linus2k
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mercoledì 30 giugno 2010
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bastava un po' meno retorica...
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Eastwood torna dopo l'imbarazzantissimo "Changeling" (con una ancor più imbarazzante Angelina Jolie), e ci porta in Sudafrica con un biopic su uno dei personaggi più importanti del XX secolo: Nelson Mandela.
Il merito di questo film è sicuramente quello di evitare il polpettone della storia del personaggio, emozionante sì ma forse assolutamente scontato, ed invece si focalizza un episodio chiave della sua storia, interpretandolo come storia del Paese intero: la vittoria della nazionale di Rugby ai primi mondiali a cui ha partecipato dopo la fine dell'Apartheid e proprio organizzati in Sudafrica (fino ai Mondiali di Calcio del 2010 l'evento sportivo più importante della storia del Paese).
Eastwood rappresenta l'episodio come chiave per interpretare un Paese da costruire ed una convivenza tra bianchi e neri da inventare, con un grande Nelson Mandela (intenso, come al solito, Morgan Freeman) che si affida ad un giovane ma saggio Francois Pienaar (bravissimo Matt Damon).
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Eastwood torna dopo l'imbarazzantissimo "Changeling" (con una ancor più imbarazzante Angelina Jolie), e ci porta in Sudafrica con un biopic su uno dei personaggi più importanti del XX secolo: Nelson Mandela.
Il merito di questo film è sicuramente quello di evitare il polpettone della storia del personaggio, emozionante sì ma forse assolutamente scontato, ed invece si focalizza un episodio chiave della sua storia, interpretandolo come storia del Paese intero: la vittoria della nazionale di Rugby ai primi mondiali a cui ha partecipato dopo la fine dell'Apartheid e proprio organizzati in Sudafrica (fino ai Mondiali di Calcio del 2010 l'evento sportivo più importante della storia del Paese).
Eastwood rappresenta l'episodio come chiave per interpretare un Paese da costruire ed una convivenza tra bianchi e neri da inventare, con un grande Nelson Mandela (intenso, come al solito, Morgan Freeman) che si affida ad un giovane ma saggio Francois Pienaar (bravissimo Matt Damon).
Il film presenta di sicuro momenti di franca emozione e di viva commozione... ma non convince del tutto... purtroppo la retorica tipica dei film hollywoodiani, la melassa eccessiva, una mitizzazione dei personaggi che li rende poco veri vanno a danneggiare una storia che poteva essere viscerata in maniera meno fiabesca e sicuramente più incisiva...
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dario carta
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lunedì 12 aprile 2010
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eastwood,mandela e la psicologia politica
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Nulla può meglio mettere in luce gli intenti sociologici di Clint Eastwood come regista,del suo ultimo "Invictus",dramma storico dalle valenze altamente creative,elemento quantomeno estraneo nell'orizzonte produttivo dell'attuale studio system americano.
Eastwood è passato dalla citazione dell'intransigenza razziale seguita da una presa di coscienza,("Gran Torino"),al clima sessista innervato nei rigori del pregiudizio maschile ("Million Dollars Baby"),dallo scottante tema dell'intervento sul malato terminale,all'eredità dei valori della tradizione ("Flags of Our Fathers"),dal recupero dell'equilibrio morale ("Gli spietati"),alla eroica ma ancor più tragica inchiesta sulla natura del comando ("Letters From Iwo Jima").
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Nulla può meglio mettere in luce gli intenti sociologici di Clint Eastwood come regista,del suo ultimo "Invictus",dramma storico dalle valenze altamente creative,elemento quantomeno estraneo nell'orizzonte produttivo dell'attuale studio system americano.
Eastwood è passato dalla citazione dell'intransigenza razziale seguita da una presa di coscienza,("Gran Torino"),al clima sessista innervato nei rigori del pregiudizio maschile ("Million Dollars Baby"),dallo scottante tema dell'intervento sul malato terminale,all'eredità dei valori della tradizione ("Flags of Our Fathers"),dal recupero dell'equilibrio morale ("Gli spietati"),alla eroica ma ancor più tragica inchiesta sulla natura del comando ("Letters From Iwo Jima").
"Invictus" è un dramma su Nelson Mandela (Morgan Freeman),sul dopo apartheid sud africano e sullo sport del rugby,ambientato in un momento storico che vede il Capo di Stato appena eletto assumere una posizione nei confronti del suo Paese così decisa e rischiosa,da essere altamente criticata perfino dal suo organico governativo al punto di essere egli stesso considerato fautore e responsabile del suo suicidio politico.
Il capo di Stato sente che la sua celebrità è ingombrante ed un fardello pesante da portare,ma è anche una forte risorsa da utilizzare come mezzo politico.
La sua maggiore preoccupazione nei confronti dei suoi fedeli è quella di riuscire a trovare il prestigio morale che possa condurlo ad una intesa,un atto di mediazione con i bianchi che lo consideravano un terrorista ed un usurpatore delle tradizioni ed una minaccia ai valori fondamentali del Paese.
Il regista e lo sceneggiatore Anthony Peckman raccontano con una metafora la spaccatura sociale di una nazione lacerata da profonde contese razziali e la possibilità che lo sport possa essere il mezzo e la strategia per colmare l'abisso fra le due parti e riportare l'equilibrio nel Paese.
Eastwood allunga lo sguardo oltre il politico;fa luce sulla sofferenza e malinconia di un uomo solo,cui manca l’affetto ed il sostegno di una famiglia,una moglie solo citata nel film ed una figlia prigioniera di un rancore cui non viene data spiegazione.
Tutto il film è permeato della creatività di ampio respiro e della ricca pacatezza narrativa che contraddistinguono le opere di Eastwood “Gli spietati”,”Gran Torino”,pur restando leggermente sotto tono rispetto a questi ultimi.
Nel ritmo quieto della narrazione il regista innesta il dinamismo di una vivace storia sportiva,innervata nell’articolata complessità politica di uno Stato e dell’uomo che ne ha preso le redini in mano,”perché non debba più subire l’oltraggio di essere lo scarico del mondo”.
Eastwood è magistrale nel far confluire idealismo nazionalista con proiezioni politiche,status razziale ed aspirazioni sociali nell’essenzialismo di un contesto sportivo,senza impoverire il contenuto del suo messaggio.
“Invictus” è un film sulle psicologia umana raccontato in forma di parabola ad esprimere nell’allegoria di un’attività sportiva l’ostinazione che l’uomo può trovare in sé stesso per raggiungere la realizzazione dei propri ideali visti concretizzati – quasi contraddizione in termini -nella formazione dell’unità dei valori e delle persone per le quali una vita vale la spesa di essere vissuta (“Io sono il capitano del mio destino ed il padrone della mia anima”).
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kronos
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lunedì 12 luglio 2010
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celebrativo, forse troppo
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Puntiglioso e professionale come tutti i lavori di EastWood, è un film ben interpretato e ricco di buone intenzioni: chi non conoscesse quella delicata fase storica sudafricana troverà in 'Invictus' una valida e interessante documentazione.
Però, a mio avviso, l'eccessiva dimensione celebrativa, didattica ed educativa dell'opera, finisce per renderla didascalica e un pò scontata.
E in tal senso non aiuta una struttura narrativa molto, troppo lineare: più vicina al documentario che al (grande) cinema.
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olgadik
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giovedì 4 marzo 2010
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rugby e razzismo
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L’ultima creatura di Eastwood non è un film minore ma non ha la folgorante sintesi di Gran Torino né il fascino di Changeling. Il tema che l’autore ormai ottantenne ha davanti è complesso, carico di implicazioni di tutti i tipi. Ad offrire lo spunto giusto un libro, Ama il tuo nemico di John Carlin, cui Eastwood fa riferimento. Siamo nel 1995: è l’inizio della nuova presidenza sudafricana e Mandela sceglie di iniziare il suo processo di riconciliazione di neri e africaneers (discendenti bianchi di coloni anglo-olandesi) servendosi del tifo sportivo, da sempre un collante che funziona per popoli altrimenti divisi. E qui c’è l’occasione d’oro: vincere i mondiali ospitati a Johannesburg. Il compito spetta alla squadra degli Springbox, da sempre odiata dai neri per il suo razzismo.
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L’ultima creatura di Eastwood non è un film minore ma non ha la folgorante sintesi di Gran Torino né il fascino di Changeling. Il tema che l’autore ormai ottantenne ha davanti è complesso, carico di implicazioni di tutti i tipi. Ad offrire lo spunto giusto un libro, Ama il tuo nemico di John Carlin, cui Eastwood fa riferimento. Siamo nel 1995: è l’inizio della nuova presidenza sudafricana e Mandela sceglie di iniziare il suo processo di riconciliazione di neri e africaneers (discendenti bianchi di coloni anglo-olandesi) servendosi del tifo sportivo, da sempre un collante che funziona per popoli altrimenti divisi. E qui c’è l’occasione d’oro: vincere i mondiali ospitati a Johannesburg. Il compito spetta alla squadra degli Springbox, da sempre odiata dai neri per il suo razzismo. Per raggiungere l’obiettivo di fare del rugby una bandiera politica Mandiba (tale il suo nome nella lingua dei nativi), nonostante la contrarietà del suo popolo, crea un rapporto di forte comunicazione con il capitano della squadra Fancois Pienaar (Matt Damon), che spinge a divenire “il capitano della sua anima”. Con il carisma di cui è fornito, Mandela (Morgan Freman) riuscirà così ad amalgamare attorno alla sua idea le due componenti umane e sociali del gigantesco paese. Tra gli altri impegni pubblici di ogni tipo, lo vedremo quindi assistere in campo la squadra e indossarne la maglia. Anche gli uomini della sua scorta, metà bianca e metà nera, altra scelta politica sottolineata dal film, saranno coinvolti nel tifo. Invece della Haka (danza propiziatrice Maori dei loro avversari neozelandesi) gli Springbox hanno dalla loro due inni, quello di origine olandese e quello in lingua khosa. Le due formazioni che si misurano in campo occupano quasi tutto il secondo tempo. La lunga sfida è la parte tecnicamente più emozionante e riuscita di Invictus. Con la stead-camera che si muove con intensità e dinamismo, Eastwood cattura lo sforzo, i rumori e l’ansare del respiro, si sposta sotto il mucchio umano, segue il ritmo dell’azione con una resa quasi fisica che si ritrova spesso nel cinema americano (vedi Fuga per la vittoria di Houston). Alla riuscita di questa parte del film collabora anche il montaggio mozzafiato di Jole Fox, tanto che siamo in tribuna anche noi… Il resto del racconto è costruito con tratti essenziali, fatti di piccole cose rivelatrici di una realtà più ampia che un solo film non può rendere nella sua complessità. La scelta di selezionare i dettagli alla fine è vincente perché Eastwood è maestro al riguardo, ma è mia convinzione che se la partita simbolica avesse preso meno spazio, cedendolo a qualche altro asciutto approfondimento, il film ne avrebbe guadagnato e lo stesso personaggio di Mandela sarebbe apparso un po’ meno santino. Perché se un limite c’è nel discorso è questo eccesso di epicità in cui quasi lo sport la vince sulla politica. Del resto non è giusto chiedere a un autore di essere ciò che non è e di volere ciò che non vuole. Nel nostro caso quello che il regista ha voluto raccontare vale comunque ed emoziona con la sua semplicità mai superficiale ma scelta come cifra di stile. Per questo Eastwood ha ancora molto da dirci con la generosa rudezza che lo contraddistingue. Freeman è perfetto nella parte, un po’ meno Matt Damon che sfodera spesso espressioni un po’ ottuse senza molte varianti.
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versozero
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lunedì 15 marzo 2010
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l'inesauribile clint
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INVICTUS, biopic su Nelson Mandela che si focalizza sui campionati mondiali di Rugby del 1995 vinti dal Sudafrica, e sulla loro importanza nell’unificare una nazione e nel processo di pacificazione di un popolo che usciva dagli anni dell’apartheid.
Eastwood cambia totalmente genere cinematografico rispetto ai suoi ultimi film ma prosegue il suo racconto di mondi diversi e apparentemente inconciliabili, lo faceva in modo pessimistico nel dittico di guerra FLAGS OF OUR FATHER-LETTERE DA IWO JIMA e in GRAN TORINO, lo fa adottando il punto di vista della speranza e del perdono in INVICTUS.
Il film, voluto fortemente da Morgan Freeman che interpreta anche la parte di Mandela, racconta la storia del presidente del Sudafrica attraverso uno degli episodi più positivi del suo governo: la vittoria degli Springboks capitanati da Francois Pienaar (interpretato dal bravo Matt Damon) sugli All Blacks ai campionati mondiali di Rugby dal 1995.
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INVICTUS, biopic su Nelson Mandela che si focalizza sui campionati mondiali di Rugby del 1995 vinti dal Sudafrica, e sulla loro importanza nell’unificare una nazione e nel processo di pacificazione di un popolo che usciva dagli anni dell’apartheid.
Eastwood cambia totalmente genere cinematografico rispetto ai suoi ultimi film ma prosegue il suo racconto di mondi diversi e apparentemente inconciliabili, lo faceva in modo pessimistico nel dittico di guerra FLAGS OF OUR FATHER-LETTERE DA IWO JIMA e in GRAN TORINO, lo fa adottando il punto di vista della speranza e del perdono in INVICTUS.
Il film, voluto fortemente da Morgan Freeman che interpreta anche la parte di Mandela, racconta la storia del presidente del Sudafrica attraverso uno degli episodi più positivi del suo governo: la vittoria degli Springboks capitanati da Francois Pienaar (interpretato dal bravo Matt Damon) sugli All Blacks ai campionati mondiali di Rugby dal 1995.
Il rischio che uscisse un film buonista e scontato era molto alto ma Eastwood sceglie di non contrapporre a Mandela il classico “cattivo” che incarnasse tutti gli aspetti negativi dei bianchi afrikaneer, piuttosto dissemina il film di piccoli episodi che sono però l’esempio di un atteggiamento diffuso (la rivalità fra le guardie presidenziali nere e bianche, il ruolo della governante nera nella famiglia di Pienaar).
Il risultato è di evitare retorica e facili schematismi fra buoni e cattivi, e soprattutto di far respirare l’atmosfera di quel periodo storico, l’odio fra i neri e i bianchi afrikaneer.
Altro rischio era quello dell’agiografia, che il film sfiora più volte, ma che è evitata mostrando anche il lato “umano” di Mandela (il divorzio con la moglie, il rapporto con la figlia) in contrapposizione al suo carisma e alle sue capacità politiche e dialettiche.
A mio parere il film si dilunga troppo nel racconto della partita che, pur essendo notevole dal punto di vista tecnico, tra panoramiche degli spalti, ralenti delle azioni di gioco e ruggiti dei giocatori perde un po’ di tensione drammatica.
Straordinario il modo in cui Morgan Freeman si cala nei panni di Mandela, lavorando sulla gestualità, sul sorriso, sul modo di muoversi, arrivando a una perfetta fusione fra attore e personaggio.
In conclusione l’ho trovato un buon film, dalla grande forza metaforica, forse non raggiunge i livelli degli ultimi lavori del regista, comunque elegante e ampiamente sopra la media di Hollywood.
Eastwood ormai non sbaglia un colpo da vent’anni e si conferma uno dei più bravi e sensibili registi dei nostri tempi.
Il titolo prende spunto da un poemetto di William Ernest Henley che Mandela leggeva per alleviare lo sconforto nei trent’anni di prigionia, poi usato per incoraggiare e motivare il capitano della squadra di Rugby Pienaar, e che diventa chiave di lettura per entrare nel profondo dell’animo di una figura così importante della storia recente.
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williamdionisi
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domenica 15 dicembre 2013
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un film per ricordare...
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E' morto Nelson Mandela. E si, è questa la trieste notizia di qualche giorno fa. Abbiamo perduto uno degli uomini che hanno cambiato il mondo moderno, in bene. Ex Presidente del Sudafrica e premio Nobel per la pace ha regalato al mondo insegnamenti di vita molto importanti, che possiamo riascoltare guardando questo film: L'invincibile, tratto dal romanzo "Ama il tuo nemico" (a sua volta tratto da eventi realmente accaduti), che racconta di come Mandela lottò per l'unificazione di un paese pervaso da razzismo e pregiudizi...
L'apartheid è finita, ma il Sudafrica è separata da un confine di spine che divide bianchi e neri che sembra invalicabile.
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E' morto Nelson Mandela. E si, è questa la trieste notizia di qualche giorno fa. Abbiamo perduto uno degli uomini che hanno cambiato il mondo moderno, in bene. Ex Presidente del Sudafrica e premio Nobel per la pace ha regalato al mondo insegnamenti di vita molto importanti, che possiamo riascoltare guardando questo film: L'invincibile, tratto dal romanzo "Ama il tuo nemico" (a sua volta tratto da eventi realmente accaduti), che racconta di come Mandela lottò per l'unificazione di un paese pervaso da razzismo e pregiudizi...
L'apartheid è finita, ma il Sudafrica è separata da un confine di spine che divide bianchi e neri che sembra invalicabile. Nelson Mandela (Morgan Freeman) dopo 26 lunghi anni di prigionia e di nuovo libero, ed il 1994 quando viene eletto Presidente. Come detto, il suo obiettivo principale è la riunificazione cittadina, l'unità fa la forza; e non c'è arma più potente dell'educazione che può cambiare il mondo.
La sua brillante idea è quella di riappacificare la nazione attraverso lo sport, il rugby per l'esattezza, che in questo periodo è sorretto da un piedistallo più che traballente: la nazionale di rugby è sostenuta da tutti, solamente che i colori delle maglie sono i vecchi colori simboleggianti l'hapartheid, e per questo motivo le popolazioni nere vorrebbero rivoluzionare la situazione cancellando l'unico punto d'incontro tra le due etnie...ed è proprio qui che entra in gioco Mandela, pronunciando una delle frasi più ricche di significatto che possano essere formulate: Ama il tuo nemico, se non siamo capaci di perdonare il mondo continuerà ad essere diviso da questa spaccatura, il perdono cambia il mondo.
Ed è così che la nazionale di rugby Sudafricana rimase intatta...questo però non bastava, alla gente non importava di sostenere una squadra che non aveva alcuna speranza ai mondiali, che si sarebbero svolti proprio quell'anno in Sudafrica. Così Mandela convocò Francois Pienaar (Matt Damon), il capitano della nazionale di rugby, per un incontro nel quale gli parlò dell'importanza che rivestiva lui nella carica di capitano e di come tutto sarebbe cambiato se la squadra fosse stata vincente: bianchi e neri uniti da un sogno comune, quello che la propria nazionale vinca il mondiale, avrebbe fatto cadere le barriere razziali ed i pregiudizi.
Francois, illuminato dal discorso del Presidente trovò le energie e le forze per guidare la squadra fino al titolo, dove, da sfavoritissimi si aggiudicarono la coppa battendo in finale la temutissima Nuova Zelanda, quella degli All Blacks.
Per quanto incredibilmente fantasiosa possa sembrare questa storia è proprio così che andò, il Sudafrica vinse i mondiali e Mandela raggiunse il suo obiettivo.
Dopo avervi descritto la trama di questo fantastico film, a cui non do 5 stelle solamente per il fatto che la regia in alcuni tratti non mi è piaciuta, ma tutto il resto è eccellente, vorrei fare delle considerazioni personali legate a questo tema.
Per me rividere il film è stato un mezzo per ripensare a quei importanti insegnamenti, che tutti abbiamo più volte risentito, ma credo dovremmo ascoltare ancora più volte: quelle parole sagge, se venissero capite da tutti porterebbero alla fine delle guerra e di tutta la malvagità che ancora persiste. Penso dunque che Mandela non se ne sia andato per sempre, lui resterà sempre grazie ad i suoi insegnamenti, come il simbolo di un uomo che non si è mai arreso, anche quando gli sarebbe stato conveniente.
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rmarci 05
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venerdì 14 giugno 2019
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promuovere l'uguaglianza attraverso lo sport
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Clint Eastwood, dopo lo straordinario successo di Gran Torino, si ispira al romanzo del giornalista J. Carlin. Il risultato è una miscela di film sportivo e biografico, che rispetta le convenzioni di entrambi i generi diventandone anche vittima. Per essere un film di Eastwood, infatti, risulta leggermente semplicistico e, solo a tratti, eccessivamente didascalico. Il regista comunque, pur essendo convintamente repubblicano, affronta con sincera ammirazione la figura di Nelson Mandela, raccontando senza finto buonismo la grande responsabilità che egli, in qualità di leader, si è preso, ovvero quella di riappacificare un'intera Nazione attraverso il concetto tipicamente sportivo di "squadra", inteso come efficace mezzo di comunicazione tra culture diverse nonché come potente strumento di riconciliazione.
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Clint Eastwood, dopo lo straordinario successo di Gran Torino, si ispira al romanzo del giornalista J. Carlin. Il risultato è una miscela di film sportivo e biografico, che rispetta le convenzioni di entrambi i generi diventandone anche vittima. Per essere un film di Eastwood, infatti, risulta leggermente semplicistico e, solo a tratti, eccessivamente didascalico. Il regista comunque, pur essendo convintamente repubblicano, affronta con sincera ammirazione la figura di Nelson Mandela, raccontando senza finto buonismo la grande responsabilità che egli, in qualità di leader, si è preso, ovvero quella di riappacificare un'intera Nazione attraverso il concetto tipicamente sportivo di "squadra", inteso come efficace mezzo di comunicazione tra culture diverse nonché come potente strumento di riconciliazione. Tra alcune imperfezioni e scene emozionanti, il messaggio che il regista vuole trasmettere giunge allo spettatore con delicatezza e semplicità, grazie anche alla straordinaria interpretazione di M. Freeman e alla sceneggiatura ricca di frasi memorabili quanto riflessive. Le scene di Rugby sono girate con grande capacità registica, e con un montaggio veloce ma non frenetico. In conclusione, un film biografico che cade in alcuni rischi del genere, leggermente convenzionale per essere un film di C. Eastwood, ma comunque emozionante, riflessivo e recitato magnificamente. 3,5 stelle su 5.
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the lady on the hot tin roof
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venerdì 5 marzo 2010
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io sono il capitano della mia anima
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Le critiche mosse nei confronti di questo film sono unidirezionali: l'assuefazione di Clint Eastwood alle ingiustizie più torbide che ha portato per anni sul grande schermo lo avrebbe disorientato e reso timido di fronte ad una storia fondamentalmente positiva. Di conseguenza, non avrebbe approfondito a sufficienza la figura di Nelson Mandela, qui interpretato dal saggio e carismatico Morgan Freeman, attore prescelto dallo stesso Mandela. Tuttavia, simili argomentazioni deviano abissalmente da quello che è lo scopo del film, non quello di ripercorrere la biografia di un uomo bensì di testimoniare la capacità dello sport, in particolare uno di quelli attualmente più svincolati dalla corruzione del "mercato", di unire le persone anche nei casi più disperati.
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Le critiche mosse nei confronti di questo film sono unidirezionali: l'assuefazione di Clint Eastwood alle ingiustizie più torbide che ha portato per anni sul grande schermo lo avrebbe disorientato e reso timido di fronte ad una storia fondamentalmente positiva. Di conseguenza, non avrebbe approfondito a sufficienza la figura di Nelson Mandela, qui interpretato dal saggio e carismatico Morgan Freeman, attore prescelto dallo stesso Mandela. Tuttavia, simili argomentazioni deviano abissalmente da quello che è lo scopo del film, non quello di ripercorrere la biografia di un uomo bensì di testimoniare la capacità dello sport, in particolare uno di quelli attualmente più svincolati dalla corruzione del "mercato", di unire le persone anche nei casi più disperati.
Invictus è un film poderoso come i suoi giocatori di rugby, adrenalinico grazie alla splendida fotografia di Tom Stern e supportato da un cast perfetto, all'interno del quale spicca uno strabiliante Matt Damon nel ruolo di Francois Pienaar (perfetto il suo accento sudafricano, a differenza di quello di Freeman), per sua sfortuna già victus nella corsa all'Oscar dal sublime Christoph Waltz di Bastardi senza gloria.
L'aspetto maggiormente interessante è sicuramente dato dalla "multifocalità" della vicenda: la trama è unica, ma è raccontata da punti di vista molto diversi tra loro, ognuno con una propria motivazione alle spalle.
Innanzitutto vi è Mandela, che inizialmente vede nel campionato mondiale di rugby l'opportunità di lanciare in modo eclatante un messaggio politico di unione e finisce per essere egli stesso coinvolto nella fervente anticipazione di un qualunque tifoso, rinnovando il suo spirito guerriero indomabile nella convinzione che debba sempre essere possibile cambiare lo stato delle cose.
In secondo luogo vi è Pienaar, il simbolo della transizione dall'ideologia paterna dell'apartheid verso un nuovo modo di pensare dei cittadini sudafricani, coraggioso apostolo di un messaggio di pace inizialmente frainteso da entrambi i lati della divisione razziale.
In terzo luogo, vi è il cast corale dello staff presidenziale, nel quale ogni persona è in qualche modo influenzata dalla figura centrale e finisce per essere trasformata nel profondo, pronta a dare la vita per qualcosa di infinitamente più grande e importante.
Ciò che Eastwood trasmette ai suoi spettatori, senza propaganda politica o strepiti retorici (alla faccia di chi ha definito questo "un film dell'era Obama"!), è quel senso di dignità che porta a credere ed a combattere per qualcosa e chi si lascerà conquistare dalla sobria bellezza del film uscirà dal cinema con l'impulso, per quanto temporaneo, di portare a termine qualcosa di molto rilevante.
Il testo della poesia "Invictus" di W.E. Henley, che ha ispirato il titolo del film, si trova qui http://en.wikipedia.org/wiki/Invictus
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francesca meneghetti
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domenica 28 febbraio 2010
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due pantere grigie all'assalto. o forse tre
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Due pantere grigie, a quanto pare, fanno coppia vincente nel cinema. Si può dire che rappresentino, nella loro complementarietà, due volti dell’America: il coriaceo ex cowboy Clint Eastwood e il nero Morgan Freeman (Madiba o Mandela in questo film). Eastwood, a differenza di Million Dollar Baby, rimane invisibile, nei suoi panni di regista, mentre Freeman, con la sua bellissima faccia, sembra incarnare sempre di più i panni del vecchio saggio: nero o indiano che sia, custode di una sapienza profonda e più vicina al tempo stesso alla giustizia e alla natura, capace di sedare le inquietudini e le paure degli uomini-bambini, aggressivi, intolleranti. C’è una continuità evidente con Gran Torino: pare proprio che il vecchio Clint, repubblicano e conservatore, negli anni del tramonto abbia voluto metaforicamente scavalcare la “frontiera”, tipicamente americana, e fumare il calumet della pace con chi sta dall’altra parte e che non rientra nella categoria WASP (white-anglosaxon-protestant), senza per altro abbandonare i propri presupposti ideologici.
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Due pantere grigie, a quanto pare, fanno coppia vincente nel cinema. Si può dire che rappresentino, nella loro complementarietà, due volti dell’America: il coriaceo ex cowboy Clint Eastwood e il nero Morgan Freeman (Madiba o Mandela in questo film). Eastwood, a differenza di Million Dollar Baby, rimane invisibile, nei suoi panni di regista, mentre Freeman, con la sua bellissima faccia, sembra incarnare sempre di più i panni del vecchio saggio: nero o indiano che sia, custode di una sapienza profonda e più vicina al tempo stesso alla giustizia e alla natura, capace di sedare le inquietudini e le paure degli uomini-bambini, aggressivi, intolleranti. C’è una continuità evidente con Gran Torino: pare proprio che il vecchio Clint, repubblicano e conservatore, negli anni del tramonto abbia voluto metaforicamente scavalcare la “frontiera”, tipicamente americana, e fumare il calumet della pace con chi sta dall’altra parte e che non rientra nella categoria WASP (white-anglosaxon-protestant), senza per altro abbandonare i propri presupposti ideologici. Vale a dire che si può essere conservatori senza essere razzisti, e per questioni di pura razionalità ed umanità, le stesse che incarna Nelson Mandela (un bel messaggio per l’Italia di oggi). Il film è prevedibile, specie per chi ha seguito, a suo tempo, la Rugby World Cup 1995, ma non per questo, nella sua forte impronta epica, manca di emozionare e coinvolgere. E’ incredibile la capacità di rendere allo spettatore l’atmosfera del campionato: uno stadio affollato e imponente, le fasi e i rituali del gioco, una straordinaria verosimiglianza anche nella scelta degli attori (il Lomu attore sembra più vero del vero). La plasticità, la potenza, l’aggressività del rugby sono enfatizzate dal sonoro (che esagera i tonfi dello scontro fisico) e dalle riprese dal basso verso l’alto, specie in fase di mischia (inquadrature impensabili in una cronaca televisiva). Ne esce, accentuandone la dinamicità, tutta la spettacolarità di questo “gioco da selvaggi giocato da gentiluomini”, anche se si perde l’anima più profonda del rugby, che non è solo la possibilità di rappresentare con spirito unitario una tifoseria eterogenea o addirittura una comunità nazionale (questo ruolo può essere benissimo svolto dal calcio), ma quella di incarnare i valori dell’umile conquista del terreno, in lotta con il fato (impersonato dal pallone ovale dai rimbalzi imprevedibili), e soprattutto dell’amicizia e della collaborazione con i compagni (rappresentata dal gesto sublime di passare la palla indietro. La perfezione sarebbe stata una squadra mista. Ma nel 1995 tra gli Springboks, c’era solo un nero, Chester. Poi la squadra ha "preso colore", ed ha ora nuovo eroe nero, Tendai Mtawarira ”The beast” (ed è curioso che su di lui sia sorto da poco un caso politico in relazione alla sua origine zimbabwese: ma questa è un’altra storia).
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g. romagna
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giovedì 4 marzo 2010
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invictus
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Il primo anno di Nelson Mandela nel ruolo di presidente della Repubblica Sudafricana è raccontato utilizzando come spunto narrativo il cammino della relativa nazionale di rugby, gli Springboks, dalle difficoltà iniziali alle grandi prestazioni nel campionato mondiale 1995, che si tiene proprio in Sudafrica. Lo spunto è di notevole acutezza, perchè permette al film di descrivere argutamente le principali doti di Mandela rendendo importante, nella sua portata simbolica, un evento altrimenti considerabile come marginale nella realtà di un paese che stava cercando di affrontare problemi ben più gravi. Il rugby, nel Sudafrica del tempo, era uno sport elitario, praticato quasi esclusivamente dai bianchi, e la squadra nazionale, capitanata da Francois Pienaar (Matt Damon) ne era specchio (uno solo dei duoi giocatori, Chester, è di pelle nera).
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Il primo anno di Nelson Mandela nel ruolo di presidente della Repubblica Sudafricana è raccontato utilizzando come spunto narrativo il cammino della relativa nazionale di rugby, gli Springboks, dalle difficoltà iniziali alle grandi prestazioni nel campionato mondiale 1995, che si tiene proprio in Sudafrica. Lo spunto è di notevole acutezza, perchè permette al film di descrivere argutamente le principali doti di Mandela rendendo importante, nella sua portata simbolica, un evento altrimenti considerabile come marginale nella realtà di un paese che stava cercando di affrontare problemi ben più gravi. Il rugby, nel Sudafrica del tempo, era uno sport elitario, praticato quasi esclusivamente dai bianchi, e la squadra nazionale, capitanata da Francois Pienaar (Matt Damon) ne era specchio (uno solo dei duoi giocatori, Chester, è di pelle nera). I neri erano coloro che giocavano a calcio e che non seguivano il rugby, o che lo facevano solo per tifare contro gli odiati Springboks. Mandela intuì l'enorme forza catalizzatrice che lo sport poteva avere, e quanto una squadra come quella di rugby, quasi del tutto bianca, potesse fungere da strumento di riconciliazione nazionale dei neri con i bianchi per sancire definitivamente un nuovo inizio nella realtà del suo Stato. Dapprima le difficoltà furono inevitabili e, apparentemente, insormontabili, ma la tenacia e la lungimiranza di Mandela ebbero la meglio, riuscendo a far stringere tutto il paese attorno agli Springboks, la cui micidiale progressione li condusse fino alla finale contro la Nuova Zelanda del temibile Jonah Lomu... Eastwood dipinge Mandela per ciò che è stato: un grande politico che, dopo ventisette anni di prigionia in una cella di poco più di un metro quadro, fu capace, alla sua uscita, di perdonare i suoi aguzzini e di far uscire il Sudafrica da una condizione di terribile apartheid. L'intento celebrativo è sviluppato concentrandosi sulle vicende della squadra di rugby, espediente sapiente perchè permette di parlare pienamente dell'ex presidente sudafricano senza rischiare di appesantire la vicenda con toni agiografici. La forza simbolica e nazional-popolare dello sport è messa in rilievo senza assolutamente esagerare le sue possibilità: anche De Gasperi, nel 1948, dopo l'attentato a Togliatti, con il paese sull'orlo della guerra civile, telefonò a Gino Bartali per incoraggiarlo a vincere il Tour de France in modo da catalizzare su di sè le attenzioni dell'opinione pubblica, ormai è storia. Al giorno d'oggi, dopo Mandela, l'ANC, il suo partito, non ha saputo raccogliere il testimone e, pur riuscendo a mantenere un equilibrio razziale ancora non pienamente stabilizzato, si è allontanato dagli insegnamenti del vecchio leader riscoprendo la strada della classista ortodossia del neoliberismo. Ciononostante, il suo messaggio non ha mai perso di vigore e di tenacia (qualificandosi veramente come “invictus”, non spezzato e non spezzabile), ed è un bene, per la nostra memoria, che ci sia oggi chi desideri ricordarlo con pellicole come queste, di sicuro valore. Morgan Freeman, nel ruolo di Madiba, ci offre una buonissima interpretazione, e la sua somiglianza fisica con l'ex presidente è notevole, senza nemmeno, apparentemente, ricorrere ad un eccessivo lavoro da parte dei truccatori. Clint Eastwood, con Invictus, pur non regalandoci un capolavoro, ci offre un lavoro di considerevole fattura, confermandosi, una volta di più, come uno dei più importanti registi dell'epoca attuale.
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