Easy Rider |
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Un film di Dennis Hopper.
Con Peter Fonda, Jack Nicholson, Karen Black, Dennis Hopper, Luana Anders.
continua»
Titolo originale Easy Rider.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 94 min.
- USA 1969.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 9 settembre 2019.
- VM 14 -
MYMONETRO
Easy Rider
valutazione media:
3,93
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Correndo in sella ad un chopper verso la libertàdi Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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lunedì 16 novembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
EASY RIDER (USA, 1969) diretto da DENNIS HOPPER. Interpretato da PETER FONDA, DENNIS HOPPER, JACK NICHOLSON, PHIL SPECTOR, WARREN FINNERTY, TITA COLORADO, LUKE ASKEW, LUANA ANDERS, SABRINA SCHARF, ROBERT WALKER JR., KAREN BLACK, TONI BASIL, ANTONIO MENDOZA
Wyatt, soprannominato Capitan America, e il compagno Billy, giovani ribelli dai capelli lunghi e dal piglio autonomamente dissidente, cavalcano i loro chopper (le Harley Davidson rese celebri proprio da questo film) viaggiando da Los Angeles a New Orleans, lungo strade desertiche, fermandosi soltanto per dormire la notte. Durante il tragitto vivranno numerose esperienze e incontreranno la gente più disparata: mangiano alla tavola di una numerosa famiglia retta da un solerte contadino, danno un passaggio a un vecchio figlio dei fiori capelluto e occhialuto, assistono alle rappresentazioni orgiastiche di una comunità hippie col pallino della coltivazione agricola e del teatro dell’improvvisazione, finiscono in carcere per aver partecipato a una sfilata comunale senza aver ricevuto alcun permesso. Ed è proprio dietro le sbarre che conoscono il bizzarro e arlecchinesco avvocato George Hanson, il quale condivide con loro le stesse idee innovative e rivoluzionarie. Ma un giorno, passando in un bar, i due motociclisti e il giureconsulto attirano l’attenzione dello sceriffo e delle altre forze dell’ordine costituito, il che costa la vita allo stesso George durante una notte di pestaggi. Per consolarsi della dolorosa perdita, Billy e Wyatt sfogano la propria sofferenza affittando due prostitute e continuando a bere e drogarsi sotto gli alberi al lume della luna, ma anche per loro è in arrivo la morte, sottoforma di un fucile a canne mozze manovrato da un camionista messicano contrario agli hippie. Non solo un’allegra e scanzonata scampagnata per le carreggiate assolate degli Stati Uniti centrali, ma anche un’opera che sintetizza, più che in una semplice simbologia autoreferenziale, l’ideale di una sottocultura che, a suo tempo, ha avuto le carte in regola per agire perfino da controcultura: il desiderio assoluto di libertà e rottura degli schemi e delle classi sociali hanno trasformato gli hippies di fine anni 1960 in sognatori destinati a non veder mai realizzati i propri sogni, e dunque in manipolatori delle loro stesse anime in funzione di una vita immaginaria fatta di sesso, stupefacenti, viaggi esotici, menefreghismo nei confronti di una società troppo rigida e bigotta. È anche il caso eccentrico di un film diretto da un regista al suo esordio (Hopper), prodotto da uno degli attori protagonisti (Fonda) e scritto in combutta da questi ultimi due, risparmiando senza mai lesinare sui dialoghi in favore di una poesia figurativa che si esprime perfettamente in una meravigliosa fotografia e in un montaggio che rappresenta l’idea geniale di inframmezzare le immagini mostrando a tratti la sequenza successiva per poi tornare sulla precedente e mettere infine a fuoco la scena definitiva in cui ha luogo l’azione. Un trio di interpreti principali incredibilmente affiatato e assai equilibrato nella distribuzione delle battute, non soltanto quelle divertenti e spassose ma anche quelle più riflessive e foriere di significati molto più profondi di quanto l’apparenza e la superficie suggeriscono: l’avvocato maniaco e vizioso di Nicholson nutre ambizioni di rivolta e coltiva la voglia squisitamente onirica di un mondo che si allontani da convenzioni antiquate e riformi completamente una società troppo legata al passato, in compagnia del baffuto Hopper (quasi sempre col fiero cappello sulla chioma fluente) che fa della semplicità la sua secca filosofia di vita e dell’indipendente, orgoglioso viaggiatore di professione di Fonda, con le lunghe basette bionde, caratterizzato da una scarsa loquacità e da un atteggiamento disilluso e rilassato nei confronti dell’esistenza. C’è qualche indugio verso la parte finale, che si traduce più precisamente in una lentezza riflessiva che si appesantisce qua e là di eufemismi religiosi troppo oppressivi. Di grandissimo pregio la colonna sonora, con almeno tre brani scelti a puntino e inseriti fra le musiche con un tempismo a dir poco favoloso: "Born to Be Wild" di Steppenwolf, "If Six Was Nine" della Jimi Hendrix Experience e "Ballad of Easy Rider" di Roger McGuinn. Diventato col tempo un’icona insostituibile e straordinariamente efficace di un’intera epoca e un modo di vivere e pensare a trecentosessanta gradi. Hopper premiato al Festival di Cannes 1969 con un riconoscimento al miglior regista esordiente. Rimane, al di là di ogni possibile interpretazione culturale, sociale o politica, e anche al di là del suo incontestabile valore di controtendenza, un road movie capace di far scuola in un genere che merita nuova linfa vitale ancora al giorno d’oggi, per non perdere lungo il sentiero i superbi connotati tecnici e artistici che può vantare a pieno titolo.
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