Io sono un autarchico |
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Un film di Nanni Moretti.
Con Nanni Moretti, Simona Frosi, Fabio Traversa, Beniamino Placido, Paolo Zaccagnini.
continua»
Commedia,
durata 95 min.
- Italia 1976.
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Autarchicamente Nanni:come nacque un autoredi davidestanzioneFeedback: 22976 | altri commenti e recensioni di davidestanzione |
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domenica 11 luglio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Opera prima di Nanni Moretti, divenuta ormai cult. Il rompipalle enfant prodige del cinema italiano anni’ 70, contastamente a spron battuto contro tutti e tutto, al suo esordio dietro la macchina da presa (in un lungometraggio) si avventura in lande registiche a tratti ultrasperimentali a tratti smaccatamente indie, per raccontare le surreali vicende di una semimprovvisata compagnia teatrale d’ispirazione avanguardista guidata dal suo “beckettiano” amico Fabio (Fabio Traversa, feticcioso coprotagonista morettiano d’inizio carriera, lo ritroveremo nel successivo “Ecce bombo”), intellettuale di provincia dalle propulsive ambizioni e costantemente in cerca del plauso della critica, che, al fine di meglio rappresentare la sua controversa opera pionieristicamente tesa verso la follia, trascinerà sé stesso e i suoi amici (compreso l’ultranerdiano cinefilo e rimarcatamente capezzoluto Michele Apicella, alterego di Moretti, abbandonato dalla moglie e con un figlio a carico) in un paradossale road movie “preparatorio” e fisicamente terapeutico, che vira verso la stilizzata, corrosivamente rabbuiata ma anche fumettistico-macchiettistica surrealtà, con personaggi dalle caratterizzazioni provocatoriamente sopra le righe (Moretti anticipa la mimica facciale che in “Palombella rossa” lo porterà ad un repentino e memorabile car-crash), vocalmente “alterate”, tirate al massimo (proprio in termini strettamente riferibili alle “corde vocali”) e riversate in una sorta di avanspettacolo venato di istrionico cabaret similmacabro. A distanza di 34 anni, “Io sono un autarchico” esteticamente accusa il colpo degli archetipi senilizzanti peraltro inevitabili per una pellicola iperindie girata tra mille ristrettezze economiche (dapprima in presa diretta e in Super8, poi riconvertita, ampliata e gonfiata in 16 mm) e con un cast raccattato tra amici e parenti (che non siano monicelliani, né “miei” né “serpenti”, manco a dirlo), ma ad ogni modo, seppur l’estro morettiano sia ancora registicamente embrionale, il film resta un viatico d’esordio “ad alto tasso di premonizione” di quelli che saranno i successivi dettami peculiarmente riconoscibili del Moretti autore. Finale pessimista, largamente pessimista e totalmente “asperanzato”, che si snoda sulla scia di due abbandoni dalla parvenza peraltro definitiva:quello, assai prematuro, di Fabio alle scene a seguito della sua ombrosamente imperscrutabile e densamente simbolica rappresentazione, portata a termine in una cantina con tentativo connesso (e miseramente fallito) di instaurare un dibattito (“no, il dibattito no!” urla qualcuno, battuta a buon diretto rientrante tra i cultormentoni morettiani) con un pubblico sventrato e svuotato (in mezzo al quale spicca nientepopodimenoche Augusto Minzolini..), che si dilegua a gambe levate non appena avverte anche solo l’imminenza di una digressione stilistico-tematica (leggasi masturbazione intellettuale;e un altro tipo di masturbazione, visivamente ellittica ma intesa in senso pienamente tattile, viene anche portata sullo schermo da Apicella..); e quello di Silvia (Simona Frosi) a Michele, forse addirittura meno approfondito, in termni di minutaggio dedicatogli (e non solo), a dimostrazione della desertificazione emotiva e del vuoto di senso assoluto intorno al quale Moretti orchestra il suo disillusamente destabilizzato teatro dell’assurdo.
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