delle armi, un film che ancora di più ci dà il senso dell'inutilità delle guerre e della loro assurdità.
Ho trovato il film perfetto nell'ambientazione e nei tempi, nella descrizione dei caratteri e della vita quotidiana in un avamposto che un poco ci ricorda la Fortezza Bastiani.
La pietas di cui è intriso, la compassionevole empatia che si avverte in ogni scena, fanno di questo film un'opera di riferimento nella memorialistica sulla I guerra mondiale, al pari delle opere di Remarque. Ho notato anche un'attitudine, direi preculturale, alla Rigoni Stern nel rapporto con il "nemico", al punto che lo spietato tiro di artiglieria che porterà all'ordine di ripiegamento pare quasi un evento soprannaturale, la manifestazione di un Fato ostile a tutti.
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Un'altra grande opera di Olmi sulla guerra. Dopo Il mestiere delle armi, un film che ancora di più ci dà il senso dell'inutilità delle guerre e della loro assurdità.
Ho trovato il film perfetto nell'ambientazione e nei tempi, nella descrizione dei caratteri e della vita quotidiana in un avamposto che un poco ci ricorda la Fortezza Bastiani.
La pietas di cui è intriso, la compassionevole empatia che si avverte in ogni scena, fanno di questo film un'opera di riferimento nella memorialistica sulla I guerra mondiale, al pari delle opere di Remarque. Ho notato anche un'attitudine, direi preculturale, alla Rigoni Stern nel rapporto con il "nemico", al punto che lo spietato tiro di artiglieria che porterà all'ordine di ripiegamento pare quasi un evento soprannaturale, la manifestazione di un Fato ostile a tutti. La guerra, si sa, non risparmia nessuno.
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sabrina lanzillotti
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venerdì 13 marzo 2015
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il lato più umano della grande guerra
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E’ il 1917, il mondo è in guerra già da tre anni e in un avamposto d’alta quota, sul fronte Nord-Est, un gruppo di soldati italiani è bloccato in trincea a pochi metri dall’esercito nemico.
Circondati da metri di neve e sottoposti a continui bombardamenti, la vita in trincea trascorre tra terminabili attese ed eventi imprevedibili. Cresce la paura e si gretola la speranza. La fede, l’amore, la voglia di tornare a casa, sembrano sentimenti impossibili da provare per quei soldati che non possono far altro che contare i secondi che passano tra la bomba schivata e quella che viene dopo.
Nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, Ermanno Olmi porta al cinema i sanguinosi eventi che costarono la vita a milioni di uomini.
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E’ il 1917, il mondo è in guerra già da tre anni e in un avamposto d’alta quota, sul fronte Nord-Est, un gruppo di soldati italiani è bloccato in trincea a pochi metri dall’esercito nemico.
Circondati da metri di neve e sottoposti a continui bombardamenti, la vita in trincea trascorre tra terminabili attese ed eventi imprevedibili. Cresce la paura e si gretola la speranza. La fede, l’amore, la voglia di tornare a casa, sembrano sentimenti impossibili da provare per quei soldati che non possono far altro che contare i secondi che passano tra la bomba schivata e quella che viene dopo.
Nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, Ermanno Olmi porta al cinema i sanguinosi eventi che costarono la vita a milioni di uomini. E sono proprio loro i protagonisti del film. Contadini, minatori, artigiani e studenti ad imbracciare le armi per combattere una guerra alla quale non erano preparati, senza che nessuno spiegasse loro le ragioni di tale macello.
In Torneranno i prati non ci sono eroi, ma solo povera gente che attende di morire, soldati traditi dai propri superiori per i quali non sono altro che pedine sulla grande scacchiera europea.
Ermanno Olmi riesce grandiosamente a catturare l’immobilismo e la frustrazione che ormai regnano sovrane, mostrandoci un lato della guerra diverso, quello che madame Storia non si preoccupa di tramandare: i volti e le emozioni di chi ha combattuto, i nomi di quei cadaveri che nessuno reclamerà mai e che sono destinati a giacere sotto metri di candida neve.
La selezione del cast è attenta ed efficace. Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea Di Maria, Camillo Grassi e Niccolò Senni interpretano i propri personaggi con eleganza e maestria, coscienti che il ruolo del protagonista non è affidato a nessuno di loro. E’ il tempo, infatti, il vero protagonista della storia. Il tempo che, presto o tardi, passerà, portando con sé la primavera e cancellando per sempre le loro orme, cosicché nessuno saprà mai cosa sia realmente accaduto in quel luogo.
Torneranno i prati è un film poetico, istruttivo ed essenziale, un’opera senza tempo, adatta a uomini e donne d’ogni età, perché non è mai troppo presto o troppo tardi per rendersi davvero conto delle bestialità che la razza umana è in grado di compiere.
Con questo suo ultimo lavoro, Ermanno Olmi ha dimostrato ancora una volta quanto il cinema italiano abbia bisogno di lui, della sua arte e della sua genialità.
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eugenio
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venerdì 10 aprile 2015
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il gelo della guerra
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Ce ne sono molti di film sulla guerra, farne un conto preciso è impresa difficile. Molti sono quelli che con fare violento hanno esaltato l’istinto patriottico americano durante la seconda guerra mondiali, altri che hanno irriso la stupidità di azioni belligeranti, altri ancora che ne hanno mostrato volutamente la violenza per dire no ad essa.
Il caso o forse il destino mi ha riservato di vivere dentro una guerra che non conoscevo ma solo immagginavo. Mi trovo in un avamposto di alta quota, intorno solo neve e silenzio. La trincea austriaca è cosi’ vicina che pare di udire i loro respiri. Sono più da poco più di un’ora e mi sembra di essere diventato un vecchio al punto che i miei studi, i miei ideali, qui hanno perso il loro significato come la mia giovinezza.
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Ce ne sono molti di film sulla guerra, farne un conto preciso è impresa difficile. Molti sono quelli che con fare violento hanno esaltato l’istinto patriottico americano durante la seconda guerra mondiali, altri che hanno irriso la stupidità di azioni belligeranti, altri ancora che ne hanno mostrato volutamente la violenza per dire no ad essa.
Il caso o forse il destino mi ha riservato di vivere dentro una guerra che non conoscevo ma solo immagginavo. Mi trovo in un avamposto di alta quota, intorno solo neve e silenzio. La trincea austriaca è cosi’ vicina che pare di udire i loro respiri. Sono più da poco più di un’ora e mi sembra di essere diventato un vecchio al punto che i miei studi, i miei ideali, qui hanno perso il loro significato come la mia giovinezza. E anche quelli che torneranno a casa si porteranno dentro la morte che hanno conosciuto e quel pensiero non li abbandonerà più, condannati a morire la cui cosa più difficile sarà perdonare. Se un uomo non sa perdonare, che uomo è?
Questo l’accorato appello di un giovane ufficiale alla madre in uno straziante monologo finale.
E’ il contesto in cui si muove torneranno i prati (rigorosamente in minuscolo), un film viscerale, scostante, senza una precisa trama, immerso nel gelo di ambienti innevati, tutt'altro che affascinanti ma terribili e immortali.
L'altopiano di Asiago, le vicine trincee austriache, nel silenzio etereo nella notte dove risuonano lontani gli echi dei mortai, è lo sfondo di una storia dell'avamposto nord est dopo gli ultimi grandi scontri del 1917.
Vedendo il film suonano evidenti anche altri echi: quelli crudamente vivi alla Remarque, i terribili passati psicologici alla Buzzati col deserto dei tartari nella sequela di attesa che è parte integrante del film, l'imprevedibilità di situazioni legati tutti alla banalità del male consacrata in un territorio inviolato e inviolabile come la montagna, emblema della pace terrena e dei sensi, luogo di vita e di morte dove il passato appartiene a una memoria storica evanescente e lontana.
Poetico, sofferente, istruttivo. questo il film di un ottantreenne, Olmi, dedicato al nonno che la grande guerra l’ha fatta, in grado ancora di saper dire, saper raccontare una storia che riguarda tutti noi, che è sofisticamente resa nota nei libri di storia con distacco, rigido scorrere di eventi. Il regista in un connubio naturale che è palcoscenico eccellente della narrazione sa che il dovere dell'uomo è non dimenticare perchè, un giorno, quei prati, gelati e sconfinati, possano ancora essere fertili senza il male nocivo della guerra, "la brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai".
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greatsteven
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domenica 18 marzo 2018
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niente combattimenti, ma tanto dolore dei soldati.
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TORNERANNO I PRATI (IT, 2014) diretto da ERMANNO OLMI. Interpretato da CLAUDIO SANTAMARIA, ALESSANDRO SPERDUTI, FRANCESCO FORMICHETTI, ANDREA DI MARIA, CAMILLO GRASSI, NICCOLò SENNI, DOMENICO BENETTI, FRANCESCO NARDELLI, ANDREA BENETTI
Fronte Nord-Est, Prima Guerra Mondiale, 1917: la neve ha bloccato tutto, perfino il conflitto armato. Anche l’arrivo del rancio arranca, e un plotone di circa venti soldati accampati in una trincea sotterranea è più occupato a spalare i residui delle precipitazioni ghiacciate che ad imbracciare le baionette per combattere gli austriaci. Fra i suddetti uomini, v’è un capitano influenzato, un comprensivo maggiore, un sergente, un caporale e numerosi soldati semplici, tutti accomunati dalla repulsione per la violenza dell’uomo contro l’uomo e desiderosi di tornare a casa dalle proprie famiglie, come testimoniano le lettere che vengono distribuite all’interno del fortino e le fototessere ingiallite che conservano gelosamente nei taschini dei cappotti.
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TORNERANNO I PRATI (IT, 2014) diretto da ERMANNO OLMI. Interpretato da CLAUDIO SANTAMARIA, ALESSANDRO SPERDUTI, FRANCESCO FORMICHETTI, ANDREA DI MARIA, CAMILLO GRASSI, NICCOLò SENNI, DOMENICO BENETTI, FRANCESCO NARDELLI, ANDREA BENETTI
Fronte Nord-Est, Prima Guerra Mondiale, 1917: la neve ha bloccato tutto, perfino il conflitto armato. Anche l’arrivo del rancio arranca, e un plotone di circa venti soldati accampati in una trincea sotterranea è più occupato a spalare i residui delle precipitazioni ghiacciate che ad imbracciare le baionette per combattere gli austriaci. Fra i suddetti uomini, v’è un capitano influenzato, un comprensivo maggiore, un sergente, un caporale e numerosi soldati semplici, tutti accomunati dalla repulsione per la violenza dell’uomo contro l’uomo e desiderosi di tornare a casa dalle proprie famiglie, come testimoniano le lettere che vengono distribuite all’interno del fortino e le fototessere ingiallite che conservano gelosamente nei taschini dei cappotti. Qualche volta si chiamano fra loro per nome, ma i nomi han poca importanza: si è tutti uguali, non v’è nessuna differenza di fronte all’ineluttabilità di un destino inclemente cui ognuno di loro è condotto, volente o nolente. Un bombardamento nemico uccide parte del plotone accampato sottoterra, e i cadaveri vengono sepolti con tanto di croci nel suolo innevato. La Storia non si ricorderà di questi piccoli combattenti che pure sudarono e sparsero sangue, sempre malvolentieri, credendo di farlo per nobili ideali quando invece era solo per la miseria e l’oblio che faticavano: l’erba tornerà a rinverdire i campi in primavera dopo che la neve si sarà disciolta, e i corpi sepolti sotto i prati finiranno in un dimenticatoio eterno, come eterna è l’incapacità dell’essere umano di vivere in pace col proprio simile. Il maestro bergamasco non si smentisce mai, mai una volta che sbagli un colpo: la terra è sempre al centro del suo repertorio cinematografico, e questa volta nelle vesti di cimitero vivente che accoglie coloro che furono costretti a praticare la guerra pur non avendone nozioni previe, magari addirittura odiandola e sognando sempre la bellezza di un mondo che le armi di distruzione di arma si apprestavano a far scomparire. Come del resto lo fanno ancor oggi, e con maggior potenza. Non è un caso che il film sia stato girato nel 2014: un secolo esatto prima scoppiò la Grande Guerra, e in occasione di un centenario ben poco illustre Olmi ha voluto omaggiare la povertà, la carità, l’amicizia, la fraternità e forse anche le minuscole gioie che si possono tutte sperimentare in condizioni estreme, laddove basta scrivere una lettera alla propria madre interrogandosi sul significato del perdono ed immaginare un larice fatto tutto d’oro. Spiare gli animali che se ne infischiano degli umani che guerreggiano dalle feritoie, mangiare una minestra bianca tutt’altro che nutriente, gridare un chi-va-là da uno spioncino metallico, assistere al suicidio di un soldato che predilige la morte in trincea che nella terra di nessuno, abbracciare un commilitone sconfortato: tutte azioni che impediscono ad antieroi (ma non per questo persone biasimevoli, al contrario molto coraggiose ed efficienti) involontari di perdere i loro brandelli di umanità. La fotografia poco illuminata, quasi in filigrana e talora in bianco e nero, di Fabio Olmi è di una stupenda ricchezza creativa che getta luce tanto sull’ambiente che i soldati popolano perché vi sono obbligati dagli ordini dall’alto quanto sul loro animo che si trasforma conservando però intatta la loro voglia di beneficiare di qualunque cosa non arrechi danno al prossimo. Ma Olmi va oltre: se la prende con la memoria corta della Storia, che è sempre stata scritta dai vincitori, che ha sempre guardato ai trionfi e mai alle sconfitte (seppur tollerate con onore), che ha premiato chi ha ammazzato di più e governato con maggior tirannia e che ha fatto passare sotto silenzio le sofferenze immani di quelli che costituivano pedine in una scacchiera enorme. Ma codeste pedine costituivano la differenza tra vincere rabbuiandosi e perdere restando sereni e in pace con sé stessi, perciò la loro importanza non va presa sotto gamba, ed è proprio su questo aspetto fondamentale che il discorso del regista (che mescola l’umanesimo alla sociologia, il pathos alla tensione) si impernia. Interpreti eccezionali, con un Santamaria straordinario nella parte del maggiore, i due fratelli Benetti, Domenico nel ruolo del sergente ed Andrea in quello del caporale, e bravo anche N. Senni, finalmente in un ruolo drammatico che per altro gli si addice assai. Candidato a vari David di Donatello, nessuna vittoria. Sarebbe stata preferibile un’esclusione da una simile premiazione: i film che valgono davvero meritano l’attenzione della critica e il favore del pubblico, non certo l’accumulazione di riconoscimenti che andrebbero bene più che altro per quelle pellicole che se li aspettano e che spesso li ricevono pure. Olmi non è mai andato in cerca di gloria: l’ha creata intorno a sé raccontando sempre, con cipiglio lucido e pacato, di storie di contadini, gente di campagna, uomini e donne semplici, figli degli stenti che non hanno mai dismesso i panni dei lottatori permanenti in cerca di una dignità da difendere con fatica, ma sempre a testa alta.
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siebenzwerg
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martedì 11 novembre 2014
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dolente
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Un film senz'altro che suscita (anche in sala) reazioni diverse. Per un'ora il film mi è scorso davanti perfetto come un lucido incubo collettivo, portandoci in modo tangibile, come perfettamente ha reso, la condizione fisica e lo stato d'animo di chi era costretto a essere in quella trincea e che per uscire dall'incubo aveva solo la possibilità di spararsi alla testa ma tirava avanti per puro spirito di sopravvivenza. Una tragedia dell'umanità, in tragica totale contraddizione con i magnifici paesaggi dell'inverno che assediava i soldati. Fino ad allora un'emozione molto forte. Per me il film poteva benissimo terminare lì, anche solo dopo un'ora.
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Un film senz'altro che suscita (anche in sala) reazioni diverse. Per un'ora il film mi è scorso davanti perfetto come un lucido incubo collettivo, portandoci in modo tangibile, come perfettamente ha reso, la condizione fisica e lo stato d'animo di chi era costretto a essere in quella trincea e che per uscire dall'incubo aveva solo la possibilità di spararsi alla testa ma tirava avanti per puro spirito di sopravvivenza. Una tragedia dell'umanità, in tragica totale contraddizione con i magnifici paesaggi dell'inverno che assediava i soldati. Fino ad allora un'emozione molto forte. Per me il film poteva benissimo terminare lì, anche solo dopo un'ora. Poi che succede? Arrivano immagini di repertorio della grande guerra, che non hanno neanche attinenza con quanto visto in precedenza, e tutto finisce più o meno in quel modo. A quel punto il regista avrà sentito il bisogno di una svolta ma di tutte quelle possibili, quella scelta mi è sembrata la più debole. Non ho capito il motivo di quei 5-10 minuti in più in coda al "vero" film. Per me hanno solo indebolito la potenza della visione donata fino ad allora. Non dico che ne ho perso le tracce, perché nei titoli di coda e con la musica di Fresu qualcosa si recupera, però...
Insomma, almeno per la prima ora, massimo punteggio.
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[+] ... noi, pori cani.
(di fabiofeli)
[ - ] ... noi, pori cani.
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clavius
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martedì 18 novembre 2014
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lezione magistrale
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Un film toccato dalla grazia. Olmi è regista intelligente e sensibilissimo. Le vicende umane che ci ha raccontato in tanti anni di carriera sono spesso piccole, intime, modeste. Così anche per rievocare la Grande Guerra e la sua assurdità usa come metro l'uomo. Impartisce una lezione di cinema che fa impallidire molti giovani autori proprio perchè rifiuta il gusto imperante, perchè si stacca sia da un punto di vista estetico che etico dalla maggior parte dei prodotti attualmente nelle sale. Perchè si fa esperienza unica, evocazione poetica a cui non siamo più avvezzi. Nessuna ruffianeria, nessun cedimento alla moda, nessuna caduta di stile.
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Un film toccato dalla grazia. Olmi è regista intelligente e sensibilissimo. Le vicende umane che ci ha raccontato in tanti anni di carriera sono spesso piccole, intime, modeste. Così anche per rievocare la Grande Guerra e la sua assurdità usa come metro l'uomo. Impartisce una lezione di cinema che fa impallidire molti giovani autori proprio perchè rifiuta il gusto imperante, perchè si stacca sia da un punto di vista estetico che etico dalla maggior parte dei prodotti attualmente nelle sale. Perchè si fa esperienza unica, evocazione poetica a cui non siamo più avvezzi. Nessuna ruffianeria, nessun cedimento alla moda, nessuna caduta di stile. Questa unicità rende anche questo ultimo film di Olmi, una pellicola da guardare con ammirazione, fino all'amaro finale dove i prati che torneranno non sono la Pace e la prosperità, ma l'oblio che si stenderà sulle gesta degli uomini. Quanta saggezza e quanta poesia. Nella sua semplicità evocativa sta la forza di un film perennemente sospeso (in questo aiutato dalla splendida fotografia), che rimanda diritti al "Deserto dei Tartari". Un film che sa arrivare al cuore e alla testa in modo gentile, che ribadisce con forza la caducità dell'esistenza, che diventa omaggio alla memoria del padre e di intere generazioni spazzate via dalla guerra. Il film di un maestro.
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