La voce della luna

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l'occhio del maestro è chiuso Valutazione 3 stelle su cinque

di sergio pensato


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mercoledì 2 gennaio 2008

Fellini è "autore". Una tale padronanza trascende l'oggettualità del prodotto finito, per collocarlo con ciascuna altra opera nel contesto dell'intero itinerario artistico ed esistenziale. Però "La voce della Luna" è un film non riuscito, o forse non compiuto. Ci sarebbe voluto coraggio a dirlo mentre Fellini era in vita, ed ancora i critici più popolari riparano nel conformismo, consolandosi di non tradire il maestro. Certamente è relativa la definizione di opera minore, benché vera: Huston lascia il memorabile "I, J.H., the dead" e poi gira poche altre pellicole con disimpegno; Kurosawa chiude il suo testamento morale all'ultima tappa, con la dignitosa compostezza di "Madadayo", fermando la macchina e restringendo la scena, dopo aver animato coreografie di massa apocalittiche per le precedenti tragedie a cielo aperto. Quel che manca nelle opere ultime di Fellini è la carica vitale, barbara ed istrionica che lo ha spinto per decenni oltre le frontiere del cinema di corrente, scommettendo su una estetica nuova e trionfando senza compromessi. I capolavori felliniani sono concepiti nel più intimo e angusto retroterra di provincia per espandersi - miracolosamente - su valori universali. Già in "Satyricon" avvertiamo il gusto del frutto maturo da sfiorare il disfacimento, e il riepilogo di una tale presenza nel Cinema sta tutta in "Amarcord". Reprimiamo un moto di delusione nelle circostanze in cui Fellini, da allora, ci tocca con intenti alti, complici della sua battaglia contro i mulini a vento ma anche della sua reticenza a farsi da parte. "La voce della Luna" lo tradisce per diverse ragioni. E' piatto malgrado i momenti di bellezza, e manca innanzi tutto sulla strada, tra la folla: è inverosimile, se confrontiamo le riprese diurne di questo film con quelle di via Veneto, i fuochi d'artificio di "Otto e Mezzo", le peripezie di Masina-Gelsomina-Cabiria. Tutti i protagonisti di Fellini compiono un viaggio talmente aggravato di valore simbolico da essere al tempo stesso causa e ragion d'essere di una tempra morale sovrumana in loro. Quest'ultimo viaggio invece è evanescente quanto i personaggi. Così la vicenda si snocciola a tratti meccanicamente; un carillon che s'impenna in momenti di grazia, nei paesaggi notturni pervasi di quiete e straniamento. Fellini ha lavorato precedentemente con fior di scrittori; la sceneggiatura del "Poema dei lunatici" elude il testo lirico, per ridursi letteralmente alle intenzioni del regista. Tarkowsky, poco avezzo al nostro modo di produrre, ammoniva Fellini di tenere eccessivamente al pubblico e non osare più come un tempo; Fellini rende l'impressione di aver voluto questo film per forza, esorcizzando Mastorno. Una pausa gli sarebbe stata utile, ma forse non ci sarebbe stato tempo abbastanza.

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andrea mercoledì 9 gennaio 2008
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Ho notato spesso un atteggiamento critico nei confronti dell'ultimo periodo del maestro, per il quale lo si accusa di autoreferenzialità e di minore inventiva. E' anche vero che va un po' "di moda" considerare i periodi precedenti alla morte degli artisti come minori. Proviamo a contestualizzare l'ultimo Fellini, e ci accorgeremo che il paragone con il primo periodo, quello de "La strada", o con la fase intermedia della sua carriera, non ha ragione d'essere. Non sono forse "Intervista" e "La voce della luna" pellicole in tendenza opposta al cinema di corrente? Il testamento di Fellini è decisamente distante dalle produzioni consuete, forse più che mai, in un decennio deturpato dal consumismo, e la dimostrazione è che a commentarlo su questo forum siamo in quattro. [+]

[+] tictoctac (di sergio pensato)
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andrea mercoledì 9 gennaio 2008
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Che senso ha confrontare "La voce della luna" con "Otto e mezzo", opera metacinematografica consequenziale ad una presunta - ma del tutto smentita - crisi creativa? Se parliamo di autori, dobbiamo adattarci al loro modo di rispondere al mondo, e l'ultimo Fellini è il modo di controbattere ad una situazione di alienazione delle masse nell'era dell'onnipresenza televisiva, che già si era avvertita in modo favolosamente parodico in "Ginger e Fred". Naturalmente, Sergio, rispetto le tue preferenze. Se devo dirti come la penso, "Satyricon", lavoro del regista su commissione, è uno dei peggiori risultati della carriera felliniana. Considero capolavori "I vitelloni", "La strada", "Le notti di Cabiria", "Otto e mezzo", "Roma", "Amarcord", "Intervista", ed, appunto, il suo testamento registico. [+]

[+] tactictoc (di sergio pensato)
[+] umanotroppoumano (di sergio pensato)
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andrea mercoledì 9 gennaio 2008
per serfio pensato (3)
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La prova che questo film sia "barbaro" come le opere precedenti sta nel fatto che non ha avuto successo, proprio perché si proponeva nelle sale a quella stessa società che criticava. Non si può neppure dire che abbia fatto questo film per esorcizzare il viaggio di Mastorna, perché altrimenti lo si dovrebbe affermare anche per tutti gli altri che lo hanno preceduto. Fellini ha fatto questo film perché sentiva di farlo, punto e basta, non ci tocca entrare nella sua testa. Accogliamo a braccia aperte tutto quello che dalla mente di quest'autore è venuto fuori, non spetta a noi discutere sulle sue decisioni artistiche, tra l'altro, come egli stesso ammetteva, libere da consapevolezze. Perché questo film è un capolavoro? Perché ha fatto a pezzi con la parodia politici, clero, e masse alienate, a favore della più grande religione, cioè l'individualità. [+]

[+] amen (di carlo)
[+] per carlo (di nathanael)
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