C'era una volta il West

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Un film di Sergio Leone. Con Charles Bronson, Henry Fonda, Claudia Cardinale, Jason Robards, Gabriele Ferzetti.
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Western, Ratings: Kids+13, durata 175 min. - Italia 1968. - Cineteca di Bologna MYMONETRO C'era una volta il West * * * 1/2 - valutazione media: 3,63 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Stupendo affresco crepuscolare su epoche trascorse Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


Feedback: 70013 | altri commenti e recensioni di GreatSteven
martedì 13 giugno 2017

 C'ERA UNA VOLTA IL WEST (IT/USA, 1968) diretto da SERGIO LEONE. Interpretato da CHARLES BRONSON, HENRY FONDA, CLAUDIA CARDINALE, JASON ROBARDS JR., GABRIELE FERZETTI, PAOLO STOPPA, KEENAN WYNN, JACK ELAM, BENITO STEFANELLI, AL MULOCK, FABIO TESTI, WOODY STRODE, LIONEL STANDER, FRANK WOLFF
Nel 1908 una fonte d’acqua nel deserto degli Stati Uniti meridionali viene presa di mira da persone diverse, ognuno con scopi propri: il perfido capitalista ferroviario Morton, ammalato di tubercolosi ossea, intende costruire una ferrovia che colleghi l’Atlantico al Pacifico, ed è determinato ad ultimarla prima di morire, avvalendosi del sicario a pagamento Frank, che per conto del padrone stermina l’intera famiglia McBain, di origine irlandese; Jill, ex prostituta di un bordello di New Orleans, si sposò un mese prima con Brett McBain e, rimasta vedova, ne eredita la proprietà con tutti i beni mobili e immobili, ma è costretta a venderla ad un’asta per la minaccia della sua definitiva estinzione per l’avanzamento del binario ferroviario (il terreno è stato denominato da McBain stesso Sweet Water, e dista alcune leghe da Flagstone); il bandito Cheyenne, in manette di cui poi si libera, accusato ingiustamente della strage dei McBain, e in realtà intenzionato ad aiutare Jill nella difesa del terreno con la cospicua promessa di denaro sonante in arrivo; l’innominato dall’armonica, strumento che porta sempre seco e che suona sempre quando le parole risultano inutili, deciso ad inseguire Frank, a non farlo ammazzare dai suoi stessi uomini ma solo per poterlo uccidere lui, avendo aperto un conto in sospeso per la morte di suo fratello, opera del malvagio Frank. Alla fine, a spuntarla è il progresso: la ferrovia continua a crescere, gli uomini vi lavorano sotto il sole caldo e senza sosta, ma il duello tra Armonica e Frank si disputerà alla vecchia maniera, ossia pistola contro pistola, senza trucchi, come gli uomini del Far West di una volta. Jill, recuperata la dignità e ripreso possesso della sua esistenza e non più trattata come donna-oggetto, può approvvigionare d’acqua gli operai del binario, in quanto la falda freatica è rimasta sotto il suo possesso. Armonica, osservando la morte del paese in cui aveva sempre vissuto, si allontana a cavallo conducendosi appresso anche quello di Cheyenne, apparentemente illeso ma in realtà ferito a morte, ferito da Morton, cui lo stesso Cheyenne aveva dapprima sparato, che non è riuscito a raggiungere l’acqua ed è morto di sete, ma ha fatto in tempo a corrompere i pistoleri di Frank per poi vederseli massacrare dall’ormai defunto fuggiasco, la cui taglia (5.000 dollari) è stata pagata da Armonica per riscattare la proprietà e salvare Cheyenne dalla reclusione nel carcere di Yuma. Indimenticabile il prologo: tre bounty-killers (fra cui un giovanissimo Fabio Testi, accreditato solo nei titoli di coda) impongono il silenzio al casellante della stazione, attendono in un turbinio sibilante e silenzioso di pale ad eliche l’arrivo di non si sa bene chi, ingannando il tempo bevendo acqua che cade sul cappello o intrappolando una mosca nella canna della pistola, e vedendosi poi comparire, sceso da un treno, il protagonista (che riecheggia l’Uomo Senza Nome interpretato da Clint Eastwood nella precedente "trilogia del dollaro"), che domanda ai tre il perché dell’assenza di Frank e poi li uccide, ricevendo in contraccambio una pallottola nella spalla sinistra. Ma non finisce qui: il debutto di questa quintessenza del western americano girato rigorosamente all’italiana (il che è un’ulteriore prova dell’unicità artistica di Leone) prosegue col calvario della famiglia McBain, il cui padre (Wolff, ricordato sia per questo ruolo che per quello di Gaspare Pisciotta nel Salvatore Giuliano di Rosi) viene assassinato dalla cricca di Frank insieme ai tre figlioletti che preparano il festoso ricevimento per accogliere la di lui nuova sposa… e tutto si chiude col fischio della locomotiva che ottunde lo sparo di Frank, rivolto all’ultimo giovanissimo superstite della dinastia. A proposito di dinastie, quella della tecnologia inarrestabile è il perno implicito e silente cui ruota intorno la trama di un western molto intenso e profondo, il quale, ricorrendo a dialoghi molto rarefatti e facendo dell’essenzialità una regola d’arte, tocca temi altamente significativi, che vengono veicolati dalle ottime interpretazioni dei sei attori principali e dei tanti altri comprimari, tutte pedine di un gioco più grande che tende a far tramontare un’intera epopea e fa sorgere, laddove sembrava che farsi giustizia da sé fosse l’unico sistema di vita, un volto nuovo mai visto prima. Il volto della modernità che cambia anche i regolamenti su cui gli esseri umani, non soltanto maschi (come testimonia l’eccellente prova recitativa di una C. Cardinale allo zenith del suo splendore fisico e artistico), fabbricano la propria esistenza. La falda acquifera immensa è indispensabile per permettere ai treni di viaggiare, e il carburante che consumano si riflette nella fatica che spendono gli operai a costruire, uno dopo l’altro, i binari, forse incuranti o forse consapevoli di cosa accade loro intorno. Da un lato, un’ex donna di facili costumi rimette in ordine il proprio bagagliaio personale, cercando ossessivamente oggetti appartenuti al marito e altri di cui disfarsi per dimenticare il triste passato, potendo contare sull’anomalo e insperato aiuto di due pistoleri, uno dal volto imperscrutabile e con un aerofono labiale pronto a far udire il proprio fischio in veste autentica di biglietto da visita, e l’altro con lunghi capelli e folta barba grigia che si mette a disposizione del gentil sesso per allontanare da sé l’incubo della detenzione e accaparrarsi una ricompensa sottoforma di pecunia; dall’altro, un finanziere spietato la cui pericolosità non è affatto diminuita dalla sua menomazione fisica, ma al contrario gli dà più determinazione nel tentativo esasperato di veder coronato il sogno di una vita, sogno che poi si realizzerà, ma quando lui non potrà vederlo, perché sopraffatto dalla predominanza del suo omicida di fiducia, ormai cresciuto psicologicamente e in grado di abbandonarlo perché ha compreso la sua fretta e sa che, al di fuori del suo treno, è come "una tartaruga senza guscio". Tre grandi star straniere ad impersonare altrettanti caratteri memorabili di uomini senza patria e senza tempo, e tre facce nostrane che danno corpo e voce a personaggi interessanti e più volte sfaccettati, fra cui spicca, malgrado l’esiguità delle scene, il carrettiere capelluto e dallo sguardo stanco di P. Stoppa, a nome Sam, propostosi di fare da mentore a Jill in un ambiente maschilmente dominato in cui lei, dapprincipio, pare non sapersi muovere. Un G. Ferzetti con enormi stampelle e collare sotto il mento che delinea un antagonista assolutamente rivoluzionario anche per il western all’italiana di allora, ma il Frank dell’occhiceruleo H. Fonda (l’unico ruolo di cattivo veramente degno di nota nella sua carriera) gli tiene testa saldamente. Non sono da meno Robards, con uno sguardo continuamente malizioso e una sfilza di scurrilità, abomini e battute sferzanti sulle labbra, e Bronson, il cui sorriso ha un che di inquietante, ma la sua velocità di mano con la pistola e le motivazioni che lo spingono a raggiungere uno scopo tanto a lungo sviscerato non lasciano dubbi sul lavorio di fondo dietro al personaggio, senza dubbio intenso e con un’ottima preparazione. Film sulla morte del West, ma anche sul crepuscolo di un’era storica, in cui non serve più l’autodifesa, perché tutto è programmato secondo i dettami di una società più che mai organizzata. Lo testimoniano le figure di contorno che ad essa si sono ormai asserviti, primo fra tutti lo sceriffo che è costretto a chiudere l’asta con un prezzo miserrimo per la proprietà di Sweet Water, salvo poi riscattarsi con un’offerta ragionevole, detta dallo stesso Armonica. Le musiche di Ennio Morricone fanno sognare, e il delirio onirico è figurativamente rappresentato nei paesaggi sterminati che Leone ebbe, per la prima volta, occasione di filmare dal vero, in quanto questa pellicola vantò, come partenza, un budget nettamente superiore ai western precedenti del regista romano, e pertanto egli poté contare su un cast artistico e tecnico molto più ben nutrito e che, a conti fatti e senza possibilità di mancamenti, ha tratto risultati a dir poco magnifici. Un’opera che non invecchierà mai, che lascerà nei cuori di tutti i nostri compaesani l’orgoglio di appartenere all’Italia, che terrà alta la nomea del cinema nostrano su suolo estero e che inciderà come una pietra miliare il solco di un’identità ormai perduta che ritrova sé stessa in un’evoluzione che abbraccia ciò che è innovato lasciando al contempo dietro di sé una forte nostalgia. Opportuno e non alienabile è il progresso, ma rimembrare nel sogno è altrettanto meraviglioso. 

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