Dopo essere stato presentato alla 76esima mostra d’arte cinematografica a Venezia, L’ufficiale e la spia di Roman Polanski è finalmente uscito anche nelle sale italiane.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, il film racconta le indagini dell’ufficiale Georges Picquart (Jean Dujardin) circa l’affare Dreyfus: Alfred Dreyfus (Louis Garrel), un’eccezione in quanto uno dei pochi ebrei nell’esercito francese, viene accusato di alto tradimento, spogliato dei gradi di ufficiale e recluso in una prigione sull’Isola del Diavolo.
Il lungometraggio è un ottimo prodotto cinematografico – dopotutto è del Maestro Polanski che si tratta – pulito, lineare.
Ritrae in maniera più che fedele tutta la questione sull’affare Dreyfus, dal primo all’ultimo istante, forse anche troppo fedelmente, ma è di certo questo tipo di fedeltà che permette di seguire il film da capo a coda senza la minima distrazione o sentore di noia.
Il regista si permette giusto qualche flashback estemporaneo, in modo che l’indagine di Picquart segua un filo logico, e non tanto per l’affaire – alla fine quella è storia e la si conosce – quanto per chi guarda, per permettergli di non perdersi, nonostante di primo impatto il flashback a quello potrebbe sembrare occorrere.
E in merito a ciò è interessante questa scelta, ovvero di sviluppare il film dal punto di vista di Picquart – associabile tranquillamente allo Stato - e non di Dreyfus - il popolo -, che sarebbe stato certamente più scontato e molto semplicistico; e in questo modo, in effetti, Polanski mette in risalto una verità molto attuale.
Ed è particolarmente intrigante che a sottolineare l’enorme divario che intercorre tra le ragioni di agire dello Stato e la lotta per la Verità – per la quale Picquart mette a rischio una vita interamente dedicata all’esercito – sia proprio lui, Polanski, egli stesso oggetto di gravi accuse; ma ancora più interessante è un’esistenza persistente, già all’epoca, di quelle che attualmente si definiscono fake news e che sembrano diventate imperanti in un sistema altresì autoconservatore, guardingo dall’ammettere i propri errori in modo schietto e piuttosto alla ricerca continua di giustificazioni, come ad esempio la cieca obbedienza dovuta, decantata nel film dal maggiore Henry.
Un modus operandi oggi quindi ancora così, solamente più raffinato.
L’ufficiale e la spia - J’accuse nel suo titolo originale - è a tutti gli effetti un film che dà vita ai fatti, senza dare adito a virtuosismi o reinterpretazioni registiche della vicenda ed è proprio per questo che, seppur fatti realmente accaduti alla fine dell’Ottocento, è un film più attuale di quando fu effettivamente attuale.
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