La vita che vorrei |
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Un film di Giuseppe Piccioni.
Con Luigi Lo Cascio, Sandra Ceccarelli, Galatea Ranzi, Fabio Camilli, Roberto Citran.
continua»
Sentimentale,
durata 125 min.
- Italia 2004.
- 01 Distribution
uscita venerdì 1 ottobre 2004.
MYMONETRO
La vita che vorrei
valutazione media:
3,25
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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I sentimenti oggi, non solo nel mondo del cinemadi Salvatore ScagliaFeedback: 2256 | altri commenti e recensioni di Salvatore Scaglia |
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domenica 3 gennaio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ho assistito alla proiezione de "La vita che vorrei", film intenso sull’importanza dei sentimenti, in occasione della rassegna "Cinema Sotto le Stelle" 2005 - nell’ambito delle "Orestiadi" di Gibellina (TP) -, sotto una splendida volta celeste ancora prodiga di astri cadenti. Il titolo è il Leitmotiv dell’opera: c’è chi vorrebbe essere un attrice di successo; chi vorrebbe essere amata veramente; chi vorrebbe riflettere maggiormente su se stesso... Ma il lungometraggio di Piccioni si incentra sulle figure di Laura (Sandra Ceccarelli) e Stefano (il palermitano Luigi Lo Cascio), la cui vicenda si staglia sull’efficace rappresentazione del cinismo del pianeta-cinema, tra agenti amorali, cineasti incapaci, produzioni di convenienza meramente economica ed occulte - quanto sofisticate – regie, volte a favorire, nell’edificio del film, la performance di un attore a detrimento di un altro. Le vite di Laura e Stefano s’intrecciano prima professionalmente e poi sentimentalmente. Lei ha sempre sfruttato personaggi importanti a fini di carriera, ripagandoli con profferte erotiche. Lui s’intrattiene con una ‘carrellata’ di ragazze, di cui poi non ricorda nemmeno i dati più superficiali (come il giorno del compleanno o il segno zodiacale), e che considera quasi come i suoi film, che gira freneticamente, << uno dietro l’altro >>. Circostanza dell’incontro di Laura e Stefano è un dramma in costume, ambientato nell’ ‘800, che dipinge un ‘amore impossibile’ tra Eleonora e Federico: lei mantenuta da un maggiorente dell’epoca e lui sposato, trattenuti - come nelle esistenze reali dei due attori - dall’utilitarismo (di lei) e dalla recitazione di una parte (di lui). Ma, quando Laura e Stefano si innamorano, ecco subentrare in lui la diffidenza sulle sincere intenzioni di lei, perché << la recitazione non ha niente a che vedere coi sentimenti >>. Piccioni costruisce, dunque, un apologo contemporaneo sull’irrinunciabile essenzialità degli affetti, in un mondo - che, più in generale, pare trascendere quello del cinema - contrassegnato dal rampantismo, dall’edonismo e, nel migliore (o meno peggiore ?) dei casi, dall’indifferenza sentimentale. Il film - in cui brillano le citazioni della celebre scena di ballo de "Il Gattopardo" di Luchino Visconti e della colonna sonora di "Platoon" di Oliver Stone, forse a significare la contrapposizione tra lo splendore superficiale (la danza) e l’intima lacerazione della persona (la musica struggente del film bellico) - è invero un crescendo drammatico di tensione narrativa, con un cenno finale alla speranza che per i sentimenti c’è sempre tempo: persino in situazioni-limite, come in presenza di un figlio avuto per caso e di un’acquisita consapevolezza di solitudine quasi irrevocabile.
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