Finito il ginnasio, giovane e idealista rampollo di un magnate dell'editoria esprime la vocazione per il noviziato, prontamente osteggiata dallo spregiudicato genitore che cerca di farlo invaghire della sua audace e attraente accompagnatrice. Il dissidio interiore lo porterà ad una irrisolta crisi di cosienza.
Il diavolo indossa... il bikini, verrebbe da dire ammirando la sinuosa e provocante Schiaffino che si aggira sullo yacht del 'commenda' come una ammaliante e languida creatura tentatrice, cecando di sedurre con le sue grazie in bella mostra l'ingenuo promesso novizio di un imberbe Jacques Perrin. Ma il diavolo, o la tentazione, o la corruzione dello spirito è un concetto troppo sfuggente perche sia credibilmente evocato dal ricorso a categorie dicotomiche che ne escludano, con geometrico rigore, l'implicito relativismo etico e psicologico. Il dramma esistenziale di Bolognini sembra perciò attagliarsi (complice una sceneggiatura non priva di un rigido schematismo di fondo e la quasi totale assenza di slanci lirici) sulla netta contrapposizione ideologica tra religiosità e materialismo, moralità e cinismo, sensualità e sentimentalismo, pragmatismo e idealismo, mantenendo tuttavia sia la debolezza espressiva di personaggi che mancano la complessità di una credibile dimensione umana (il prototipo di industriale ingordo che mira solo a tramandare potere e denaro, la bella arrivista che usa il suo corpo come merce di scambio per la scalata sociale, il casto giovinetto animato solo da un vago e astratto ascetismo), sia una fredda dialettica psicologica che sfugge al naturalismo di opere più riuscite ('La notte brava' - 1959) per ridursi ad un ridondante esercizio di stile , tra didascalismo e generica critica sociale (l'incipit con il preside che, alla consegna dei diplomi, prospetta ai suoi allievi maturandi le due correnti dominanti del 'pensiero occidentale' tra 'cattolicesimo borghese' e 'ateismo comunista'). Un film a tesi, si direbbe, che resta imbrigliato in una declamatoria verbosità, riscattato qua e là da una regia attenta, capace di una indiscussa originalità di linguaggio e momenti di migliore riuscita estetica (il baluginante gioco degli specchi che prelude, con pudico ardimento, alla iniziazione sessuale del giovane Raffaele; la crudele trappola con cui il gommone del 'commenda' preclude la fuga a nuoto dell'inquieto e ribelle figlioletto). Bravi comunque gli interpreti di cui si assecondano i peculiari caratteri fisionomici. Alain Cuny magnate dell'editoria dalla maschera severa e inflessibile; Jacques Perrin quale tenero e turbato adolescente cedevole al sensuale richiamo di 'Venere' ( come già ne 'La ragazza con la valigia' di Valerio Zurlini - 1961); La Schiaffino, angelo tentatore dal flessuoso corpo di sirena e il magnetico sguardo ferino.
Finale mesto e disincantato di emblematico simbolismo.
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