Il film è un Viaggio a Tokyo alla ricerca dei luoghi della memoria dove Ozu girò i suoi capolavori.
Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose sacre…per me questo sarebbe l’opera del regista giapponese Yasujiro Ozu, Mai prima di allora il cinema è stato vicino alla sua essenza e alla sua funzione, con queste parole, mentre scorrono le immagini di apertura di un film di Ozu in bianco e nero, si apre questo bellissimo omaggio ad uno dei più grandi registi di tutti i tempi, di cui mimeticamente Wenders, con arte quasi giapponese,ricrea lo stile mono no aware, nella nostalgica rievocazione di quel cinema-poesia che non c’è più.
Mu è l’unica iscrizione sulla lapide di Ozu a Engaku-ji, un tempio del buddismo zen di Kamakura, una piccola città vicino Tokyo, Mu è il Nulla.
Wenders, al di fuori del suo attore preferito Chishû Ryû e del suo fedele assistente Yûharu Atsuta, non troverà, appunto, nulla di quello che fu il mondo reso immortale da Ozu, sospeso magicamente, racchiuso in una bolla di sapone, tra il passato delle antiche tradizioni e la modernità disumanizzante imposta dall’occupante straniero.
Ciò che si annunciava nei film di Ozu negli anni ‘50, la perdita dell’identità nazionale e l’americanizzazione dei costumi, si è compiuto e oramai nel 1985 il vecchio Giappone non esiste più. Rimane la risonanza di qualche eco dei suoi film nelle squallide sale giochi di pachinko, le slot machine di Las Vegas, in un bambino che fa i capricci come in Buon giorno del 1959 e nelle stradine buie illuminate dalle insegne dei bar, presenti in quasi tutti i film di Ozu, nei treni che corrono veloci sui binari e sullo sfondo la città divenuta nel frattempo mostruosa megalopoli divoratrice di uomini e di sogni.
Nel 1985, Forse quello che non esisteva più era uno sguardo che sapesse creare ordine in un mondo disordinato, uno sguardo che sapesse rendere ancora il mondo trasparente, forse un tale sguardo oggi non sarebbe più possibile, nemmeno per Ozu se fosse ancora vivo, così Wenders, filmando dalla torre di Tokyo, in compagnia di Herzog, un altro grande del cinema tedesco, lo scempio di grattacieli e di cemento armato che ha sepolto per sempre il paesaggio rendendo impossibile qualsiasi immagine poetica del mondo in cui sopravviviamo.
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