fulvieri
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domenica 25 ottobre 2009
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la guerra dall'occhio di un carrarmato
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La guerra israeliana dell'82 in Libano, vissuta attraverso lo sguardo del puntatore di un carrarmato, appare nella sua realtà non solo cruda e violenta come tutte le guerre, di più, nel suo essere claustrofobica e disgustosa. L'addetto al puntatore è un giovane israeliano che guarda atterrito nel suo strumento di lavoro, ma non ce la fa a sparare, si ribella contro il capo che pretende di ordinargli di gettarsi addosso la responsabilità della vita della gente. E' un occhiello ristretto che scruta disperatamente quello che succede fuori del carro, accompagnato dal freddo rumore meccanico del puntatore che si muove. Così il terrore salta agli occhi ogni volta; un gruppo di terroristi che si lancia deciso contro il reparto di guerra, chiamato fiabescamente Cenerentola, il trasportatore di polli, che viene mutilato dal "fumogeno" (in reatà è un'arma non convenzionale) che proviene dal carro, e poi per pietà è finito dal capitano, i terroristi che si fanno scudo dei civili, facendo sparare contro una bambina di cinque anni sotto lo sguardo impietrito della madre.
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La guerra israeliana dell'82 in Libano, vissuta attraverso lo sguardo del puntatore di un carrarmato, appare nella sua realtà non solo cruda e violenta come tutte le guerre, di più, nel suo essere claustrofobica e disgustosa. L'addetto al puntatore è un giovane israeliano che guarda atterrito nel suo strumento di lavoro, ma non ce la fa a sparare, si ribella contro il capo che pretende di ordinargli di gettarsi addosso la responsabilità della vita della gente. E' un occhiello ristretto che scruta disperatamente quello che succede fuori del carro, accompagnato dal freddo rumore meccanico del puntatore che si muove. Così il terrore salta agli occhi ogni volta; un gruppo di terroristi che si lancia deciso contro il reparto di guerra, chiamato fiabescamente Cenerentola, il trasportatore di polli, che viene mutilato dal "fumogeno" (in reatà è un'arma non convenzionale) che proviene dal carro, e poi per pietà è finito dal capitano, i terroristi che si fanno scudo dei civili, facendo sparare contro una bambina di cinque anni sotto lo sguardo impietrito della madre.
Eppure il dovere del soldato è quello di procedere, di andare avanti, di macinare vittime, un dovere sporco, come la lordura dei visi, che opprime più dell'angustia del carro, ma che fa grandi di colpo i ragazzi del carro, che non hanno capito che della guerra si tratta, non di giocare a guardie e ladri. E' un bellissimo film, teatrale, ma al contrario del teatro epico brechtiano che respinge fuori lo spettatore, questo film lo trascina inaspettatamente sul palco di guerra a fare, anche lui, la sua parte, mettendolo a ragionare nelle strettoie della spietata logica della guerra e costringendolo a scegliere, prendere posizione, come i ragazzi del carro, ciascuno dei quali reagisce a modo suo; quello che prende la morfina per superare la paura, quell'altro che prende in mano la situazione da vero uomo. Solo il racconto erotico di uno di loro, che narra il primo orgasmo avvenuto da bambino con la maestra, in occasione della morte del padre, riscatta il chiuso dell'abitacolo del carro e l'oppressione della guerra con il volo dell'immaginazione.
La vita dei ragazzi è seriamente messa in pericolo
perché il carro si trova di notte circondato dai siriani che gli sparano contro, ma la determinazione del puntatore si rivelerà salvifica. Alla fine di tutto riusciremo a uscirne anche noi, insieme col puntatore, e a vedere il carro per la prima volta da fuori, in un campo di girasoli a capo chino.
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paolorol
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domenica 13 settembre 2009
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robusta ed urlante opera prima
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Attacco al Libano da parte di Israele, 1982.
Colpisce l'impianto teatrale del film, che non è un "film di guerra",quanto un film contro la guerra, ambientato in uno spazio angusto e claustrofobico, buio, sporco ed indistinto, sovrastato e quasi costruito da rumori e stridii violenti, interrotti qui e là da brevi silenzi ancora più angoscianti.
Maoz descrive la sua esperienza personale, quella di un ventenne buttato allo sbaraglio in un'impresa alla quale non riesce a dare senso, dove confusione e spiazzamento regnano e dove la realtà diventa inafferrabile ed irraggiungibile,proprio come la "Terra Promessa".
Tutto accade all'interno del carro armato dove sono costretti a diventare "uomini veri", dall'oggi al domani, quattro ragazzini inesperti e sprovveduti,un pò capricciosi, litigiosi e poco assoggettati alle norme gerarchiche.
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Attacco al Libano da parte di Israele, 1982.
Colpisce l'impianto teatrale del film, che non è un "film di guerra",quanto un film contro la guerra, ambientato in uno spazio angusto e claustrofobico, buio, sporco ed indistinto, sovrastato e quasi costruito da rumori e stridii violenti, interrotti qui e là da brevi silenzi ancora più angoscianti.
Maoz descrive la sua esperienza personale, quella di un ventenne buttato allo sbaraglio in un'impresa alla quale non riesce a dare senso, dove confusione e spiazzamento regnano e dove la realtà diventa inafferrabile ed irraggiungibile,proprio come la "Terra Promessa".
Tutto accade all'interno del carro armato dove sono costretti a diventare "uomini veri", dall'oggi al domani, quattro ragazzini inesperti e sprovveduti,un pò capricciosi, litigiosi e poco assoggettati alle norme gerarchiche.
Fotografia molto espressiva ed intensa, dominata dai primissimi piani di volti in penombra, sporchi e sudati, ormai un tutt'uno coll'antro che li contiene, un ventre inospitale riempito dalle loro grida, dai loro umori corporali,dalla loro crescente angoscia.
Bene ha fatto la Giuria della 66°Mostra di Venezia a premiare col Leone d'Oro questo urlante atto di accusa contro la guerra.
Bene faranno gli spettatori a godersi questo film nelle migliori condizioni: la visione televisiva potrebbe ridurne eccessivamentte la vis espressiva.. E' un film da vedere e da sentire con un adeguato impianto audio surround, che permetta di immergersi fino in fondo in un'esperienza straordinariamente vera e coinvolgente, sino alla soglia del dolore.
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paola di giuseppe
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domenica 1 novembre 2009
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…sopra la terra nera…
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6 ottobre ’73, festa dello Yom Kippur, Israele contro Siria ed Egitto; 6 giugno 1982, prima guerra Israele/Libano. Amos Gitai, Ari Folman, Samuel Maoz le hanno combattute e ce le raccontano.
Eran Riklis ha raccontato, un anno fa, la “guerra” dei limoni che, dopo “La sposa siriana”, ha parlato di confini, segnati da un muro o bruciati da odio etnico, fa lo stesso, comunque confini.
Il conflitto arabo/israeliano si sta avvicinando al top delle classifiche quanto a rappresentazione cinematografica della guerra nel mondo del secondo dopoguerra, il mondo, cioè, pacificato dagli accordi di Yalta.
Superato finora solo dalla guerra del Vietnam, quasi a pari merito con la crisi dell’ex Jugoslavia, si potrebbe stabilire un confronto non più numerico ma sul grado di orrore che si è capaci di rappresentare al cinema.
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6 ottobre ’73, festa dello Yom Kippur, Israele contro Siria ed Egitto; 6 giugno 1982, prima guerra Israele/Libano. Amos Gitai, Ari Folman, Samuel Maoz le hanno combattute e ce le raccontano.
Eran Riklis ha raccontato, un anno fa, la “guerra” dei limoni che, dopo “La sposa siriana”, ha parlato di confini, segnati da un muro o bruciati da odio etnico, fa lo stesso, comunque confini.
Il conflitto arabo/israeliano si sta avvicinando al top delle classifiche quanto a rappresentazione cinematografica della guerra nel mondo del secondo dopoguerra, il mondo, cioè, pacificato dagli accordi di Yalta.
Superato finora solo dalla guerra del Vietnam, quasi a pari merito con la crisi dell’ex Jugoslavia, si potrebbe stabilire un confronto non più numerico ma sul grado di orrore che si è capaci di rappresentare al cinema.
O, forse, meglio stabilire parallelismi fra i modi che, di volta in volta, ognuno ha scelto per esorcizzarlo, quell’orrore.
La coloratissima scena d’amore body painting, che apre e chiude Kippur, aiuta a dimenticare il monocromatismo del fango fetido in cui affondano i barellieri di Gitai, in una esasperante lentezza di movimenti da incubo claustrofobico; la storiella raccontata dentro il carro di Lebanon sulla morte del padre e sulla maestra che consola l’orfanello e gli dà una mano a liberarsi dall’angoscia, strappa una risata alla sala, attanagliata da ossessivi rumori sferraglianti,visioni di bassa macelleria, primissimi piani di occhi terrorizzati e facce annerite e sudate.
O, forse, si può ricordare il giardino di limoni di Sama,che continua a frusciare al vento davanti alle torrette di guardia del muro di Gaza, o la musica di Bach che scende pietosa sul corpicino del bambino terrorista straziato dal carro armato del Valzer con Bashir.
O, infine, il campo di girasoli a perdita d’occhio su cui la macchina da presa resta ferma a lungo, in apertura di Lebanon, sotto un cielo fermo di immobile fissità, che si riempie, in chiusura (stessa ring composition di Kippur) di un carro armato che copre quasi tutto l’orizzonte.
Sembra abbandonato, ferraglia (come dice la scritta sul fianco) però quante belle corolle gialle avrà schiacciato!
Dicono che sopra la terra nera //
la cosa più bella sia una fila di cavalieri,//
o di opliti, o di navi.//
io dico: quello che s'ama (SAFFO)
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peer gynt
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giovedì 14 ottobre 2010
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incubo obiettivo
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Film israeliano di ottimo livello. Siamo all’inizio della guerra del
Libano del 1982. Il film e’ quasi totalmente ambientato all’interno di un
carro armato israeliano catapultato in piena zona di guerra. E’ la
variante originale dei vecchi film ambientati in un sottomarino, poiche’
partecipiamo anche noi della sensazione di oppressione dei soldati chiusi
dentro quest’arma di guerra, fra il caldo e la puzza insopportabile, con
unico contatto con l’esterno l’obiettivo-mirino del cannone, attraverso il
quale anche noi assistiamo alle morti, alle distruzioni e agli
appostamenti dei militari fra le rovine.
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Film israeliano di ottimo livello. Siamo all’inizio della guerra del
Libano del 1982. Il film e’ quasi totalmente ambientato all’interno di un
carro armato israeliano catapultato in piena zona di guerra. E’ la
variante originale dei vecchi film ambientati in un sottomarino, poiche’
partecipiamo anche noi della sensazione di oppressione dei soldati chiusi
dentro quest’arma di guerra, fra il caldo e la puzza insopportabile, con
unico contatto con l’esterno l’obiettivo-mirino del cannone, attraverso il
quale anche noi assistiamo alle morti, alle distruzioni e agli
appostamenti dei militari fra le rovine. Ed e’ un punto di vista parziale
e penalizzante, che poco fa capire e molto spaventa. Il terrore dei
soldati e del prigioniero siriano incatenato (4 persone in uno spazio
cosi’ angusto) si fa palpabile, la comparsa dei falangisti che vogliono
portare via il prigioniero genera in tutti ansia e sconcerto (alleati?
nemici?).
La scena finale in un campo di girasoli, richiamando l’analoga scena
iniziale, pone tutto il film fra parentesi, come se la guerra fosse un
orrido sogno visto attraverso un obiettivo-mirino (la macchina da presa).
Ma sottolinea ancor piu’, nella sua normalita’, il carattere di incubo
reale di quel sogno.
Un’accusa alla guerra, dove tutti alla fine sono perdenti.
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reservoir dogs
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lunedì 8 novembre 2010
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la pellicola che lenisce le ferite
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Lebanon: Il Libano distrutto dalla guerra visto attraverso un tank israeliano e da quattro giovani "estranei" che lo abitano condividendo dolori, paure e lacrime.
Il carrarmato è il feto in cui questi giovani si trovano e vagano senza meta nella speranza di una "rinascita" che avverrà poi in un campo di girasoli.
La cinepresa si immerge tra di loro imprigonandoci nel carrarmato, costringendoci a osservare la guerra attraverso un mirino (l'apoteosi del cinema come osservazione="La finestra sul cortile") senza poter far niente.
Una cinepresa cosi vicina agli attori quasi da ricordare il Kammerspiel tedesco, "L'occhio" che tenta di raccontare i fatti da chi li ha vissuti sulla sua pelle e che prova ad attenuare il dolore attraverso la pellicola; Ari Folman (Valzer con Bashir).
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oh dae soo
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domenica 28 marzo 2010
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l' incoscienza e la paura
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Lebanon, vincitore a Venezia 2009, opera prima di un regista israeliano, Samuel Maoz.
The Hurt Locker, trionfatore agli oscar 2010.
Il grande cinema di guerra ritorna dopo quasi 2 decenni di (semi)buio susseguenti ai magnifici anni '80 ( Apocalypse now, Platoon, Good Morning Vietnam etc...). Due film straordinari ma molto diversi tra di loro. Lebanon racconta, quasi in tempo reale, un'incursione di un drappello di militari, un carrarmato e dei paracadutisti, in un centro abitato, non meglio identificato, del Libano appena bombardato dall'artiglieria isreliana. Siamo nel 1982, 1° guerra del Libano. All'interno del carrarmato, chiamato Rinoceronte, 4 giovani ragazzi. Esperienza di guerra pari a 0.
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Lebanon, vincitore a Venezia 2009, opera prima di un regista israeliano, Samuel Maoz.
The Hurt Locker, trionfatore agli oscar 2010.
Il grande cinema di guerra ritorna dopo quasi 2 decenni di (semi)buio susseguenti ai magnifici anni '80 ( Apocalypse now, Platoon, Good Morning Vietnam etc...). Due film straordinari ma molto diversi tra di loro. Lebanon racconta, quasi in tempo reale, un'incursione di un drappello di militari, un carrarmato e dei paracadutisti, in un centro abitato, non meglio identificato, del Libano appena bombardato dall'artiglieria isreliana. Siamo nel 1982, 1° guerra del Libano. All'interno del carrarmato, chiamato Rinoceronte, 4 giovani ragazzi. Esperienza di guerra pari a 0. Probabilmente sbagliano qualcosa, e si ritrovano soli dentro il blindato senza possibilità di venire salvati.
E' difficile dire se il più grande merito di questo film sia la sua assoluta sperimentalità, o il messaggio che vuole darci. Riguardo il primo aspetto, Lebanon è veramente un film straordinario nel senso etimologico del termine. Tranne nella prima e ultima inquadratura infatti, ci troviamo SEMPRE all'interno del carrarmato, e il nostro occhio non è più quello umano, ma il mirino del cannone. La sfida del regista è vinta dato che, malgrado lo spazio angustissimo in cui ci catapulta, riesce a mantenere per tutta la durata del film una grande tensione. Lo spazio limitato rende ancora più devastanti e definite le emozioni che i 4 ragazzi provano all' interno. Siamo lì con i 4 ragazzi, e nè noi nè loro abbiamo la minima possibilità di possibilità di evadere, sia fisicamente che mentalmente. Dobbiamo stare lì e pensare lì, perchè la minima distrazione o un calo di attenzione potrebbero essere fatali.
Riguardo il messaggio che il film ci lascia, mi piace notare come Lebanon ci parli dell' esatto sentimento contrario a quello raccontato in Hurt Locker. Mentre il film della Bigelow infatti ci mostrava l'assoluta necessità del protagonista di stare DENTRO la guerra, del rapporto quasi di dipendenza che si era instaurato tra lui e il teatro bellico, Maoz ci parla dell'assoluto contrario, del trovarsi catapultati, assolutamente impreparati, a dover combattere, al dover uccidere, e conseguentemente,Lapalisse, al terrore di restare uccisi. Non è questione di coraggio nel primo caso e paura nel secondo, la distinzione la fanno l' incoscienza dell'uno e la consapevolezza degli altri. E, forse, non sono i 4 ragazzi terrorizzati ad essere immaturi come sembrano; forse, lo è ancor più l'artificiere di Hurt Locker. La vita è una cosa meravigliosa. Ce ne è stata data una, una soltanto, e non volere perderla è sintomo di maturità, umanità, amore.
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wilsons
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sabato 30 gennaio 2010
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decidere la propria vita o la propria morte
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Incredibile rappresentazione di sentimenti contrastanti e allo stesso tempo tremendamente crudo e pragmatico. Samuel Maoz è riuscito brillantemente a trasmettere l'atrocità e l'odio della guerra israeliana vissuta nel ventre di un carroarmato. Lo spettatore sembra come essere anch'egli nel carroarmato. Ha l'impressione di sentire la puzza di sudore, di sentire sulla pelle l'alito affannato dei propri compagni. Ogni sguardo all'interno di un semplice mirino significava uccidere, distruggere tutto. Guardare in quel mirino è come avere un coltello alla gola. Spari o sei morto. In quel momento il cuore sembra paralizzarsi. Inquadrare un viso di donna col suo bambino ed essere costretto a sparare.
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Incredibile rappresentazione di sentimenti contrastanti e allo stesso tempo tremendamente crudo e pragmatico. Samuel Maoz è riuscito brillantemente a trasmettere l'atrocità e l'odio della guerra israeliana vissuta nel ventre di un carroarmato. Lo spettatore sembra come essere anch'egli nel carroarmato. Ha l'impressione di sentire la puzza di sudore, di sentire sulla pelle l'alito affannato dei propri compagni. Ogni sguardo all'interno di un semplice mirino significava uccidere, distruggere tutto. Guardare in quel mirino è come avere un coltello alla gola. Spari o sei morto. In quel momento il cuore sembra paralizzarsi. Inquadrare un viso di donna col suo bambino ed essere costretto a sparare. L'odio terrorizza, la ragione ti rende consapevole delle tue azioni. E' difficile stare li in quel momento, con i tuoi compagni che urlano, che sputano sangue nell'implorare la salvezza. Tutto diventa un salto nel vuoto. Tutto diventa "probabilità". Vita o morte! Questo è Lebanon.
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estonia
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venerdì 4 luglio 2014
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esperienza di guerra claustrofobica e devastante
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La percezione della guerra nella sua dimensione più devastante diventa reale identificazione. La paura e l’angoscia sono palpabili, avvertibili quasi fisicamente. E’ uno dei film che più di tanti altri dà la misura autentica e diretta di ciò che comporta essere in prima persona in mezzo a quell’inferno.
L’orrore, per quattro giovani soldati israeliani, è un’esperienza inevitabilmente senza via d’uscita: al riparo ma anche intrappolati nel ventre scuro e assordante di un carro armato devono fare i conti con una situazione estrema e con la paralizzante incapacità di reagire dovuta all’inesperienza sul campo.
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La percezione della guerra nella sua dimensione più devastante diventa reale identificazione. La paura e l’angoscia sono palpabili, avvertibili quasi fisicamente. E’ uno dei film che più di tanti altri dà la misura autentica e diretta di ciò che comporta essere in prima persona in mezzo a quell’inferno.
L’orrore, per quattro giovani soldati israeliani, è un’esperienza inevitabilmente senza via d’uscita: al riparo ma anche intrappolati nel ventre scuro e assordante di un carro armato devono fare i conti con una situazione estrema e con la paralizzante incapacità di reagire dovuta all’inesperienza sul campo. La realtà sconvolgente che sta fuori dal mezzo arriva dentro all’abitacolo filtrata dal mirino, a focalizzare il senso di alienazione e di impotenza. L’angoscia diventa aggressività, rabbia, follia. Ogni piccolo dettaglio delle immagini è teso a individuare la potenza devastante di un’insostenibile situazione claustrofobica. Non ci sono forzature retoriche nella rappresentazione dell’individuo che si trova di fronte alla ‘scelta obbligata’ di premere il grilletto sotto la pressione della paura. Il campo di girasoli è una nota irreale e straniante che ha più il sapore del disorientamento che della speranza.
Al di là di qualche imperfezione stilistica rilevata da alcuni, è un film notevole a livello di testimonianza e di denuncia rispetto a ciò che ogni guerra comporta in termini di coinvolgimento emotivo e di inevitabile senso di colpa.
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ennio
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mercoledì 7 novembre 2018
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un occhio claustrofobico sulla guerra
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"Lebanon" è un'idea originale che descrive la guerra moderna vissuta dall'interno di un carrarmato. Fin dall'inizio la percezione dello spettatore è cupa, tesa, intrisa del sudore e dell'urina dei protagonisti, racchiusi dentro il blindato in caccia per le strade del Libano. Col procedere della vicenda nell'animo dei ragazzi ruotano vicendevolmente sentimenti di paura isteria lucidità pazzia, ognuno di questi sentimenti mettendo alla prova la loro stabilità emotiva e mentale. Chi all'inizio trema di paura si troverà alla fine in migliori condizioni mentali, mentre qualcun altro scivolerà dal pragmatismo militaresco all'idiozia compulsiva.
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"Lebanon" è un'idea originale che descrive la guerra moderna vissuta dall'interno di un carrarmato. Fin dall'inizio la percezione dello spettatore è cupa, tesa, intrisa del sudore e dell'urina dei protagonisti, racchiusi dentro il blindato in caccia per le strade del Libano. Col procedere della vicenda nell'animo dei ragazzi ruotano vicendevolmente sentimenti di paura isteria lucidità pazzia, ognuno di questi sentimenti mettendo alla prova la loro stabilità emotiva e mentale. Chi all'inizio trema di paura si troverà alla fine in migliori condizioni mentali, mentre qualcun altro scivolerà dal pragmatismo militaresco all'idiozia compulsiva.
Ovviamente nessuno potrà amare la guerra dopo un film del genere, ma questa non è una novità per nessuno.
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