Il giorno più lungo

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Un film di Darryl F. Zanuck, Ken Annakin, Bernhard Wicki. Con Robert Mitchum, Rod Steiger, Henry Fonda, Sean Connery, Peter Lawford.
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Titolo originale The Longest Day. Guerra, b/n durata 180 min. - USA 1962. MYMONETRO Il giorno più lungo * * * 1/2 - valutazione media: 3,72 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Lo sbarco in Normandia dalle tre prospettive. Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


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venerdì 31 marzo 2017

 

IL GIORNO PIù LUNGO (USA/UK/GERM, 1962) diretto da ANDREW MARTON, BERNHARD WICKI & KEN ANNAKIN. Interpretato da JOHN WAYNE, ROBERT MITCHUM, HENRY FONDA, ROD STEIGER, ROBERT RYAN, PETER LAWFORD, RICHARD BURTON, SEAN CONNERY, SAL MINEO, JEAN-LOUIS BARRAULT, ARLETTY, MEL FERRER, CURD JüRGENS

Lo sbarco in Normandia, avvenuto il 6 giugno 1944, il giorno più fatidico e pianificato della Seconda Guerra Mondiale sul fronte europeo, raccontato minuziosamente con una sistematica elencazione di ore, reparti militari, ufficiali superiori, luoghi e momenti precisi in cui si articolò l’invasione col più vasto dispiegamento di forze di tutta la storia bellica umana. B. Wicki si occupò delle riprese su suolo tedesco, Annakin di quelle britanniche e Marton di quelle statunitensi. La sera precedente alla venuta dell’esercito anglo-americano dal canale della Manica, tutti i dubbi, le ansie, i progetti e le risoluzioni di soldati semplici, sergenti, tenenti, colonnelli, maggiori e generali dal punto di vista di tutte le armate coinvolte, compresa la prospettiva anche del popolo francese collaborazionista, occupato quattro anni prima dal Terzo Reich (emblematico è qui il pensiero a favore degli Alleati del contadino francese che guarda lo svolgersi della guerra dalla finestra, commentando il nazista in groppa all’asino). La puntigliosità della ricostruzione storica è ammirevole, l’ambientazione raffigura con crudo e potente realismo il clima di spasmodica attesa in cui le sorti del conflitto erano in procinto di rivolgersi, la colonna sonora è incentrata prevalentemente sulla Quinta Sinfonia di Beethoven (le prime note eseguite al principio di ogni attacco) e sulla musica, suonata con la tromba, delle vecchie cavallerie di memoria western, qui riadattate per il conflitto novecentesco meccanizzato. Un cast di attori che non finisce più, una caterva di interpreti stra-famosi e tutti di ottima preparazione recitativa, fra cui è doveroso riconoscere un’immensa bravura ad un ormai collaudatissimo Wayne che veste i panni del generale severo e laconico che rimane ferito ad una caviglia, a Mitchum, col suo colonnello dall’espressione imperscrutabile (marchio di fabbrica dell’attore anche in altri ruoli), ad un trentaduenne S. Connery che interpreta il soldato che muore col piede incastrato nel filo di una mina da lui stesso innescata e ad un asciutto e convincente H. Fonda nelle vesti del generale James Davin, dal piglio gagliardamente persuasivo. La francese Arletty consegna al film una venatura di soffice femminilità dando corpo e voce alla popolana che nasconde i nazisti sulla via della sconfitta nei sotterranei artificiali della campagna normanna. Forse il film che, insieme a Salvate il soldato Ryan (S. Spielberg, 1998), sul tema dell’ultimo conflitto mondiale, ha più valorizzato l’evento che ne fu il decisivo capovolgimento, quell’avvenimento che determinò il sopravvento definitivo e coscienzioso, anche se non del tutto aggressivo, delle forze Alleate sulle potenze dell’Asse, e lo racconta senza esprimere giudizi di sorta, ponendo molte domande anche sul piano tecnico della guerra armata senza la pretesa di risposte e sottolineando – caso raro ma molto lodevole per quei tempi – l’umanità di tutti gli uomini (e donne, perché escluderle?) che fecero sì che uno sbarco in terra straniera stabilisse a chi spettava la vittoria, soprattutto per l’intimo e irreprimibile desiderio di milioni di soldati di rimpatriare dove erano attesi da una felicità raggiante per il loro ritorno. La lunghezza del film, tre ore meno dieci minuti, non pesa, quantomeno allo spettatore che mastica di storia e che già abituato ai peplum che rievocano la Storia nei suoi passaggi più cruciali, e di queste pellicole ne son state prodotte a iosa specialmente nel periodo che segnò la transizione dal cinema americano classico alla crisi della settima arte, in cui dominarono il rifiuto di ogni censura e la voglia di rappresentare il mondo, la vita e i loro attori secondo punti di vista innovativi, magari pure trasgressivi. Un bianco e nero di forte espressività, un montaggio convenzionale e in puro stile classico, ma pur sempre funzionale, ottime riprese aeree che ritraggono con grandiosa veridicità i paesaggi del cielo e del mare e in particolar modo due contributi tecnici, ma al contempo anche artistici, che completano un quadro generale non inappuntabile, ma comunque ben più che discreto: una sceneggiatura che punta sui dialoghi del "dietro le quinte", esaminando i prospetti e le pianificazioni di coloro che comandavano gli eserciti, resa possibile da un copione tutt’altro che magniloquente, e una selezione dei luoghi in cui ambientare le imprese militari che ha un non so che di agreste e contemporaneamente vivifico, nel senso che si prendono ad esempio, e non a pretesto, luoghi campestri, stalle, lavanderie, battigie lacustri, spiagge (e per forza, vista l’operazione Omaha Beach!), quartieri, vie e colline erbose per descrivere scontri che vengono fatti dagli esseri umani in prima linea e in prima persona, riconoscendo dunque l’essenza comune piena ed effettiva tanto dei soldati in senso stretto, quanto dei civili, sia che aiutassero i militari, sia che li contrastassero. Consigliabile per gli studenti delle scuole medie. Un piccolo capolavoro di eccellente artigianato.

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