renato volpone
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domenica 20 gennaio 2013
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la giovane ricca borghesia annoiata di sempre
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Olivier Assayas ci propone un film che ci parla del maggio francese, dei moti rivoluzionari dei giovani parigini nei primi anni settanta, dei loro amori, delle loro aspirazioni. Due ore di proiezione per tornare alle situazioni politiche, sindacali e studentesche di quell'epoca. Ne esce un ritratto scarno che tocca con leggera fuggevolezza tutte le problematiche post adolescenziali: lo studio, il lavoro, la droga, l'aborto e così via. L'impressione è quella di vedere i giovani di oggi collocati in quegl'anni solo per via degli oggetti che appartenevano all'epoca, per il resto la realtà è molto "presente". Il film ci parla di figli della ricca borghesia, rivoluzionari più per noia o ribellione ai genitori più che per convinzione, e non ne esce per niente l'impegno e la passione, le scene sono meccaniche, asettiche, prive di coscienza interiore.
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Olivier Assayas ci propone un film che ci parla del maggio francese, dei moti rivoluzionari dei giovani parigini nei primi anni settanta, dei loro amori, delle loro aspirazioni. Due ore di proiezione per tornare alle situazioni politiche, sindacali e studentesche di quell'epoca. Ne esce un ritratto scarno che tocca con leggera fuggevolezza tutte le problematiche post adolescenziali: lo studio, il lavoro, la droga, l'aborto e così via. L'impressione è quella di vedere i giovani di oggi collocati in quegl'anni solo per via degli oggetti che appartenevano all'epoca, per il resto la realtà è molto "presente". Il film ci parla di figli della ricca borghesia, rivoluzionari più per noia o ribellione ai genitori più che per convinzione, e non ne esce per niente l'impegno e la passione, le scene sono meccaniche, asettiche, prive di coscienza interiore. Si disegna un mondo giovanile malato, la percezione è che sia profondamente sbagliato, che non porti da nessuna parte, eppure questi ragazzi hanno fatto la storia, ma tutti si perdono dietro a sogni che non vedono futuro. Il quadro è finto, anche se con bei colori e scene accattivanti: i figli dei fiori sono poveri drogati, sbandati e sperduti, ma chi se li ricorda bene sa che non era così; i comunisti, l'impegno nell'estremo sinistra, troppo anarchici per essere veri; i ragazzi della destra facili vittime. Sembra molto un discorso demagogico e populistico piuttosto che una ricostruzione fedele degli avvenimenti e dei pensieri di quel tempo. Il regista dovrebbe rileggerai un po' di pagine di storia e andare a lezione da Marco Tullio Giordana prima di proporre un film di questo genere. Non gli farebbe male rivedere documenti e immagini di quegli anni: non basta un distributore di gomme da masticare, un giradischi e qualche automobile per ricostruire un contesto, ci vogliono i venti e i sentimenti della storia, qui completamente assenti. È poi i giovani, vittime di un sistema, vittime di se stessi, solo e esclusivamente vittime, ma la storia ci insegna che non è così. Forse un pensiero più obiettivo non avrebbe guastato. Una stella è anche troppo per un falso storico
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zoom e controzoom
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martedì 22 gennaio 2013
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perchè ora ?
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Se dovessi usare un'unica frase : quanto fumavamo ! Ma il film è un lavoro molto più complesso di quel che si può capire dalla definizione e la frase non direbbe nulla soprattutto a chi quel periodo non l'ha vissuto. Così era, ed è da quelle storie con quella difficoltà di scelte, che siamo arrivati alle situazioni dei giorni nostri. Tecnicamente valido, solo con qualche piccola incertezza di montaggio e della sovraesposizione delle immagini, forse eccessiva se non indicativa di un scelta concettualmente significativa, deve aver richiesto un certo lavoro per la ricostruzione storica di cose, ambienti e costumi..già perchè quel periodo è già storia anche se non mi pare di ricordare i tutti quei caschi in testa dei manifestanti, ma molto di più le randellate della polizia e il lancio furiosodei sanpietrini.
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Se dovessi usare un'unica frase : quanto fumavamo ! Ma il film è un lavoro molto più complesso di quel che si può capire dalla definizione e la frase non direbbe nulla soprattutto a chi quel periodo non l'ha vissuto. Così era, ed è da quelle storie con quella difficoltà di scelte, che siamo arrivati alle situazioni dei giorni nostri. Tecnicamente valido, solo con qualche piccola incertezza di montaggio e della sovraesposizione delle immagini, forse eccessiva se non indicativa di un scelta concettualmente significativa, deve aver richiesto un certo lavoro per la ricostruzione storica di cose, ambienti e costumi..già perchè quel periodo è già storia anche se non mi pare di ricordare i tutti quei caschi in testa dei manifestanti, ma molto di più le randellate della polizia e il lancio furiosodei sanpietrini.
Il cinquantino, il ciclostile tutte case scomparse come pare scomparso l'impegno giovanile, la protesta e soprattutto il credere. La storia è molto ben costruita attraverso un unicum che è il giovane Gilles, un po' troppo inespressivo rispetto agli altri interpreti, che molto più intensamente, con gli sguardi e gli attegiamenti, danno forza alle loro azioni, ai loro movimenti.Gilles passa con la sua camminata goffa, da un'azione terroristaca ad un rapporto amoroso, con quella che appare indifferenza, ma che corrisponde ad un "qui e ora" che stava oltre le proiezioni politiche ed era fondante non solo del senso della libertà delle scelte e della gestione di sè, per tutti quelli che ancora non erano stati ancora ingurgitati dalle regole del perbenismo che li spingeva come carriera verso le orme paterne o verso il matrimonio.C'è tutto: l'attivismo e la droga, il benessere e la difficoltà economica, la religione orientale e l'aborto occidentale. Tutto molto asciutto con poche concessioni a personali prese di posizione, fa sì che ognuno possa trovare in Gilles, un modo per identificarsi nel suo vivere attraversando situazioni. I dialoghi (grazie alla traduzione ?) sono molto realistici e privi di invenzioni sul tema per cui la sceneggiatura aderisce perfettamente all'epoca come un fedele documento storico. Buon film, ma lascia una tristezza profonda perchè si percepisce proprio dalla tristezza dei personaggi, che è intenzionale di un "documento postumo" e lo si deduce dalla totale mancanza di sorrisi come copione : non c'è nessuna gioia in nessun momento, progetto, azione e intenzione, in nessuno dei personaggi. Io questo non lo riconosco perchè in noi c'era anche la gioia di vivere insieme alla consapevolezza dell'esperienza, della lotta, dell'età e dell'inevitabile incoscienza per il futuro e allora mi chiedo: perchè ora questo film ?
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kimkiduk
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giovedì 21 marzo 2013
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la storia di assayas
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Se si valuta il film pensandolo ad un film sul '68 possiamo anche dire che è fatto male; se si valuta per quello che penso io sia, la storia della vita di Assayas, è più che passabile e diventa anche interessante. Gilles è Assayas e la storia diventa quella di ragazzi francesi impegnati nei riflessi e nei fumi appena post '68. Fa male rivedere nella prima parte del film come in quegli anni si credeva in qualche cosa, come si lottava, si parlava, si stava insieme .... e pensando ad oggi per chi ha più di 50 anni viene davvero da piangere. Poi la seconda parte racconta della disgregazione del tempo, di un periodo pieno di valori assoluti che diventano anno dopo anno sempre più ricerca del personale; chi va da babbo, chi lavora davvero, chi torna a casina, chi rinnega la lotta, chi va "a ritrovarsi" in Nepal o Afghanistan.
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Se si valuta il film pensandolo ad un film sul '68 possiamo anche dire che è fatto male; se si valuta per quello che penso io sia, la storia della vita di Assayas, è più che passabile e diventa anche interessante. Gilles è Assayas e la storia diventa quella di ragazzi francesi impegnati nei riflessi e nei fumi appena post '68. Fa male rivedere nella prima parte del film come in quegli anni si credeva in qualche cosa, come si lottava, si parlava, si stava insieme .... e pensando ad oggi per chi ha più di 50 anni viene davvero da piangere. Poi la seconda parte racconta della disgregazione del tempo, di un periodo pieno di valori assoluti che diventano anno dopo anno sempre più ricerca del personale; chi va da babbo, chi lavora davvero, chi torna a casina, chi rinnega la lotta, chi va "a ritrovarsi" in Nepal o Afghanistan. Così è stato per molti, forse per Assayas e così hanno vinto perdendo, anzi hanno perso vincendo, quelli del '68. Gli stessi che hanno lottato contro il capitalismo, per la parità di diritti nel mondo, la pace ecc. sono poi gli stessi dirigenti di oggi dimentichi di quello in cui hanno lottato, ma soprattutto incapaci di insegnare e trasmettere distruggendo tutto quello che in realtà hanno ottenuto. Ma qui il film non lo dice e nemmeno lo fa capire forse .... lo leggo solo io nostalgico. Il film non esprime un giudizio, racconta una storia di ragazzi benestanti, borghesi o addirittura alta borghesia, figli di papà, viziati, ribelli, sognanti ma vuoti. Non fa vedere (ma non è un difetto non avendolo voluto fare secondo me Assayas) e non analizza politicamente la storia, ma la conduce, con colori forti e con miscuglio di storie appena raccontate nei loro perchè. Il film racconta della vita, di una vita, di tante vite, in un periodo vivo e meraviglioso, che visto ora fa piangere, sognare, provare nostalgia e rabbia.
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moulinsky
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martedì 29 gennaio 2013
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modifiche acettabili
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Mai affidare a un parigino un film presunto su Sessantotto e dintorni (in realtà la vicenda parte nel '71 e quindi di che stiamo parlando?). La spocchia prende il sopravvento e si finisce per parteggiare pasoliniamente con i pulotti, i bidelli costretti a ripulire gli spray (DISSOLUTION?), financo i giovani fasci relegati al ruolo di guardiani delle scuole e a prendere con fatica appunti sul Moleskine sui partecipanti non ai comitati sulla fantasia al potere ma ai corsi di nuoto, mentre loro i giovani mediamente belli molto di sinistra per taglio di capelli e outfit peruviano, scrivono su Rouge, si macerano a compulsare poesie, schizzare disegni, girano con i sogni dentro le cartelle ma hanno sempre i paparini comprensivi anche col Parkinson dietro l'angolo (una metafora?) e pronti a staccare biglietti intercontinentali per Kabul (ma che ci vado fare io a Kabul?), finanziare grand tour in Italia, apparecchiare piatti pronti ai self service, trovar loro un lavoro anche quando gli sputano addosso (memorabile la discussione padre e figlio su Simenon).
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Mai affidare a un parigino un film presunto su Sessantotto e dintorni (in realtà la vicenda parte nel '71 e quindi di che stiamo parlando?). La spocchia prende il sopravvento e si finisce per parteggiare pasoliniamente con i pulotti, i bidelli costretti a ripulire gli spray (DISSOLUTION?), financo i giovani fasci relegati al ruolo di guardiani delle scuole e a prendere con fatica appunti sul Moleskine sui partecipanti non ai comitati sulla fantasia al potere ma ai corsi di nuoto, mentre loro i giovani mediamente belli molto di sinistra per taglio di capelli e outfit peruviano, scrivono su Rouge, si macerano a compulsare poesie, schizzare disegni, girano con i sogni dentro le cartelle ma hanno sempre i paparini comprensivi anche col Parkinson dietro l'angolo (una metafora?) e pronti a staccare biglietti intercontinentali per Kabul (ma che ci vado fare io a Kabul?), finanziare grand tour in Italia, apparecchiare piatti pronti ai self service, trovar loro un lavoro anche quando gli sputano addosso (memorabile la discussione padre e figlio su Simenon). E' tutto un calderone dove entrano suggestioni hyppie di ex aristocratici in ville democraticamente aperte al popolo sovrano come in certe giornate oggi della Fai, raid graffittari contro presunti servi del Potere, irruzioni postmoderne di paranoici complotti dell'Fbi, scontri con la polizia con i caschi dei motorini quando manco si sapeva cosa fosse un casco, concerti pseudo- psichedelici, cinema in piazza con dibbattito, e la vecchia penosa questione degli intellettuali che vogliono parlare agli operai e si domandano se sia giusto farlo con gli strumenti della borghesia. Tutto appare predestinato a bruciare, tutto è già vecchio mentre ancora è allo stato nascente (come il bambino abortito della ancora più insopportabile ballerina yankee di danze orientali, rossa pure di capelli, che infatti se ne tornerà a New York a fare le scuole alte), tutto è così insopportabilmente posato (non guardarmi mentre vado via, dice la presunta poetessa mentre corre bucolica, per i boschi), tutto così chiccamente francese che non si può non rimpiangere che al posto dell'italiano che in piedi domanda al termine del film impegnato sui compagni contadini del Laos se una rivoluzione non richieda anche un nuovo linguaggio, non appaia piuttosto Fantozzi a ribadire la verità sul valore escrementizio del lungometraggio. Qualcuno si brucerà sul serio, altri si scotteranno, il mondo resterà ancora per un po' diviso tra maschi al potere e rivendicazioni femministe (vero Christine, prima musa, poi amica indipendente ma col desiderio di una relazione stabile, poi colf proto badante del compagno e dei cinefili amici suoi, poi alla ricerca della soddisfazione nel lavoro aderendo in pieno agli schemi maschili già solo per come rispondi al telefono, fino alla fuga finale in motorino nella notte perso anche il treno dell'amore?), tutti si scopriranno ribelli senza causa, mica rivoluzionari, sconteranno la resa ai compromessi pensando, e sbagliando di brutto compagni!, di averla fatta almeno franca nel finale che si reitera per tre volte (e una è di troppo). Prima Christine, senza saperlo, chiuderà un'epoca sentenziando quando Gilles le dice che i suoi disegni sono stati pubblicati sì ma non come i suoi originali: "Modifiche accettabili", poi Gilles finirà con l'accettare il lavoro propostogli dal padre lasciando la pittura per il cinema (Assayas?) ma solo per bearsi dall'alto della sua formazione intellettuale della dislessia della pin up che non sa distinguere la destra dalla sinistra (Gaber?), infine apparirà il fantasma consolatorio di Laure a sorridergli irradiata di luce regalandogli almeno l'illusione d'essere sopravvissuto, non certo rimasto vivo.
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salamov
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martedì 5 febbraio 2013
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manca il respiro della storia
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Film non molto riuscito come realizzazione. Il miglior lascito è la sensazione temporale e fisica della scomposizione della passione della politica nei suoi molteplici rivoli successivi, il misticismo, l'arte, la droga ed il terrorismo. Tuttavia, ancora una volta, quell'epoca storica è descritta dal punto di vista della piccola e media borghesia la quale, ora, esercita una egemonia culturale su quell'epoca sovrapponendo il proprio individualismo alla storia collettiva. Viene completamente ignorato il fatto principale dell'epoca che è stata la conquista della soggettività politica e culturale di una parte notevole del proletariato giovane. La possibilità che esso ha avuto di accedere alla istruzione e alla cultura, alla politica e alle forme artistiche (ad esempio il teatro politico) si è scontrata proprio con i limiti della politica e della cultura piccolo borghese che, come è nelle sue caratteristiche, si è inserita nella novità trasformandola a proprio vantaggio con invenzioni anche suggestive come nell'affermazione del 'personale è politico'.
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Film non molto riuscito come realizzazione. Il miglior lascito è la sensazione temporale e fisica della scomposizione della passione della politica nei suoi molteplici rivoli successivi, il misticismo, l'arte, la droga ed il terrorismo. Tuttavia, ancora una volta, quell'epoca storica è descritta dal punto di vista della piccola e media borghesia la quale, ora, esercita una egemonia culturale su quell'epoca sovrapponendo il proprio individualismo alla storia collettiva. Viene completamente ignorato il fatto principale dell'epoca che è stata la conquista della soggettività politica e culturale di una parte notevole del proletariato giovane. La possibilità che esso ha avuto di accedere alla istruzione e alla cultura, alla politica e alle forme artistiche (ad esempio il teatro politico) si è scontrata proprio con i limiti della politica e della cultura piccolo borghese che, come è nelle sue caratteristiche, si è inserita nella novità trasformandola a proprio vantaggio con invenzioni anche suggestive come nell'affermazione del 'personale è politico'. Siamo sempre in attesa di un opera d'arte, anche non cinematografica, che ci faccia sentire il respiro della storia degli ultimi anni di un epoca che il grandissimo ed appena scomparso Hobsbawm ha definito l'età dell'oro.
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salamov
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martedì 5 febbraio 2013
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manca il respiro della storia
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Film non molto riuscito come realizzazione. Il miglior lascito è la sensazione temporale e fisica della scomposizione della passione della politica nei suoi molteplici rivoli successivi, il misticismo, l'arte, la droga ed il terrorismo. Tuttavia, ancora una volta, quell'epoca storica è descritta dal punto di vista della piccola e media borghesia la quale, ora, esercita una egemonia culturale su quell'epoca sovrapponendo il proprio individualismo alla storia collettiva. Viene completamente ignorato il fatto principale dell'epoca che è stata la conquista della soggettività politica e culturale di una parte notevole del proletariato giovane. La possibilità che esso ha avuto di accedere alla istruzione e alla cultura, alla politica e alle forme artistiche (ad esempio il teatro politico) si è scontrata proprio con i limiti della politica e della cultura piccolo borghese che, come è nelle sue caratteristiche, si è inserita nella novità trasformandola a proprio vantaggio con invenzioni anche suggestive come nell'affermazione del 'personale è politico'.
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Film non molto riuscito come realizzazione. Il miglior lascito è la sensazione temporale e fisica della scomposizione della passione della politica nei suoi molteplici rivoli successivi, il misticismo, l'arte, la droga ed il terrorismo. Tuttavia, ancora una volta, quell'epoca storica è descritta dal punto di vista della piccola e media borghesia la quale, ora, esercita una egemonia culturale su quell'epoca sovrapponendo il proprio individualismo alla storia collettiva. Viene completamente ignorato il fatto principale dell'epoca che è stata la conquista della soggettività politica e culturale di una parte notevole del proletariato giovane. La possibilità che esso ha avuto di accedere alla istruzione e alla cultura, alla politica e alle forme artistiche (ad esempio il teatro politico) si è scontrata proprio con i limiti della politica e della cultura piccolo borghese che, come è nelle sue caratteristiche, si è inserita nella novità trasformandola a proprio vantaggio con invenzioni anche suggestive come nell'affermazione del 'personale è politico'. Siamo sempre in attesa di un opera d'arte, anche non cinematografica, che ci faccia sentire il respiro della storia degli ultimi anni di un epoca che il grandissimo ed appena scomparso Hobsbawm ha definito l'età dell'oro.
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alex2044
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lunedì 21 gennaio 2013
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un après mai che non coinvolge
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La dote migliore di questo è l'assoluta mancanza di compiacimento. Olivier Assayas non ha voluto in questa storia autobiografica alcuna forma consolatoria . Esemplare il dialogo fra il protagonista ,molto giovane, ed alcuni compagni di viaggio più maturi che inneggiavano alla Cina di Mao , entusiasti loro piuttosto scettico lui. Per il resto il film non mi ha convinto completamente . Gli attori ,escluso il protagonista ,non sono particolarmente bravi e purtroppo il film non trasuda simpatia.
[+] io invece ne sono stata conquistata
(di lady madonna)
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matteo
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sabato 13 febbraio 2021
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i giochi di piccoli figli di papà
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Se volete farvi un'idea distorta sul '68 francese e sui movimenti che ne seguirono questo è il film che fa per voi. Giovani figli di papà che giocano a fare i rivoluzionari, si drogano, fanno sesso e guidano auto d'epoca, questo è il piattume che Assayas intende per movimenti di contestazione che evidentemente non ha vissuto e non ha avuto voglia di conoscere. Certo non è facile rappresentare lo spirito di un'epoca come quella, ma qui manca tutto: mancano le passioni autentiche, i conflitti sociali, la militanza, la rabbia e il dolore. Manca l'autenticità. Tutto è banalizzato e ridotto a 4 vinili, due motorini, capelli lunghi e scarabocchi con velleità d'artista.
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Se volete farvi un'idea distorta sul '68 francese e sui movimenti che ne seguirono questo è il film che fa per voi. Giovani figli di papà che giocano a fare i rivoluzionari, si drogano, fanno sesso e guidano auto d'epoca, questo è il piattume che Assayas intende per movimenti di contestazione che evidentemente non ha vissuto e non ha avuto voglia di conoscere. Certo non è facile rappresentare lo spirito di un'epoca come quella, ma qui manca tutto: mancano le passioni autentiche, i conflitti sociali, la militanza, la rabbia e il dolore. Manca l'autenticità. Tutto è banalizzato e ridotto a 4 vinili, due motorini, capelli lunghi e scarabocchi con velleità d'artista. I giovani figuri sono tutti figli della borghesia parigina con le spalle parate da una solida posizione economica che mai rifiutano, neanche per provocazione. Un film che non merita neanche questo commento negativo. E poi, per concludere, le Api che circolano con la targa proprio non si possono vedere!!!
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stefano capasso
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mercoledì 26 ottobre 2022
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scelte di vita e di formazione personale
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Nella Parigi dei primi anni ’70 un gruppo di ragazzi del liceo artistico è parte attivo nei movimenti di lotta studenteschi. Tra loro, Gilles, è combattuto tra il desiderio di partecipare con i compagni e quello di percorrere altre vie, legate alla pittura e al cinema. Non riesce dunque ad emergere, e prima Laure, e poi Christine lo lasciano per uomini più “impegnati” nel campo artistico e politico. Dopo varie esperienze decide, finalmente, che la sua strada è quella di fare del cinema.
Olivier Assayas ricostruisce un periodo nevralgico della storia, e della sua in particolare. Sono gli anni dell’impegno politico, dei grandi ideali e dei grandi sogni.
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Nella Parigi dei primi anni ’70 un gruppo di ragazzi del liceo artistico è parte attivo nei movimenti di lotta studenteschi. Tra loro, Gilles, è combattuto tra il desiderio di partecipare con i compagni e quello di percorrere altre vie, legate alla pittura e al cinema. Non riesce dunque ad emergere, e prima Laure, e poi Christine lo lasciano per uomini più “impegnati” nel campo artistico e politico. Dopo varie esperienze decide, finalmente, che la sua strada è quella di fare del cinema.
Olivier Assayas ricostruisce un periodo nevralgico della storia, e della sua in particolare. Sono gli anni dell’impegno politico, dei grandi ideali e dei grandi sogni. Ed è proprio con queste grandi aspettative che ognuno dei protagonisti finisce per fare i conti. Se allontanarsi dalla lotta politica sembra un’opzione non percorribile, per rimanere nel gruppo di appartenenza, la stessa continuità di partecipazione ai movimenti politici viene continuamente messa in discussione dalle capacità personali. Non tutti riescono a trovare una propria posizione, che rispecchi l’impegno politico e le aspirazioni personali; allora l’alternativa alla radicalizzazione della lotta diventa l’allontanamento, trovare un posto di “secondo piano” nella vita che magari rappresenta proprio quello per cui si è combattuto contro. È questa, fondamentalmente, la grande sconfitta che hanno vissuto molti di quella generazione e Assayas indugia proprio si questi, piuttosto che sull’apparente, e probabilmente breve, riuscita di chi era riuscito a coniugare impegno politico e posizione nel sociale. Poi c’è l’altra opzione, quella dello stesso regista, che ha raccontato la sua di gioventù. Lasciare la politica per dedicarsi alla propria passione, magari accettando dei compromessi e mantenendo un piccolo spazio per aspirazioni personali di livello più elevato. C’è anche da dire, per concludere, che il tuto trova terreno fertile nella ricca borghesia, che consente a tutti i giovani in causa, di fare delle scelte, politiche e non, perlopiù precluse al resto delle persone. E forse il problema era proprio questo.
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