Il tempo che ci rimane |
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Un film di Elia Suleiman.
Con Elia Suleiman, Saleh Bakri, Samar Qudha Tanus, Shafika Bajjali.
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Titolo originale The Time That Remains.
Drammatico,
durata 105 min.
- Gran Bretagna, Italia, Belgio, Francia 2009.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 4 giugno 2010.
MYMONETRO
Il tempo che ci rimane
valutazione media:
3,32
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Impegnativo, ma notevoledi brian77Feedback: 9251 | altri commenti e recensioni di brian77 |
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giovedì 12 agosto 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
E' un film straordinario, che ci racconta la tragedia dei palestinesi con i modi di una comica raggelata. Sconcerta buona parte del pubblico, perché non usa il tradizionale coinvolgimento narrativo in una vicenda, con personaggi, racconto naturalistico eccetera. E' invece raccontato per vignette caustiche, per gag apparentemente farsesche dove però non c'è niente da ridere, perché la materia è tragica. C'è l'umorismo, ma amaro. Soprattutto, è un film totalmente cinematografico, che si esprime tutto attraverso le immagini, i ritmi visivi, i vuoi e i pieni delle immagini. Trovo solo un po' meccanica nella seconda parte l'alternanza tra la realtà sempre più degradata e lo sguardo "keatoniano" dello stesso regista come interprete. E mentre il film procede ripetendo spesso situazioni analoghe, ma con tempi sempre un po' diversi, ci interroghiamo: sul modo in cui ci abituiamo alla sopraffazione e all'orrore, sullo scorrere della vita nell'ingiustizia, sul degrado sempre maggiore in cui viviamo, sul brutto da cui siamo sempre più circondati. Alla fine siamo inebetiti, la musica della sala da ballo finisce per accordarsi grottescamente alle frasi del poliziotto israeliano, come in un rap surreale. Peccato che il doppiaggio rovini l'impasto tra immagini e sonoro originale. E' vero: si tratta di un film che non ci fa ridere (che c'è da ridere?) e non ci fa piangere (e lo credo, non vuol essere ricattatorio, patetico, come tanto cinema medio, simil-televisivo, quello che chiamano "di qualità" ma che non ha affatto qualità, è solo retorico). Ma è un film che emoziona, perché trasmette emozioni profonde, quelle del cinema, del trasmettere concetti ed emozioni attraverso gli strumenti particolari del cinema, non facendoci pistolotti. Ad esempio, "Il giardino dei limoni" è un film decoroso ma ovvio, ci dice cose che sappiamo senza spostarci di un centimetro. Questo è di tutt'altro livello, ci interroga sulla Palestina e Israele, ma anche su di noi e sul cinema.
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