paolo schipani
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sabato 7 novembre 2009
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without evil, we wouldn’t know what good is
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«L’unica parola per poter definire le persone come te è evil», è il parere del preside della scuola in cui studia Erik Ponti (Andreas Wilson). Erik è un sedicenne svedese che ama Gioventù bruciata; un James Dean nel contesto svedese degli anni ’50: ribelle, strafottente e con un patrigno autoritario.
Espulso dalla scuola, viene mandato in un collegio privato per essere “disciplinato”. Il film di Mikael Håfström –tratto dal romanzo Ondskan di Jan Guillou- sviluppa la storia di Erik e del suo rapporto con le istituzioni antidemocratiche della Svezia negli anni ’50. Come aveva già fatto Alf Sjöberg in Spasimo (1944, con la sceneggiatura di un giovane Ingmar Bergman), il regista propone una fotografia della società svedese di quel periodo, osservandone il funzionamento scolastico.
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«L’unica parola per poter definire le persone come te è evil», è il parere del preside della scuola in cui studia Erik Ponti (Andreas Wilson). Erik è un sedicenne svedese che ama Gioventù bruciata; un James Dean nel contesto svedese degli anni ’50: ribelle, strafottente e con un patrigno autoritario.
Espulso dalla scuola, viene mandato in un collegio privato per essere “disciplinato”. Il film di Mikael Håfström –tratto dal romanzo Ondskan di Jan Guillou- sviluppa la storia di Erik e del suo rapporto con le istituzioni antidemocratiche della Svezia negli anni ’50. Come aveva già fatto Alf Sjöberg in Spasimo (1944, con la sceneggiatura di un giovane Ingmar Bergman), il regista propone una fotografia della società svedese di quel periodo, osservandone il funzionamento scolastico. Professori severi e indifferenti al “nonnismo” a cui sono sottoposte le matricole nel collegio: regole ferree e umiliazioni fisico-psicologiche.
Evil Erik reagisce alla malvagità in cui è sprofondato dimostrando, a sé e agli altri, i due volti della virtù di un uomo: prima il compromesso (porgendo l’altra guancia), poi l’orgoglio (ribellandosi). Scopre i valori dell’amicizia e dell’amore; recupera progressivamente la sua dignità; si fa maestro di valori socialdemocratici forse un po' lungimiranti per quel periodo. «Non è forte colui che non cade mai, ma colui che cadendo si rialza», sosteneva Gothe. Erik l’ha messo in pratica.
La parabola dell’eroe umiliato che alza la testa giungendo al lieto fine non è una novità nella storia del cinema; ma la sceneggiatura di Hans Gunnarsson e le immagini di Håfström portano lo spettatore a una reazione fisiologica (si chiude lo stomaco) che non sempre il cinema è in grado di provocare.
Il film ha ricevuto la nomination agli Oscar 2004 per il miglior film straniero, e ha sottolineato come without Evil, we wouldn’t know what good is.
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frank
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domenica 22 febbraio 2009
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il ribelle...
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Film drammatico di sicuro impatto emotivo e che riesce in maniera convicente a delineare la storia di un ragazzo che dopo aver subito violenza e suprusi per anni decide di ribellarsi e far valere se stesso, riuscendo a a prendersi la rivincita su coloro che l'hanno umiliato. Ottimi gli attori, la regia è nella norma...alcune scene sono volutamente "forti" e "disgustose", proprio per rendere al massimo il livello di umiliazione che deve subire il protagonista, ma non risultano mai gratuite...unico punto un po' criticabile è che è abbastanza intuibile lo svolgimento della storia, ma in fondo l'importante è che sia raccontata bene e in questo caso lo è...
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carloalberto
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venerdì 26 novembre 2021
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stoicismo o ribellione, questo il dilemma
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Questo film del 2003 di Mikael Håfström, l’eclettico regista svedese che avrà successo a Hollywood, qualche anno dopo, con Il rito ed Escape plan, ha il principale pregio di saper coinvolgere il pubblico fin dalle prime sequenze, suscitando la compartecipazione emotiva alle vicissitudini del giovane protagonista, grazie soprattutto alla caratterizzazione a forti tinte dei personaggi malvagi, il patrigno sadico ed autoritario ed il ricco ed altezzoso compagno di college, che gli si contrappongono, perseguitandolo dall’inizio alla fine.
Ambientato nella Svezia degli anni ’50, ne descrive la chiusura mentale dell’epoca, il ruolo della donna sottomessa al marito nella famiglia ancora arcaica, l’organizzazione gerarchica del college, dominato dal bullismo dei più anziani, tollerato se non addirittura incoraggiato dalla classe insegnante, cinica ed indifferente, per tenere a bada la studentesca.
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Questo film del 2003 di Mikael Håfström, l’eclettico regista svedese che avrà successo a Hollywood, qualche anno dopo, con Il rito ed Escape plan, ha il principale pregio di saper coinvolgere il pubblico fin dalle prime sequenze, suscitando la compartecipazione emotiva alle vicissitudini del giovane protagonista, grazie soprattutto alla caratterizzazione a forti tinte dei personaggi malvagi, il patrigno sadico ed autoritario ed il ricco ed altezzoso compagno di college, che gli si contrappongono, perseguitandolo dall’inizio alla fine.
Ambientato nella Svezia degli anni ’50, ne descrive la chiusura mentale dell’epoca, il ruolo della donna sottomessa al marito nella famiglia ancora arcaica, l’organizzazione gerarchica del college, dominato dal bullismo dei più anziani, tollerato se non addirittura incoraggiato dalla classe insegnante, cinica ed indifferente, per tenere a bada la studentesca.
Il ritmo narrativo, sostenuto fin dall’inizio, si sviluppa in un crescendo drammatico, che, angheria dopo angheria, genera empaticamente nello spettatore lo smisurato desiderio che il proprio eroe finalmente si ribelli abbandonando lo stoicismo quasi masochistico per una sana ed impietosa rivalsa sugli oppressori. L’esplosione della rabbia della divertente sequenza finale avrà un effetto liberatorio più per lo spettatore che per il protagonista.
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