avicenna
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sabato 26 maggio 2007
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la riflessione dell'uomo
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Persona è sicuramente uno tra i film più complessi e più belli realizzati da bergman.il film narra la storia di un'attrice,in crisi di identità,che sdoppia la propria personalità e confronta il suo lato freddo,logico,ambizioso,con il suo lato dolce,puro e indifeso;da questo confronto l'attrice ne uscirà sicuramente più consapevole,ma forse non con la totale identificazione di se stessa.I temi da trattare sono tanti:1)bergman ci avverte,sia all'inizio che alla fine,che si tratta di un film,sicuramente un espediente artistico per sottolineare lo sperimentalismo del film e degli argomenti trattati.2)non è un caso che la protagonista del film sia un'attrice:infatti bergman riprende il tema della maschera gia affrontato in alcuni film precedenti,lo riprende per spiegare in senso pirandelliano l'abitudine dell'uomo di presentare una maschera al cospetto delle persone vicine per proteggersi dalla diffidenza e dalla paura,l'uomo però così facendo nasconde la propria purezza dello spirito che nella sua spontaneità rappresenta,secondo bergman,l'unica componente capace di salvare l'uomo.
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Persona è sicuramente uno tra i film più complessi e più belli realizzati da bergman.il film narra la storia di un'attrice,in crisi di identità,che sdoppia la propria personalità e confronta il suo lato freddo,logico,ambizioso,con il suo lato dolce,puro e indifeso;da questo confronto l'attrice ne uscirà sicuramente più consapevole,ma forse non con la totale identificazione di se stessa.I temi da trattare sono tanti:1)bergman ci avverte,sia all'inizio che alla fine,che si tratta di un film,sicuramente un espediente artistico per sottolineare lo sperimentalismo del film e degli argomenti trattati.2)non è un caso che la protagonista del film sia un'attrice:infatti bergman riprende il tema della maschera gia affrontato in alcuni film precedenti,lo riprende per spiegare in senso pirandelliano l'abitudine dell'uomo di presentare una maschera al cospetto delle persone vicine per proteggersi dalla diffidenza e dalla paura,l'uomo però così facendo nasconde la propria purezza dello spirito che nella sua spontaneità rappresenta,secondo bergman,l'unica componente capace di salvare l'uomo.3)bergman affronta temi puramente femminili quali l'aborto,il rapporto madre-figlio,e contesta la freddezza di una madre che arriva persino ad odiare il proprio figlio,perchè specchiandosi nell'amore provato verso di lei da quest'ultimo,rivede l'orrore della propria persona.4)il tema religioso presentato in modo particolare nella scena del bambino che tende la mano verso un viso(Dio?) che desidera ardentemente.Questo film stilisticamente impeccabile,con una fotografia incredibile,caratterizzata da chiaroscuri straordinari è sicuramente uno dei capolavori di bergman che ha influenzato moltissimi registi contemporanei e che ne influenzerà ancora molti in futuro.
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paolo bisi
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lunedì 14 novembre 2011
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l'analisi del proprio io
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Alma, giovane infermiera non ancora troppo sicura delle proprie capacità, riceve l'incarico di curare un'attrice diventata muta, preda irrecuperabile della sua terribile insicurezza. Giunto al suo 23° film, Ingmar Bergman si tuffa verso un cinema sperimentale, verso orizzonti non ancora esplorati, dimostrando ancora una volta tutto il suo grandissimo talento. La vera forza del film risiede principalmente nella totale aridità della scenografia e soprattutto dei personaggi: i pochi mezzi utilizzati sono quelli che bastano per compiere un viaggio attento e delicato all'interno non solo della mente della protagonista, ma specialmente della propria, affrontando temi sempre presenti in Bergman (la paura della vita e della morte, la procreazione, la fragilità umana, l'angoscia).
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Alma, giovane infermiera non ancora troppo sicura delle proprie capacità, riceve l'incarico di curare un'attrice diventata muta, preda irrecuperabile della sua terribile insicurezza. Giunto al suo 23° film, Ingmar Bergman si tuffa verso un cinema sperimentale, verso orizzonti non ancora esplorati, dimostrando ancora una volta tutto il suo grandissimo talento. La vera forza del film risiede principalmente nella totale aridità della scenografia e soprattutto dei personaggi: i pochi mezzi utilizzati sono quelli che bastano per compiere un viaggio attento e delicato all'interno non solo della mente della protagonista, ma specialmente della propria, affrontando temi sempre presenti in Bergman (la paura della vita e della morte, la procreazione, la fragilità umana, l'angoscia). Il geniale e quanto mai innovativo uso della cinepresa accentua la situazione di incertezza e drammaticità che caratterizza tutta l'opera: i continui primi piani e gli stacchi frequenti sono diventati oggetto di studio per i cineasti di tutto il mondo. Come sempre in questi casi, il totale insuccesso di pubblico è un grande merito. Una tappa fondamentale nell'itinerario di Bergman e della storia del cinema. Assolutamente da vedere.
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salvo
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giovedì 8 marzo 2012
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persona tragica forte vulpes viderat.
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Il film è la storia, volutamente scarna ed essenziale, dei rapporti che due donne sono costrette a vivere quando una di loro subisce un attacco di afasia e l'altra le viene affiancata per fornirle assistenza paramedica e compagnia, durante la convalescenza.
La prima delle due è un'attrice, affermata e famosa, che nel corso della rappresentazione di un dramma - si tratta della Elettra di Sofocle - viene colpita in scena, sul palcoscenico del teatro dove recita, da uno strano malore: le manca d'improvviso la parola.
L'altra è una giovane infermiera venticinquenne che, nella prima scena “regolare” del film, è convocata nello studio della direttrice della clinica che le affida il compito di seguire ed assistere l'attrice "malata".
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Il film è la storia, volutamente scarna ed essenziale, dei rapporti che due donne sono costrette a vivere quando una di loro subisce un attacco di afasia e l'altra le viene affiancata per fornirle assistenza paramedica e compagnia, durante la convalescenza.
La prima delle due è un'attrice, affermata e famosa, che nel corso della rappresentazione di un dramma - si tratta della Elettra di Sofocle - viene colpita in scena, sul palcoscenico del teatro dove recita, da uno strano malore: le manca d'improvviso la parola.
L'altra è una giovane infermiera venticinquenne che, nella prima scena “regolare” del film, è convocata nello studio della direttrice della clinica che le affida il compito di seguire ed assistere l'attrice "malata".
In un gioco di identità portato alle estreme conseguenze, le due donne si avvicinano fisicamente, al punto da compenetrarsi, fino quasi a fondersi.
Non si è parlato a caso, in precedenza, di una ...prima scena regolare del film.
Perchè, in effetti, il film si inizia in modo, diciamo così ...irregolare.
Principia, infatti, con un lungo prologo, della durata di 6 minuti.
Con esso il Maestro intende ammonirci che stiamo per assistere ad una messinscena, ad una illusione, ad una finzione cinematografica, appunto.
Dalla sua uscita il film fu recepito come altamente sperimentale nelle tecniche cinematografiche che Bergman utilizzò per trasmettere il senso di incomunicabilità tipico della sua poetica.
Sperimentale nello studio della luce e della fotografia, diretta magistralmente da Sven Nyquist e sperimentale per la tecnica di montaggio, nuovo e rivoluzionario, di Ulla Righe.
Effettivamente è riscontrabile nell'analisi della cinematografia di Bergman quanto “Persona” rappresenti un'altra nuova soluzione al problema della rappresentazione dei drammi interiori umani e sociali, nel caso specifico una soluzione asettica, fredda, talvolta allucinata e comunque inedita all'interno del panorama artistico del cineasta svedese.
Si può che il Bergman di “Persona” incontra lo Strindberg de “La più forte”, al "punto da rilevare facilmente come Il film di Bergman (successivo) abbia molti punti in comune con il dramma borghese di Strindberg.
E si può anche aggiungere che il problema della "incomunicabilità" e del "silenzio" di Strindberg incrocino la loro strada con le corrispettive problematiche elaborate nel cinema di Bergman.
Il film è la ricerca delle caratteristiche che legano una coppia di donne, di cui una è silenziosa e la seconda è alla continua ricerca della verità nell'altra.
“Persona” è una pellicola, molto sottile e complessa, oltre che su quelli già accennati, anche sul tema dell'identità di genere e sui ruoli che sono assegnati alla donna dalla società.
Non è dertamente una coincidenza che una delle due donne sia un attrice, colta in un eterno attimo di smarrimento proprio mentre interpreta il ruolo di Elettra.
C'è però qualcosa di più profondo, un sottotesto impalpabile e inafferrabile, una sorta di enciclopedia di poche parole sul significato di genere dell'essere donna.
Quella che la donna silenziosa e la donna preda di una specie di impeto moralizzatore sembrano suggerire sono gli estremi di un pendolo.
Da una parte la rinuncia di sé in favore di un ruolo che può dare una facile felicità domestica; dall'altra il vuoto della ribellione alla maschera, che può dare la libertà del volo ma anche il precipizio di una caduta rovinosa.
Due estremi che però sono intercambiabili, che sembrano opposti solo perché speculari.
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wearenot
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lunedì 16 febbraio 2015
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la frattura fra l'essere e ciò che sembra essere
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Più che un film un tormentato diario psichico dell'animo umano.
La grande forza sta nei dialoghi, a tratti rarefatti ma potenti e in un bianco e nero gelido, intenso, pieno di contrasti fra luce e ombra. Un'ombra pesante, sempre presente sulle due protagoniste, nel loro progressivo fondersi, fino al permeare dell'una nell'altra. Infine le indicibili rivelazioni che latono nell'animo umano e che affiorano implacabili.
Lo spettatore ne è inerme e soggiogato.
Un capolavoro senza tempo che dal petto, dal suo interno si fa strada per uscire allo scoperto.
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great steven
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sabato 5 marzo 2016
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5 personaggi, dialoghi rarefatti e molta intensità
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PERSONA (SVEZIA, 1966) diretto da INGMAR BERGMAN. Interpretato da BIBI ANDERSSON, LIV ULLMAN, MARGARETHA KROOK, GUNNAR BJORNSTRAND, JORGEN LINDSTROM
Alla giovane infermiera Alma viene affidata la cura dell’attrice Elisabeth Vögler, rinchiusasi in un mutismo persistente dopo un evento traumatico accadutole su un palcoscenico teatrale. L’incarico le viene dato dalla dottoressa che le funge da datrice di lavoro, che fin da subito si mostra fiduciosa nelle capacità della ragazza. Alma effettua la terapia su Elisabeth inizialmente all’interno della clinica dove esercita il suo capo, la dottoressa summenzionata, dopodiché, quando quest’ultima le mette a disposizione la sua ampia e sfarzosa villa sul mare, le due donne si trasferiscono là.
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PERSONA (SVEZIA, 1966) diretto da INGMAR BERGMAN. Interpretato da BIBI ANDERSSON, LIV ULLMAN, MARGARETHA KROOK, GUNNAR BJORNSTRAND, JORGEN LINDSTROM
Alla giovane infermiera Alma viene affidata la cura dell’attrice Elisabeth Vögler, rinchiusasi in un mutismo persistente dopo un evento traumatico accadutole su un palcoscenico teatrale. L’incarico le viene dato dalla dottoressa che le funge da datrice di lavoro, che fin da subito si mostra fiduciosa nelle capacità della ragazza. Alma effettua la terapia su Elisabeth inizialmente all’interno della clinica dove esercita il suo capo, la dottoressa summenzionata, dopodiché, quando quest’ultima le mette a disposizione la sua ampia e sfarzosa villa sul mare, le due donne si trasferiscono là. Ma il loro rapporto, dapprincipio di reciproca intesa e poggiato su basi solidamente tranquille, ben presto comincia ad incrinarsi, e la sua degenerazione sfocerà in un bisogno inderogabile e irresistibile che l’una avrà dell’altra, dal momento che anche la stessa Alma, come già successo alla sua paziente, avrà allucinazioni punitive e flashback rivelanti sul suo passato e sul suo futuro. Non è un film facile da recensire, e meno ancora da comprendere. La chiave di lettura più facile dalla quale si può giudicarlo è naturalmente l’interpretazione psicologica, ma da un punto di vista narrativo questo film, a torto considerato come un’opera minore del maestro I. Bergman (1918-2007), ha molto da comunicare soprattutto ad uno spettatore attento e avido di significati fondamentali da cogliere. Nella fattispecie, Persona scava con voracità nel profondo della mente femminile, mettendo a nudo le insicurezze, i timori, le debolezze e le paure che una relazione amichevole, ma comunque tribolata, fra due donne, accentua col passare del tempo, portando entrambe a scoprire letteralmente le carte e a giocarsi il tutto per tutto pur di sopravvivere. E solo individualmente, perché i sentimenti positivi che sussistono quando la relazione comincia, in seguito si perdono nel vortice delle visioni, delle ossessioni e dei tormenti che queste due vittime – perché in fondo di questo si tratta, non certo di eroine né tantomeno di inette – sperimentano nei propri vissuti e sulla propria pelle, senza poter contare sul sostegno dell’interlocutrice, per quanto un principio di affetto e, chissà, forse pure di amore, faccia la sua comparsa in un esordio che, almeno ad un osservatore distratto, fa ben sperare. Il film assume dunque una prospettiva del tutto pessimistica non tanto per quel che concerne la cura delle malattie mentali, quanto piuttosto per la vittoria spiazzante e devastante dell’egoismo sull’altruismo, vittoria alimentata paradossalmente da tutte le piccole sconfitte personali (amorose e cameratesche, specialmente) che decretano, nell’esistenza delle due donne, l’insorgere di smaniosi desideri illusori, i quali le conducono a credere che tutto potrà andar meglio. Ma, ribadisco, è soltanto illusione. O anche proiezione, giacché l’opera è introdotta da frammenti di pensieri sconnessi e con questi ultimi si conclude anche. Inutile stare a snocciolare frasi prese a prestito da psichiatri famosi o anche ricercare, nella sinossi della pellicola, qualche aggancio con gli studi eseguiti su tale disciplina da un esperto in materia: Bergman ha il grandissimo pregio, in questo frangente, di schermirsi dai rigidi dettami della scienza, e degli uomini che per essa lavorano, perseguendo un percorso autorale di tutto rispetto che trova la sua forza espressiva nel dialogo e, parimenti, nella mancanza dello stesso, visto che una delle due protagoniste si limita a ridere e mugugnare. Incredibili le due interpretazioni principali, giocate ambedue sul filo del rasoio e condotte con una perizia recitativa da far venire i brividi: B. Andersson, già pupilla affermata e attrice prediletta dal regista, incarna l’infermiera sentimentalmente in burrasca con un piglio magnifico e una misurata, ma pur sempre efficace, angoscia esistenziale; al suo fianco, L. Ullmann (svantaggiata drasticamente rispetto alla collega per via della recitazione muta) sopperisce all’assenza dell’eloquio con espressioni fortemente indicative e una mimica gestuale che l’avrebbe resa ideale ed adattissima ai tempi del muto. Bergman ci mette la farina del suo sacco nella gestione sapiente e attenta dei contributi tecnici, facendo leva su una meravigliosa fotografia in bianco e nero e supervisionando una sceneggiatura laconica che punta in modo notevole sulla carenza di parole per rivolgere l’attenzione del pubblico sulle immagini, le quali, in confronto alla favella intesa proprio in senso lato e relativamente al film, affermano con preponderanza la loro superiorità. Bravissimo anche G. Björnstrand, l’attore che nove anni prima aveva brillato nel ruolo del figlio di Isak Borg nell’insuperabile Il posto delle fragole, sempre diretto da Bergman. Anche lui, come la Andersson, godeva grandemente delle simpatie personali di un cineasta che sicuramente, a livello nazionale (svedese), fu il maggiore della sua epoca, lungamente insuperato e di professionalità indiscutibile; e, a livello internazionale, capace di lasciare un patrimonio cinematografico da apprezzare per aver snocciolato in tutte le salse le torture, i tradimenti, le occasioni perdute, le sofferenze e i travagli a cui il cervello umano va incontro nelle vite più combattute e, per questo motivo, più interessanti.
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tunaboy
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martedì 29 giugno 2021
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analisi persona
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Che cosa accadrebbe se potessimo incontrare una diversa versione di noi stessi, una nel quale le decisioni da noi prese sono totalmente diverse?
Questa è la domanda che riecheggia per tutta la durata di “Persona”, capolavoro del maestro del cinema svedese Ingmar Bergman.
Per i suoi brevi 80 minuti, “Persona” ci porta in un allegorico e filosofico viaggio all’interno della mente di una donna letteralmente e metaforicamente lacerata in due parti dal rimorso e dai sensi di colpa: più che vedere la donna in sé, infatti, troviamo due protagoniste, Alma ed Elisabet, entrambe portavoce delle conseguenze della decisione che dovrà compiere la nostra “meta-protagonista”, ovvero quella di abortire o tenere un figlio nato da una relazione illegittima.
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Che cosa accadrebbe se potessimo incontrare una diversa versione di noi stessi, una nel quale le decisioni da noi prese sono totalmente diverse?
Questa è la domanda che riecheggia per tutta la durata di “Persona”, capolavoro del maestro del cinema svedese Ingmar Bergman.
Per i suoi brevi 80 minuti, “Persona” ci porta in un allegorico e filosofico viaggio all’interno della mente di una donna letteralmente e metaforicamente lacerata in due parti dal rimorso e dai sensi di colpa: più che vedere la donna in sé, infatti, troviamo due protagoniste, Alma ed Elisabet, entrambe portavoce delle conseguenze della decisione che dovrà compiere la nostra “meta-protagonista”, ovvero quella di abortire o tenere un figlio nato da una relazione illegittima.
Alma rappresenta l’aborto: ci appare molto più vivace e spensierata, ma come da lei stessa ci viene detto, è tormentata da un incessante rimorso. D'altro canto, Elisabet rappresenta la realtà nel quale il bambino è venuto al mondo: nonostante la sua maternità, ad Elisabet risulta impossibile amare il bambino, e così deciderà di alienarsi totalmente dalla realtà, abbandonando la facoltà della parola.
L'azione del film è dovuta dall’interazione tra le due protagoniste: Alma, infatti, proverà a prendersi cura di Elisabet e a restituirle un po’ di vitalità, ma, fallendo, si scaglierà contro la sua controparte con feroce aggressività, dapprima con uno scontro fisico, e poi con uno psicologico, dove la obbligherà a confrontarsi con la sua crudele relazione con il figlio.
Così Bergman conclude il nostro viaggio nella psiche della “meta-protagonista”: attraverso le numerose metafore impiegate nella narrazione, riesce a rendere a pieno il terribile stato di tormento della mente di una donna obbligata a confrontarsi con una così difficile decisione. Dando vita alle due metà della mente riesce, infatti, a far comprendere a pieno lo straziante conflitto generato dai sensi di colpa, creando così una narrazione verosimile e precisa della mente umana. Ed è per questo motivo che considero “Persona” come uno dei più grandi film mai girati.
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margheritaduras
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domenica 23 settembre 2012
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'persona' di ingmar bergman
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'Persona' di Ingmar Bergman (e del ruolo biologicamente imposto alle donne)
Una luce di scena si accende, intermittenze, un personaggio dei cartoni si sveglia e si sciacqua il volto, uno scheletro esce da una bara provocando la fuga di un uomo che si rintana in un letto, viscere esposte, un fallo in erezione, un Cristo riceve i chiodi sulla croce. Simboli e lampi di inconscio. Spiragli che si aprono, balenii. Prima o poi l'inconscio chiama.
Dei vecchi odono cadere una goccia. Si sente trillare un telefono.
Un bambino cerca di dormire senza riuscirci, tira fuori un libro, poi guarda l'immagine della madre enorme, imponente, tanto desiderata quanto irraggiungibile.
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'Persona' di Ingmar Bergman (e del ruolo biologicamente imposto alle donne)
Una luce di scena si accende, intermittenze, un personaggio dei cartoni si sveglia e si sciacqua il volto, uno scheletro esce da una bara provocando la fuga di un uomo che si rintana in un letto, viscere esposte, un fallo in erezione, un Cristo riceve i chiodi sulla croce. Simboli e lampi di inconscio. Spiragli che si aprono, balenii. Prima o poi l'inconscio chiama.
Dei vecchi odono cadere una goccia. Si sente trillare un telefono.
Un bambino cerca di dormire senza riuscirci, tira fuori un libro, poi guarda l'immagine della madre enorme, imponente, tanto desiderata quanto irraggiungibile. Che sia una madre 'scissa' è già chiaro dal doppio volto che si alterna sullo schermo.
Elizabeth smette per sempre di parlare mentre sta recitando l' ''Elettra'. Per tutto il film non proferisce parola. Secondo i medici, però, è sana, psichicamente e fisicamente.
Elizabeth non parla perché ha deciso che non vuole più recitare, in assoluto. Anzi, gli attori e la recitazione le provocano un riso smodato.
Viene dunque affidata a un giovane infermiera, Alma, con cui instaura uno strano rapporto. Sono due donne molto diverse: Elizabeth è una nota artista, sposata, madre ma votata alla carriera, mentre Alma è un'infermiera, non ha grandi ambizioni, ha un fidanzato che sposerà, con cui avrà dei bambini perché "è deciso così", fa parte di lei e non dover più pensare a cosa fare di sé, soprattutto, le dà un senso di pace.
Nel corso di un ritiro 'spirituale' in una casa al mare, Alma confesserà a Elizabeth ciò che non aveva mai confessato ad alcuno (come dire che, nella dualità che caratterizza l'essere umano, quando una delle parti tace, l'altra è obbligata a palesarsi ed è come dire, ancora, che tutti noi abbiamo qualcosa da nascondere). Davanti al tradimento del suo segreto da parte di Elizabeth, però, Alma la aggredisce, cerca di obbligarla a parlare e, finalmente, e ci riesce.
Quale è il ruolo biologico, dunque intrinseco, fondamentale, di ogni donna? L'essere madre.
Qualunque scelta, quella di vivere la maternità o di non viverla, può indurre delle nevrosi.
Una madre DEVE essere amorevole, accudente, innamorarsi 'a prima vista' dell'esserino che partorisce.
Una madre che non corrisponda a queste caratteristiche, è una madre snaturata. Ma è davvero così? Le donne amano davvero così spontaneamente i propri piccoli? Non provano mai sentimenti negativi verso di loro? Accettano davvero senza 'rancori' la fatica, il dolore, il rischio, la deformazione del proprio corpo?
Alma ha abortito, Elizabeth ha assecondato un desiderio contraddittorio di maternità, un desiderio più che altro indotto dalle aspettative sociali, ma dopo essere rimasta incinta ha desiderato ardentemente la morte di suo figlio. Non importa che tipo di donna si sia nella vita, non si può sfuggire dal fare i conti con un ruolo che è biologicamente determinato.
Dopo la crisi del loro rapporto, determinata dal 'tradimento' di Elizabeth, le due donne tornano in città. La parte 'Alma' riconosce alla parte 'Elizabeth' che le deve molto, perché molto le ha insegnato, mentre il bambino che lo spettatore ha intravisto solo all'inizio del film continua ad anelare l'amore della madre. La pellicola brucia (il metacinematografico, un film che attacca l'idea stessa della recitazione). Il cerchio si chiude.
Sebbene si tratti di un film sull'idea del peccato che abbiamo dentro di noi, sulle forze dell'inconscio, sul lato oscuro, sul tema del doppio (il regista lascia frequentemente in ombra una delle metà del volto delle protagoniste), non c'è manicheismo nelle idee che veicola. Le due donne, infatti, altro non sono che una donna sola, senza che siano possibili nette separazioni.
'Persona' di Ingmar Bergman (e del ruolo biologicamente imposto alle donne)
Una luce di scena si accende, intermittenze, un personaggio dei cartoni si sveglia e si sciacqua il volto, uno scheletro esce da una bara provocando la fuga di un uomo che si rintana in un letto, viscere esposte, un fallo in erezione, un Cristo riceve i chiodi sulla croce. Simboli e lampi di inconscio. Spiragli che si aprono, balenii. Prima o poi l'inconscio chiama.
Dei vecchi odono cadere una goccia. Si sente trillare un telefono.
Un bambino cerca di dormire senza riuscirci, tira fuori un libro, poi guarda l'immagine della madre enorme, imponente, tanto desiderata quanto irraggiungibile. Che sia una madre 'scissa' è già chiaro dal doppio volto che si alterna sullo schermo.
Elizabeth smette per sempre di parlare mentre sta recitando l' ''Elettra'. Per tutto il film non proferisce parola. Secondo i medici, però, è sana, psichicamente e fisicamente.
Elizabeth non parla perché ha deciso che non vuole più recitare, in assoluto. Anzi, gli attori e la recitazione le provocano un riso smodato.
Viene dunque affidata a un giovane infermiera, Alma, con cui instaura uno strano rapporto. Sono due donne molto diverse: Elizabeth è una nota artista, sposata, madre ma votata alla carriera, mentre Alma è un'infermiera, non ha grandi ambizioni, ha un fidanzato che sposerà, con cui avrà dei bambini perché "è deciso così", fa parte di lei e non dover più pensare a cosa fare di sé, soprattutto, le dà un senso di pace.
Nel corso di un ritiro spirituale in una casa al mare, Alma confesserà a Elizabeth ciò che non aveva mai confessato ad alcuno (come dire che, nella dualità che caratterizza l'essere umano, quando una delle parti tace, l'altra è obbligata a palesarsi ed è come dire, ancora, che tutti noi abbiamo qualcosa da nascondere). Davanti al tradimento del suo segreto da parte di Elizabeth, però, Alma la aggredisce, cerca di obbligarla a parlare e, finalmente, e ci riesce.
Quale è il ruolo biologico, dunque intrinseco, fondamentale, di ogni donna? L'essere madre.
Qualunque scelta, quella di vivere la maternità o di non viverla, può indurre delle nevrosi.
Una madre DEVE essere amorevole, accudente, innamorarsi 'a prima vista' dell'esserino che partorisce.
Una madre che non corrisponda a queste caratteristiche, è una madre snaturata. Ma è davvero così? Le donne amano davvero così spontaneamente i propri piccoli? Non provano mai sentimenti negativi verso di loro? Accettano davvero senza 'rancori' la fatica, il dolore, il rischio, la deformazione del proprio corpo?
Alma ha abortito, Elizabeth ha assecondato un desiderio contraddittorio di maternità, un desiderio più che altro indotto dalle aspettative sociali, ma dopo essere rimasta incinta ha desiderato ardentemente la morte di suo figlio. Non importa che tipo di donna si sia nella vita, non si può evitare di fare i conti con un ruolo che è biologicamente determinato.
Dopo la crisi del loro rapporto, dovuta al 'tradimento' di Elizabeth, le due donne tornano in città. La parte 'Alma' riconosce alla parte 'Elizabeth' che le deve molto, perché molto le ha insegnato, mentre il bambino che lo spettatore ha intravisto solo all'inizio del film continua ad anelare l'amore della madre. La pellicola brucia (il metacinematografico, un film che attacca l'idea stessa della recitazione). Il cerchio si chiude.
Sebbene si tratti di un film sull'idea del peccato che abbiamo dentro di noi, sulle forze dell'inconscio, sul lato oscuro, sul tema del doppio (il regista lascia frequentemente in ombra una delle metà del volto delle protagoniste), non c'è manicheismo nelle idee che veicola. Le due donne, infatti, altro non sono che una donna sola, senza che siano possibili nette separazioni.
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marilena
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domenica 14 settembre 2014
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la maschera
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Questo film di Bergmar non mi è piaciuto molto, soprattutto nelle scene iniziali che mi sono apparse cervellotiche, esageratamente false.Certo è un bel film, ma non è all'altezza di altri: non c'è lo sguardo che chiede misericordia. Bellissima mi è parsa la scena in cui l'infermiera sembra strappare la maschera dal volto dell'attrice.Nel complesso è un film interessante, non noioso, ma non mi sembra adeguato alla grandezza del regista.
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noia1
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lunedì 23 febbraio 2015
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nelle viscere dell'animo umano
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Un’ infermiera alle prese con un’attrice che di punto in bianco ha deciso di non parlare più.
Ingmar Bergman non è un regista fenomenale a caso, la maestria nello sviluppo della trama – qualsiasi sia – è solo per pochi dotati fortunati, non un errore in nessuno dei parametri considerabili; a ciò aggiungiamo esplosioni improvvise impressionanti, malgrado la datazione, spesso disturbanti anche per il pubblico di oggi, con incredibile maestria nel dosare il ritmo ed incanalarlo; ma ciò che veramente colpisce sta nella classe, negli azzardi che si concede, non siamo al cospetto di semplici capolavori ma di vere e proprie pietre miliari di quanto il cinema sia ampio ed interpretabile. Movimenti di telecamera incomprensibili, non esagerati come si potrebbe immaginare, si parla di dettagli perché è la classe una delle doti fondamentali che contraddistinguono i grandissimi; l’asimmetria come soluzione più immediata ai problemi di rappresentazione dei disagianti dubbi riguardo sé stessi.
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Un’ infermiera alle prese con un’attrice che di punto in bianco ha deciso di non parlare più.
Ingmar Bergman non è un regista fenomenale a caso, la maestria nello sviluppo della trama – qualsiasi sia – è solo per pochi dotati fortunati, non un errore in nessuno dei parametri considerabili; a ciò aggiungiamo esplosioni improvvise impressionanti, malgrado la datazione, spesso disturbanti anche per il pubblico di oggi, con incredibile maestria nel dosare il ritmo ed incanalarlo; ma ciò che veramente colpisce sta nella classe, negli azzardi che si concede, non siamo al cospetto di semplici capolavori ma di vere e proprie pietre miliari di quanto il cinema sia ampio ed interpretabile. Movimenti di telecamera incomprensibili, non esagerati come si potrebbe immaginare, si parla di dettagli perché è la classe una delle doti fondamentali che contraddistinguono i grandissimi; l’asimmetria come soluzione più immediata ai problemi di rappresentazione dei disagianti dubbi riguardo sé stessi.
Due facce della stessa medaglia. Una debole, si adatta, impara, accetta senza malizia anche la strana situazione d’isolamento con la paziente muta parlandole, aprendosi. L’altra, meno malleabile, dura di superbia, inflessibile malgrado costretta (anche se per poco) a cedere prima o poi. Eppure la debole infermiera, succube alla propria situazione, si rivelerà quella veramente forte rispetto alla forte attrice che, pur senza cedere, si ritroverà nei propri limiti d’orgoglioso isolamento senza alcuna reazione.
Tanti livelli di valutazione dell’animo umano.
Il silenzio come soluzione ai dubbi esistenziali, nella consapevolezza dell’incomprensibilità di sé stessa, l’attrice s’isola sicura che nessun’azione – a partire dal mutismo – sia comunque più sicura di qualsiasi iniziativa, presupposta l’insondabile ed incomprensibile confusa incertezza dell’io.
Importante è però anche il punto di vista dell’infermiera, per quanto profonde possano essere le motivazioni del mutismo, ciò si scatena dal palese ripulso della paziente alla maternità, una persona orgogliosa ed abituata a non fallire quale l’attrice, ritrovatasi all’inaspettato cospetto del fallimento, consegue il rendersi conto di non potersi conoscere veramente.
C’è l’aspetto sociale anch’esso effimero, la passiva attrice diventa grandissima amica agli occhi ingenui dell’infermiera che ne ignora la malizia, essa è invece molto più sotto l’effetto della paziente di quanto non creda, un’influenza inesorabile, invisibile.
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stefanocapasso
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venerdì 1 dicembre 2017
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la relazione con l'altro come relazione con il se
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Elisabeth è una famosa attrice di teatro ricoverata in una clinica perché preda di un attacco di mutismo. Durante la rappresentazione di Elettra aveva smesso di parlare e da quel momento, da circa tre mesi, non aveva più profferito parola. Dai controlli medici non risulta nessun tipo di patologia e allora la direttrice dell’ospedale decide di assegnare la giovane infermiera Alma alle cure dell’attrice. Propone loro di passare del tempo nella sua casa al mare dove grazie al clima sano spera che qualcosa posa cambiare. Dopo un inizio positivo la relazione tra le due donne comincia a trasformarsi in un crescendo di tensione drammatica.
Grandissimo lavoro di Ingmar Bergman che usa tutto il suo talento in questo film che è capace di trasmettere forti emozioni e induce a grandi riflessioni.
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Elisabeth è una famosa attrice di teatro ricoverata in una clinica perché preda di un attacco di mutismo. Durante la rappresentazione di Elettra aveva smesso di parlare e da quel momento, da circa tre mesi, non aveva più profferito parola. Dai controlli medici non risulta nessun tipo di patologia e allora la direttrice dell’ospedale decide di assegnare la giovane infermiera Alma alle cure dell’attrice. Propone loro di passare del tempo nella sua casa al mare dove grazie al clima sano spera che qualcosa posa cambiare. Dopo un inizio positivo la relazione tra le due donne comincia a trasformarsi in un crescendo di tensione drammatica.
Grandissimo lavoro di Ingmar Bergman che usa tutto il suo talento in questo film che è capace di trasmettere forti emozioni e induce a grandi riflessioni. E’ un film che personalmente sento di comprendere nel profondo accettando incondizionatamente la proposta di una narrazione fisica ed emotiva, quindi lasciando da parte tentativi di comprensione che inevitabilmente rendono molto più complessa la fruizione. Persona è uno dei primi film del cinema moderno che volontariamente cerca di disintegrare le regole della narrazione, gli stereotipi legati ai personaggi e alla forma espressiva. Ogni cosa è messa in discussione a cominciare dall’irruzione della macchina da presa stessa in un momento delle riprese del film. Bergman descrive la relazione, la relazione con l’altro che diventa inevitabilmente la relazione con se stessi. Dalla conoscenza iniziale allo stato di fusione indefinita nasce un conflitto che porta alla separazione e forse alla possibilità di riappropriarsi della propria identità. Il lavoro magnifico delle luci che costantemente individuano una zona chiara ed una scura, specialmente sul volto dei personaggi, ricreando le maschere del clown bianco e del clown nero, sottolinea la doppiezza dell’essere umano e la conseguente impossibilità di darne una definizione
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