Roberto Nepoti
La Repubblica
I cultori dell'horror, l'idea di partenza del primo Final destination piacque parecchio. Si raccontava di un incidente aereo, sventato, che aveva lasciato insoddisfatta la Morte in persona; la quale si prendeva la rivincita, carpendo uno dopo l'altro i giovanissimi scampati alla catastrofe. Quando il meccanismo fu riproposto in una seconda puntata, la mancanza di novità lo rendeva già molto meno interessante. Ora mostra la corda in Final Destination 3, pur diretto non indegnamente dal regista del prototipo, James Wong. Con moderato impegno di fantasia, gli sceneggiatori (uno è lo stesso Wong) immaginano che stavolta il disastro annunciato riguardi un'attrazione del luna park e che, ad avere la premonizione, invece di un ragazzo sia una fanciulla, Wendy. Anche in questo caso, ovviamente, l'appuntamento con "la livella" è solo rinviato: pur messo in guardia da Wendy, il pugno di vittime scampate in prima battuta al viaggio senza ritorno si rende conto che il biglietto di sola andata è ancora valido. Nel tentativo di apportare una variante alla formula, il film immagina che la Morte, per assicurarsi le sue prede, faccia ricorso a una serie d'incidenti domestici, dalla cabina per l'abbronzatura al distributore di benzina; il che, poi, confermate notizie statistiche sulle cause di decesso violento. Nel rappresentarli, il volenteroso Wong sceglie la via più truculenta, onde compensare la carenza d'ingegnosità del tutto. Il risultato sembra un giro in giostra, anche un po' noioso.
Da La Repubblica, 24 marzo 2006
di Roberto Nepoti, 24 marzo 2006