LA FIAMMIFERAIA (FINL, 1989) diretto da AKI KAURISMäKI. Interpretato da KATI OUTINEN, ELINA SALO, ESKO NIKKARI, VESA VIERIKKO, REIJO TAIPALE, SILU SEPPäLä, OUTI MäENPä
La vita di Iris, operaia in una fabbrica di fiammiferi finlandese, scorre continuamente arida e monotona fra il lavoro che non le dà soddisfazioni e i genitori incolori che non le dedicano attenzioni e non la motivano. Inoltre, la donna non coltiva amicizie e non vede mai nessuno. Una sera vede un vestito esposto in una vetrina e, innamoratasene, lo acquista, suscitando il disprezzo del padre e della madre che le ordinano di gettarlo via. Ma lei disobbedisce, lo indossa e va ad una festa in un pub dove incontra un uomo a cui sembra piacere. Eppure il loro rapporto amoroso si consuma velocemente nell’arco di pochi giorni, dopodiché l’individuo non ha più nessuna intenzione di rincontrarla, nonostante Iris gli scriva per giunta tramite lettera che l’ha messa incinta. Dopo l’aborto del feto, sempre più rattristata e incattivita, Iris acquista un veleno per topi, commette alcuni quieti delitti, si rinchiude in casa sua e aspetta che arrivino ad arrestarla i poliziotti. Dialoghi ridotti al minimo essenziale, assenza di psicologia, lavoro disperato di sottrazione condotto alle sue estreme conseguenze e un significato tragico sulla condizione dell’anima umana sono i messaggi che apparvero, all’allora 32enne Kaurismäki, il metodo più persuasivo per raccontare una storia di perdenti, di persone sconfitte dagli infidi anfratti dell’esistenza che detiene sempre l’ultima parola, non perdona gli errori fatti e riserva speranze per il futuro di cui immediatamente dopo rivela l’intera, spiazzante fatuità. È un’opera dallo stile molto ricercato e per questo assai riuscita, benché ritengo che sia naturale considerare superiori ad essa altri film più recenti del regista scandinavo, tipo L’altro volto della speranza (2017) e soprattutto il superbo Miracolo a Le Havre (2011). Ciò non toglie che, tuttavia, notando con arguzia che il Kaurismäki odierno è maturato rispetto a quello degli anni ’80 per come ha saputo vivacizzare e rinvigorire le vicende che tratta senza però togliere il suo tipico e immancabile sottofondo amaro, anche La fiammiferaia possieda numerosi meriti, a partire dall’interpretazione sotto le righe di K. Outinen (volto e mimica perfetti) per proseguire con l’atmosfera cupa di spasmodica attesa e conseguente delusione che avvolge le sequenze (ad essa vengono in soccorso in particolar modo il tranquillo montaggio e la scenografia priva di fronzoli) e concludere con le musiche, canzoni folk rock autoctone i cui testi e le musiche riecheggiano una sorta di ansia pervasiva frammista a noia e oscillazione delle emozioni verso la negatività che rimanda al pensiero filosofico di Schopenhauer. Chi non è abituato a frequentare il cinema d’autore, o chi inquadra il cinema come una merce di consumismo, guarda col sopracciglio alzato a questi film bollandoli come noiosi e senza movimento: più realisticamente, si tratta di una scelta del filmaker di togliere ogni cosa che non sia indispensabile allo scopo finale e narrare più per immagini che per discorsi, impresa tutt’altro che elementare e che dunque presenta il rischio di fraintendimenti. Tornando ai personaggi, Iris è una donna non bella e non più giovanissima che sogna solo una vita normale o, per non peccare di banalità e retorica, più incline a conquistarsi quelle felicità che lei vede nelle sue colleghe, all’apparenza tanto beate nei loro minuscoli paradisi dorati. E questa ricerca la abborda fino a un certo punto, relazionandosi ad un uomo che la sfrutta come un oggetto per poi abbandonarla quand’è stanco di lei, dimentico perfino e incurante del bambino che aspetta di nascere dalla loro procreazione. La solitudine di Iris è resa con molta efficacia anche attraverso le spirali di fumo verdognolo e i vari alcolici che si vedono consumare: tutti simboli di una velleità opalescente e d’una prigione in cui si è portati a rinchiudersi per sfuggire alla furibonda e feroce disumanizzazione che la società impone a chi ne fa parte. Colui che dirige ha sovente il compito di tenere d’occhio la materia narrativa e farla trasparire mediante la recitazione del cast affinché gli spettatori possano ammirarla e comprenderne l’intrinseca profondità, e qui l’esperimento, malgrado qualche forzatura specialmente per quanto riguarda il carattere del seduttore e la rivincita-sconfitta triste di Iris, si può dire compiuto. Presentato a Berlino 1990.
[+] lascia un commento a greatsteven »
[ - ] lascia un commento a greatsteven »
|