Totò sceicco

TOTò SCEICCO (IT, 1950) diretto da MARIO MATTOLI. Interpretato da TOTò, TAMARA LEES, AROLDO TIERI, RICCARDO BILLI, LAURA GORE, LAURETTA DE LAURI, CESARE POLACCO, ARNOLDO FOà, MARIO CASTELLANI, UBALDO LAY, CARLO CROCCOLO, RAIMONDO VIANELLO, ALDO GIUFFRé
Il marchesino Gastone è innamorato pazzo della soubrette Lulù, ma i rapporti fra i due vacillano pericolosamente, così il nobiluomo decide di arruolarsi nella Legione Straniera per dimenticare il dolore affettivo. La marchesa sua madre incarica il capo-maggiordomo Antonio Sapone, diligente servitore del summenzionato, di riportare a casa dall’Africa il figlio sano e salvo. Per il reclutamento, Antonio si fa dare le disposizioni dall’autista di famiglia, ma questi sbaglia e, a causa di un banale equivoco (Antonio si reca al Caffè Verdi in via del Porto anziché al Caffè Del Porto in via Verdi), il maggiordomo si ritrova suo malgrado a combattere accanto ai ribelli del Sahara, nemici giurati dei legionari. Giunto nel deserto, come se già i guai non fossero sufficienti, è pure costretto dal colonnello arabo Mohammed e da Fatima, parente dello sceicco che finanzia i rifornimenti d’armi ai ribelli, a calarsi nei panni del figlio dello sceicco per via di una somiglianza con questi. Galvanizzato dalle fittizie promesse di pasti luculliani e notti erotiche, Antonio pensa di sollazzarsi per bene, ma quando reincontra Gastone, fuggito dal fortino dei legionari perché investito del compito di catturare e condurre al proprio quartier generale il figlio dello sceicco, deve insistere nella pantomima coinvolgendo il suo diretto superiore in una farsa che va sempre più degenerando. Scappati dalla fortezza dei ribelli, i due, dopo aver camminato a lungo nel deserto, raggiungono la destinazione concordata da Gastone col suo maggiore, ma ivi viene chiarito l’equivoco: Antonio è il suo maggiordomo, non il figlio dello sceicco, e finalmente viene assunto come guardia legionaria notturna. Ma, durante una ronda, entrambi vengono rapiti da Mohammed e i suoi soldati e condannati a morire con solo la testa fuori dalla sabbia, infilzati dalle lance dei ribelli sahariani. Grazie ad un espediente, però, riescono ad evitare il trapasso e si calano nel sottosuolo dove scoprono la città sepolta di Atlantide, luogo sfarzoso e risplendente di monumenti preziosi. Qui incontrano la stregonesca regina di Atlantide, Antinea, capace di uccidere tutti gli uomini che per forza si innamorano di lei al solo guardarla con un bacio delle sue labbra avvelenate. La donna elegge Antonio a suo concubino, ma egli, per merito di uno sconosciuto impazzito per l’infatuazione nei confronti di Antinea, riesce ancora una volta a trarsi d’impaccio facendo crepare il matto al suo posto, salvando il marchese e sgominando i ribelli sulle tracce sue e di Gastone con l’utilizzo di un provvidenziale marchingegno. Ritornati in Italia, Gastone sposa Lulù e Antonio è felicemente fidanzato con la regina Antinea, di cui non teme più i baci perché «l’ha fatta vaccinare». Soggetto e sceneggiatura degli infallibili Age & Scarpelli, coadiuvati dal regista e Vittorio Metz. Prodotto dalla Manenti Film. Fotografia: Mario Albertelli. Scenografia (un punto a vantaggio dei contributi tecnici della pellicola su cui si è evitato di sdrucciolare): Piero Filippone. Parodia di un film popolarissimo all’epoca, Il figlio dello sceicco (1926), con Rudolph Valentino. Girato fra il settembre e l’ottobre 1950, tocca l’estremità più eccelsa del sodalizio Totò-Mattoli e chiude l’annata cinematografica più intensa per l’attore partenopeo. Una curiosità: il progetto iniziale prevedeva una trama diversa, ossia che il protagonista capitasse in Arabia per trasmettere messaggi segreti con i dati di una pista di lancio per dischi volanti. Quest’idea venne poi rielaborata per una collana a fumetti espressamente dedicata a Totò. Il deserto fu ricreato nella spiaggia di Sabaudia (Latina). Qui Totò riesce a diventare un po’ meno la macchietta di sé stesso e ad inserire qualche novità nella sua recitazione, pur sempre caratterizzata dall’innata vivacità facciale e da un impiego molto personale dei sostantivi italiani, vale a dire una sorta di autoironia che dapprima non gli si era mai notata, accompagnata da un gusto per la spassosità che si valorizza per il suo altruismo, nel senso che il principe De Curtis rimane immancabilmente al centro della scena e la domina con tutto il suo carisma anti-divistico, ma fornisce una buona dose di spazio anche agli attori in parti secondarie, permettendo in particolar modo a Tieri e a Tees (doppiata da Tina Lattanzi) – rispettivamente il blasonato giovanotto tormentato dal mal d’amore e l’algida sovrana di un regno tanto attraente quanto ingannatore – di tirar fuori il meglio di sé. Due sequenze su tutte fanno macchia e strappano risate e applausi a non finire: la tortura del piede che Antonio Sapone emula sull’infiltrato che poi altri non è che il suo datore di lavoro nelle vesti del legionario e il sollevamento sulla carrucola dell’obesa madre di quest’ultimo, fra l’altro ispirato ad un fatto reale accaduto nell’esistenza di Totò e, nella finzione scenica, contraddistinto da un pianto esasperato e ridicolo. Rappresenta in sé e per sé una delle innumerevoli ragioni per cui l’inarrivabile campione della risata restò sempre sottovalutato quand’era in vita e venne invece riabilitato dopo la prematura scomparsa: doti da attore drammatico straordinario prestato alla commedia si riverberano su un individuo umano una volta ogni cento anni.