Mi chiamo Sam |
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Un film di Jessie Nelson.
Con Sean Penn, Michelle Pfeiffer, Dianne Wiest, Dakota Fanning.
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Titolo originale I am Sam.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 132 min.
- USA 2001.
MYMONETRO
Mi chiamo Sam
valutazione media:
3,29
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Roberto Nepoti
La Repubblica
Se vi piace andare al cinema per inzuppare il fazzoletto, accomodatevi: Mi chiamo Sam pone una seria candidatura al film più strappalacrime, struggente e colpo-basso del nuovo millennio.Bambini e affido, handicap, abbandoni coniugali, ma non è tutto. Sam Dawson (Sean Penn), ritardato mentale che lavora in una caffetteria, ha una figlia da una giovane sbandata: lei si dà subito alla macchia e il padre, incasinato ma amorosissimo, cresce come può la piccola Lucy. Finché, sui sette anni, le capacità intellettive della bambina (la interpreta Dakota Fanning, piena di vezzi da sembrare una trentaseienne miniaturizzata) superano quelle di papà. Basandosi sul principio di omogeneizzazione (dove sta l'amore?) la società globale cerca di sottrarre la figlia a Sam, per farla vivere con mamma adottiva (Laura Dern) dal Q.I. alto. Affranto, lui si ribella e trova l'aiuto dell'(inizialmente riluttante)avvocato Rita Harrison (Michelle Pfeiffer). Benché sembri l'esatto opposto del compulsivo garzone di bar, la bella principessa del foro sta peggio di lui: è ossessiva, maniaca della perfezione, bulimica, incapace di conquistarsi l'amore di chi ama. Litigano, imparano a capirsi, lottano insieme in tribunale: e vincono, si capisce. Alla fine Rita gli (ci) dice che è stata lei a guadagnare di più dal rapporto. Nei primi minuti del film, un uso nervoso della cinepresa tenta di rendere il senso d'instabilità del protagonista; poi Jessie Nelson se ne scorda e si concentra sul suo programma ricattatorio. Con che diritto si potrebbero criticare intenzioni tanto buone - se non oneste - edificanti - se non sincere - condivisibili da chiunque non sia nemico del bene, della giustizia e dell'amore? Non saremo certo noi a dire che, a far piangere così, ci vuole poco; o che, quanto più gli occhi ti diventano lucidi, tanto più ti arrabbi con chi ti sta estorcendo emozioni a comando. Né saremo noi a sostenere - quando mai? - che Sean Penn abbia scelto consapevolmente, in vista degli Oscar (cui, guardacaso, è candidato), il tipo di parte da minorato sublime a cui i distributori di statuette pare non sappiano resistere.
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