ennio
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mercoledì 7 novembre 2018
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un occhio claustrofobico sulla guerra
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"Lebanon" è un'idea originale che descrive la guerra moderna vissuta dall'interno di un carrarmato. Fin dall'inizio la percezione dello spettatore è cupa, tesa, intrisa del sudore e dell'urina dei protagonisti, racchiusi dentro il blindato in caccia per le strade del Libano. Col procedere della vicenda nell'animo dei ragazzi ruotano vicendevolmente sentimenti di paura isteria lucidità pazzia, ognuno di questi sentimenti mettendo alla prova la loro stabilità emotiva e mentale. Chi all'inizio trema di paura si troverà alla fine in migliori condizioni mentali, mentre qualcun altro scivolerà dal pragmatismo militaresco all'idiozia compulsiva.
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"Lebanon" è un'idea originale che descrive la guerra moderna vissuta dall'interno di un carrarmato. Fin dall'inizio la percezione dello spettatore è cupa, tesa, intrisa del sudore e dell'urina dei protagonisti, racchiusi dentro il blindato in caccia per le strade del Libano. Col procedere della vicenda nell'animo dei ragazzi ruotano vicendevolmente sentimenti di paura isteria lucidità pazzia, ognuno di questi sentimenti mettendo alla prova la loro stabilità emotiva e mentale. Chi all'inizio trema di paura si troverà alla fine in migliori condizioni mentali, mentre qualcun altro scivolerà dal pragmatismo militaresco all'idiozia compulsiva.
Ovviamente nessuno potrà amare la guerra dopo un film del genere, ma questa non è una novità per nessuno.
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estonia
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venerdì 4 luglio 2014
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esperienza di guerra claustrofobica e devastante
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La percezione della guerra nella sua dimensione più devastante diventa reale identificazione. La paura e l’angoscia sono palpabili, avvertibili quasi fisicamente. E’ uno dei film che più di tanti altri dà la misura autentica e diretta di ciò che comporta essere in prima persona in mezzo a quell’inferno.
L’orrore, per quattro giovani soldati israeliani, è un’esperienza inevitabilmente senza via d’uscita: al riparo ma anche intrappolati nel ventre scuro e assordante di un carro armato devono fare i conti con una situazione estrema e con la paralizzante incapacità di reagire dovuta all’inesperienza sul campo.
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La percezione della guerra nella sua dimensione più devastante diventa reale identificazione. La paura e l’angoscia sono palpabili, avvertibili quasi fisicamente. E’ uno dei film che più di tanti altri dà la misura autentica e diretta di ciò che comporta essere in prima persona in mezzo a quell’inferno.
L’orrore, per quattro giovani soldati israeliani, è un’esperienza inevitabilmente senza via d’uscita: al riparo ma anche intrappolati nel ventre scuro e assordante di un carro armato devono fare i conti con una situazione estrema e con la paralizzante incapacità di reagire dovuta all’inesperienza sul campo. La realtà sconvolgente che sta fuori dal mezzo arriva dentro all’abitacolo filtrata dal mirino, a focalizzare il senso di alienazione e di impotenza. L’angoscia diventa aggressività, rabbia, follia. Ogni piccolo dettaglio delle immagini è teso a individuare la potenza devastante di un’insostenibile situazione claustrofobica. Non ci sono forzature retoriche nella rappresentazione dell’individuo che si trova di fronte alla ‘scelta obbligata’ di premere il grilletto sotto la pressione della paura. Il campo di girasoli è una nota irreale e straniante che ha più il sapore del disorientamento che della speranza.
Al di là di qualche imperfezione stilistica rilevata da alcuni, è un film notevole a livello di testimonianza e di denuncia rispetto a ciò che ogni guerra comporta in termini di coinvolgimento emotivo e di inevitabile senso di colpa.
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francesco2
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martedì 5 aprile 2011
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quella sporca (non) ultima guerra
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Nel mondo di oggi, la guerra è cambiata. E'cambiata perché si combatte contro bersagli irraggiungibili(?) come Bin Laden, in dei non-luoghi, perché si ricorre alle guerre preventive, perché il terrorista può essere chiunque. Ma nella realtà dei media onnipresenti, e forse onnipotenti, è cambiata anche la nostra PERCEZIONE della guerra.
"The Hurt Locker”, a costo di sembrare freddo nel descrivere il soldato di oggi come un robot avulso da emozioni e passioni, ha reso perfettamente il senso dell'uomo-macchina, vicino e al contempo distante da codici cronenberghiani. "Lebanon" vuole raccontare anch'esso un'ALTRA guerra, nonostante paradossalmente riporti un fatto vero ambientato nel lontanissimo '82, un altro mondo ed ho detto poco.
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Nel mondo di oggi, la guerra è cambiata. E'cambiata perché si combatte contro bersagli irraggiungibili(?) come Bin Laden, in dei non-luoghi, perché si ricorre alle guerre preventive, perché il terrorista può essere chiunque. Ma nella realtà dei media onnipresenti, e forse onnipotenti, è cambiata anche la nostra PERCEZIONE della guerra.
"The Hurt Locker”, a costo di sembrare freddo nel descrivere il soldato di oggi come un robot avulso da emozioni e passioni, ha reso perfettamente il senso dell'uomo-macchina, vicino e al contempo distante da codici cronenberghiani. "Lebanon" vuole raccontare anch'esso un'ALTRA guerra, nonostante paradossalmente riporti un fatto vero ambientato nel lontanissimo '82, un altro mondo ed ho detto poco. Qualcuno giustamente ha parlato di "Kammerspiel" tedesco. Ma è una sfida affrontare un argomento del genere in un contesto COERCITIVO, in tutti i sensi. Sotto l'apetto visivo, certi bersagli malacapitati dei malcapitati soldati richiamano proprio qualche momento del film della Bigelow. Ma "Hurt Locker" non metteva in scena rancori ed incomprensioni personali, o ammesso che lo facesse aveva altra intelligenza. Neanche qui mancano momenti brillanti, come la storia della maestra che introduce una dose di umorismo dissacrante. Ma non è che manchi retorica sulla guerra, pensiamo alle scene in cui non si vorrebbe sparare ma lo si fa lo stesso, cariche di retorica almeno quanto di tensione. Superficiale ed approssimativo, poi, è il modo in cui vengono valutati i rapporti tra i soldati. La "Dialettica"esistente sa di prevedibile e ripetitivo.
Ma girare"lebanon " è una scelta difficile, come realizzare un film prendendo come spunto "Và dove ti porta il cuore"o, credo, da "Non ti muovere": il cinema che non voglia seguire le regole di Tempo-Luogo-Azione non può basarsi solo sulle buone intenzioni. Bella la prima scena dei girasoli, con un commento sonoro nient'affatto marcato ma penetrante. Spiace dirlo, ma spesso è l'opposto di questo film. Alla fine la scena verrà ripresa, forse perché il regista, nonostante per girare questo dolorosa opera si sia ispirato a una lontana esperienza personale, , non rinuncia a sperare. Nonostante tutto.
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reservoir dogs
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lunedì 8 novembre 2010
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la pellicola che lenisce le ferite
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Lebanon: Il Libano distrutto dalla guerra visto attraverso un tank israeliano e da quattro giovani "estranei" che lo abitano condividendo dolori, paure e lacrime.
Il carrarmato è il feto in cui questi giovani si trovano e vagano senza meta nella speranza di una "rinascita" che avverrà poi in un campo di girasoli.
La cinepresa si immerge tra di loro imprigonandoci nel carrarmato, costringendoci a osservare la guerra attraverso un mirino (l'apoteosi del cinema come osservazione="La finestra sul cortile") senza poter far niente.
Una cinepresa cosi vicina agli attori quasi da ricordare il Kammerspiel tedesco, "L'occhio" che tenta di raccontare i fatti da chi li ha vissuti sulla sua pelle e che prova ad attenuare il dolore attraverso la pellicola; Ari Folman (Valzer con Bashir).
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giacomogabrielli
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venerdì 22 ottobre 2010
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fedele. ****
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Originale visione di un terribile conflitto che ha segnato le vite di molti persone e giovani, come i protagonisti del film. Cruda e ben fatta ricostruzione, per un opera prima da Leone d'oro a Venezia 2009. FEDELE | ****
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peer gynt
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giovedì 14 ottobre 2010
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incubo obiettivo
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Film israeliano di ottimo livello. Siamo all’inizio della guerra del
Libano del 1982. Il film e’ quasi totalmente ambientato all’interno di un
carro armato israeliano catapultato in piena zona di guerra. E’ la
variante originale dei vecchi film ambientati in un sottomarino, poiche’
partecipiamo anche noi della sensazione di oppressione dei soldati chiusi
dentro quest’arma di guerra, fra il caldo e la puzza insopportabile, con
unico contatto con l’esterno l’obiettivo-mirino del cannone, attraverso il
quale anche noi assistiamo alle morti, alle distruzioni e agli
appostamenti dei militari fra le rovine.
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Film israeliano di ottimo livello. Siamo all’inizio della guerra del
Libano del 1982. Il film e’ quasi totalmente ambientato all’interno di un
carro armato israeliano catapultato in piena zona di guerra. E’ la
variante originale dei vecchi film ambientati in un sottomarino, poiche’
partecipiamo anche noi della sensazione di oppressione dei soldati chiusi
dentro quest’arma di guerra, fra il caldo e la puzza insopportabile, con
unico contatto con l’esterno l’obiettivo-mirino del cannone, attraverso il
quale anche noi assistiamo alle morti, alle distruzioni e agli
appostamenti dei militari fra le rovine. Ed e’ un punto di vista parziale
e penalizzante, che poco fa capire e molto spaventa. Il terrore dei
soldati e del prigioniero siriano incatenato (4 persone in uno spazio
cosi’ angusto) si fa palpabile, la comparsa dei falangisti che vogliono
portare via il prigioniero genera in tutti ansia e sconcerto (alleati?
nemici?).
La scena finale in un campo di girasoli, richiamando l’analoga scena
iniziale, pone tutto il film fra parentesi, come se la guerra fosse un
orrido sogno visto attraverso un obiettivo-mirino (la macchina da presa).
Ma sottolinea ancor piu’, nella sua normalita’, il carattere di incubo
reale di quel sogno.
Un’accusa alla guerra, dove tutti alla fine sono perdenti.
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nalipa
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mercoledì 22 settembre 2010
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gerra del libano ...
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Vissuta da dentro un carro armato israeliano mandata a perlustrare una cittadina bombardata dall'aviazione
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g_andrini
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martedì 6 aprile 2010
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non male
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E' un film interessante, piuttosto originale. La maggior parte del tempo scorre all'interno del carro armato. Gli attori sono positivi nel ruolo, interpretando bene. E' una pellicola contro la guerra, contro la sua assurdità.
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oh dae soo
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domenica 28 marzo 2010
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l' incoscienza e la paura
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Lebanon, vincitore a Venezia 2009, opera prima di un regista israeliano, Samuel Maoz.
The Hurt Locker, trionfatore agli oscar 2010.
Il grande cinema di guerra ritorna dopo quasi 2 decenni di (semi)buio susseguenti ai magnifici anni '80 ( Apocalypse now, Platoon, Good Morning Vietnam etc...). Due film straordinari ma molto diversi tra di loro. Lebanon racconta, quasi in tempo reale, un'incursione di un drappello di militari, un carrarmato e dei paracadutisti, in un centro abitato, non meglio identificato, del Libano appena bombardato dall'artiglieria isreliana. Siamo nel 1982, 1° guerra del Libano. All'interno del carrarmato, chiamato Rinoceronte, 4 giovani ragazzi. Esperienza di guerra pari a 0.
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Lebanon, vincitore a Venezia 2009, opera prima di un regista israeliano, Samuel Maoz.
The Hurt Locker, trionfatore agli oscar 2010.
Il grande cinema di guerra ritorna dopo quasi 2 decenni di (semi)buio susseguenti ai magnifici anni '80 ( Apocalypse now, Platoon, Good Morning Vietnam etc...). Due film straordinari ma molto diversi tra di loro. Lebanon racconta, quasi in tempo reale, un'incursione di un drappello di militari, un carrarmato e dei paracadutisti, in un centro abitato, non meglio identificato, del Libano appena bombardato dall'artiglieria isreliana. Siamo nel 1982, 1° guerra del Libano. All'interno del carrarmato, chiamato Rinoceronte, 4 giovani ragazzi. Esperienza di guerra pari a 0. Probabilmente sbagliano qualcosa, e si ritrovano soli dentro il blindato senza possibilità di venire salvati.
E' difficile dire se il più grande merito di questo film sia la sua assoluta sperimentalità, o il messaggio che vuole darci. Riguardo il primo aspetto, Lebanon è veramente un film straordinario nel senso etimologico del termine. Tranne nella prima e ultima inquadratura infatti, ci troviamo SEMPRE all'interno del carrarmato, e il nostro occhio non è più quello umano, ma il mirino del cannone. La sfida del regista è vinta dato che, malgrado lo spazio angustissimo in cui ci catapulta, riesce a mantenere per tutta la durata del film una grande tensione. Lo spazio limitato rende ancora più devastanti e definite le emozioni che i 4 ragazzi provano all' interno. Siamo lì con i 4 ragazzi, e nè noi nè loro abbiamo la minima possibilità di possibilità di evadere, sia fisicamente che mentalmente. Dobbiamo stare lì e pensare lì, perchè la minima distrazione o un calo di attenzione potrebbero essere fatali.
Riguardo il messaggio che il film ci lascia, mi piace notare come Lebanon ci parli dell' esatto sentimento contrario a quello raccontato in Hurt Locker. Mentre il film della Bigelow infatti ci mostrava l'assoluta necessità del protagonista di stare DENTRO la guerra, del rapporto quasi di dipendenza che si era instaurato tra lui e il teatro bellico, Maoz ci parla dell'assoluto contrario, del trovarsi catapultati, assolutamente impreparati, a dover combattere, al dover uccidere, e conseguentemente,Lapalisse, al terrore di restare uccisi. Non è questione di coraggio nel primo caso e paura nel secondo, la distinzione la fanno l' incoscienza dell'uno e la consapevolezza degli altri. E, forse, non sono i 4 ragazzi terrorizzati ad essere immaturi come sembrano; forse, lo è ancor più l'artificiere di Hurt Locker. La vita è una cosa meravigliosa. Ce ne è stata data una, una soltanto, e non volere perderla è sintomo di maturità, umanità, amore.
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poldino
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venerdì 26 marzo 2010
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la guerra vista da un obiettivo
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Il primo lungometraggio di Maoz,se può considerarsi apprezzabile e riuscito dal punto di vista ideologico(la guerra vista in soggettiva dall'interno di un carro armato),non sempre centra il bersaglio e con l'incessante passare dei minuti,dopo un'ottima mezz'ora,si rivela prolisso e ripetitivo.Certo,non mancano scene,toccanti ed emozionanti(vedi il cavallo che lacrima),ma da qui a definirlo capolavoro ed a premiarlo con un leone d'oro mi sembra eccessivo.
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