alessandro vanzaghi
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lunedì 16 febbraio 2009
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miracoloso
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Un film ideale solo per inguaribili nostalgici, come me, ma per tutti gli amanti del vero cinema, quello fatto di persone, di trucchi senza inganno, di parole e ignoranza, di povertà di mezzi e di attori. Alzatevi una domenica mattina d'inverno qualsiasi...lasciate le tapparelle abbassate ancora un po' e concedetevi un po' di pace, gustandovi questo piccolo gioello. Si tratta di De Sica nel suo periodo d'oro, quello in cui ogni opera sembrava una perla. Io l'ho vista quasi 60 anni dopo la sua prima uscita. E luccica ancora. Acceca.
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lianò
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martedì 22 novembre 2005
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la poesia della povertà
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in questo capolavoro della cinematografia nostrana del dopoguerra De sica racconta il realismo quotidiano del vivere periferico e marginale attraverso una miscela compenetrante di liricità e sogno filtrata da una portante visione "surrealista" dinamica e moderna. Come anime dannate, barboni, storpi e cani deambulano in un deserto inoltrepassabile (la periferia milanese) ammorbato dalla miseria; in esso sogni e desideri inarrivabili divengono speranze quando "un giovane angelo" si palesa per liberare la disgraziata moltitudine dalla povertà per mezzo di un gioioso viaggio celeste che non contempla il ritorno.
sequenze come quella in cui i miserabili "danzano" cercando di incontrare il calore di un raggio di sole, rappresentano gli apici di una poetica cinematografica poche altre volte toccata.
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(di sto per vomitare)
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luca scialò
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sabato 5 marzo 2011
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il surrealismo che racconta il triste realismo
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In una Milano che a fatica cerca di risollevarsi dalla seconda guerra mondiale, come d'altronde tutta l'Italia, un gruppo di senza tetto, piccoli borghesi, aristocratici decaduti, già poveri, guidati dall'ottimismo e dalla bontà di Totò, un giovane orfano, costruiscono una baraccopoli, dove poter ritrovare la propria dignità. Ma l'egoismo di un capitalista, il signor Mobbi, il quale ha acquistato il suolo sul quale essi in qualche modo risiedono, mette a rischio le loro povere baracche. Sarà una colomba regalatagli dalla madre adottiva di Totò, divenuta un angelo, ad aiutarli nell'impresa con diversi piccoli miracoli.
Vittorio De Sica ha già dimostrato da regista di non temere di affrontare certe spinose problematiche sociali.
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In una Milano che a fatica cerca di risollevarsi dalla seconda guerra mondiale, come d'altronde tutta l'Italia, un gruppo di senza tetto, piccoli borghesi, aristocratici decaduti, già poveri, guidati dall'ottimismo e dalla bontà di Totò, un giovane orfano, costruiscono una baraccopoli, dove poter ritrovare la propria dignità. Ma l'egoismo di un capitalista, il signor Mobbi, il quale ha acquistato il suolo sul quale essi in qualche modo risiedono, mette a rischio le loro povere baracche. Sarà una colomba regalatagli dalla madre adottiva di Totò, divenuta un angelo, ad aiutarli nell'impresa con diversi piccoli miracoli.
Vittorio De Sica ha già dimostrato da regista di non temere di affrontare certe spinose problematiche sociali. In quest'occasione, il neorealismo cinematografico viene proposto mediante lo strumento cinematografico del surrealismo. Forse l'impianto fiabesco del film sfugge di tanto in tanto al regista, sfociando nella banalità. Ma è un'impronta che il regista ha voluto fin dall'inizio, quindi va presa come uno stile ricercato più che un aspetto da rimproverare. E' indubbio invece il valore del messaggio finale che il film vuole lanciare, inciso nella frase che appare alla fine del lungometraggio. E chissà se quei poveri volanti hanno davvero trovato un regno in cui un buongiorno fosse davvero un buongiorno...
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fedeleto
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lunedì 4 aprile 2016
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dei poveri è il regno dei cieli...
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C'era una volta un neonato che venne trovato sotto un cavolo da un'anziana signora.Dopo la morte di quest'ultima,il bambino cresciuto venne affidato all'orfanotrofio.Uscito si imbattera' in un gruppo di barboni,e con la pazienza e l'allegria li aiuterà a costruirsi un piccolo villaggio,difendendoli dal perfido industriale che vuole scacciarli.Il ritorno del'anziana signora gli permetterà di fuggire con una scopa in cielo.Bisogna ammettere che Miracolo a Milano è tra i migliori film del Vittorio De Sica (la porta del cielo,un garibaldino in convento) regista.La storia tratta da un romanzo di Zavattini,e sceneggiata da Zavattini ,De Sica,D'amico,Chiari,Franci,racconta la purezza di Totò,un essere che appare così dal nulla sotto un cavolo come fosse venuto dal cielo(e non a caso poi ci ritorna),la figura di questo ragazzo sembra metaforizzare quasi un angelo.
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C'era una volta un neonato che venne trovato sotto un cavolo da un'anziana signora.Dopo la morte di quest'ultima,il bambino cresciuto venne affidato all'orfanotrofio.Uscito si imbattera' in un gruppo di barboni,e con la pazienza e l'allegria li aiuterà a costruirsi un piccolo villaggio,difendendoli dal perfido industriale che vuole scacciarli.Il ritorno del'anziana signora gli permetterà di fuggire con una scopa in cielo.Bisogna ammettere che Miracolo a Milano è tra i migliori film del Vittorio De Sica (la porta del cielo,un garibaldino in convento) regista.La storia tratta da un romanzo di Zavattini,e sceneggiata da Zavattini ,De Sica,D'amico,Chiari,Franci,racconta la purezza di Totò,un essere che appare così dal nulla sotto un cavolo come fosse venuto dal cielo(e non a caso poi ci ritorna),la figura di questo ragazzo sembra metaforizzare quasi un angelo.La forza di questo giovane sta nell'essere sempre buoni ed educati,e ridere della vita.De Sica inoltre introduce nel film anche notevoli effetti speciali,dai raggi del sole che si spostano,al volo con le scope,alla statua che prende vita,e l'inusuale senso di raccontare il realismo della povertà con fantasia e surrealismo.Non mancano scene di chiaro dualismo ricco-povero,dalla trattazione dei due ricchi che sembra appunto un grugnire di cani,per non parlare dell'ufficio capitalista dove i camerieri sono appesi fuori dalla finestra per far presto.La povertà invece viene raffigurata semplicemente con il modus vitae di questi poveri uomini,con la loro vita nelle baracche.Totò cerca in ogni modo di trasformare questa sofferenza in sorriso,gioco (la lotteria dove si vince un pollo),fino a quando appunto non arriva la possibilità di cambiare la realtà.Questa trasfigurazione crea ad ogni modo sempre più insoddisfazione poiché tutti vogliono tutto dalla colomba che esaudisce i desideri.Ma il loro vero desiderio è non essere inferiori a nessuno (il desiderio sulla sfida dei milioni) e solo a tal proposito Totò appunto cerca di portarli innanzandoli in cielo dove buongiorno vuol dire buongiorno.Alcuni critici hanno dovuto vederci una tendenza alla sinistra della vittoria proletaria.Rimane un film straordinario nella sua poeticita,e nella sua struttura didascalica metaforizzata che insegna un messaggio fondamentale,con la dolcezza si ottiene ogni cosa.Un classico da vedere.
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greatsteven
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giovedì 23 novembre 2017
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dal bimbo nell'orto al finale con le scope volanti
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MIRACOLO A MILANO (IT, 1951) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da EMMA GRAMATICA, FRANCESCO GOLISANO, PAOLO STOPPA, GUGLIELMO BARNABò, BRUNELLA BOVO, ANNA CARENA, ALBA ARNOVA, VIRGILIO RIENTO, ARTURO BRAGAGLIA, ERMINIO SPALLA
La vecchietta Lolotta scova un neonato sotto un cavolo del suo orto e lo alleva. Ma alla sua morte, cui il bambino assiste dallo spioncino della porta mediante l’auscultazione cardiaca dei due medici condotti, il bambino viene affidato ad un orfanotrofio, dal quale esce giovanotto col nome di Totò. Il ragazzo decide di mettere la sua bontà d’animo innata al servizio del prossimo, costruendo un villaggio di fortuna alla periferia di Milano (metropoli in cui la vicenda prende corpo) al quale accorrono, occupandolo assai volentieri, coppie spaesate, poverelli, mendicanti, straccioni, accattoni e numerosi individui cui la fortuna ha sempre voltato le spalle.
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MIRACOLO A MILANO (IT, 1951) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da EMMA GRAMATICA, FRANCESCO GOLISANO, PAOLO STOPPA, GUGLIELMO BARNABò, BRUNELLA BOVO, ANNA CARENA, ALBA ARNOVA, VIRGILIO RIENTO, ARTURO BRAGAGLIA, ERMINIO SPALLA
La vecchietta Lolotta scova un neonato sotto un cavolo del suo orto e lo alleva. Ma alla sua morte, cui il bambino assiste dallo spioncino della porta mediante l’auscultazione cardiaca dei due medici condotti, il bambino viene affidato ad un orfanotrofio, dal quale esce giovanotto col nome di Totò. Il ragazzo decide di mettere la sua bontà d’animo innata al servizio del prossimo, costruendo un villaggio di fortuna alla periferia di Milano (metropoli in cui la vicenda prende corpo) al quale accorrono, occupandolo assai volentieri, coppie spaesate, poverelli, mendicanti, straccioni, accattoni e numerosi individui cui la fortuna ha sempre voltato le spalle. Totò è così clemente e generoso da insegnare la matematica ai bambini del villaggio. Ma un giorno che un ricco industriale senza scrupoli né benignità vuole far smantellare l’ormai folta cittadella, da un buco praticato nel terreno con un palo di legno sgorga un fiotto di petrolio. Mobbi, così si chiama il magnate dell’industria, finisce per avere la meglio: acquista il lotto e fa sgomberare i baraccati ricorrendo all’intervento della forza pubblica. Invocato da Totò, lo spirito di Lolotta scende dal Paradiso e gli consegna una colomba bianca, reggendo la quale il ragazzino compie miracoli davvero stupefacenti ed esaudisce ogni singolo desiderio degli sfortunati compagni di sventura. Un momento di distrazione di Totò permette la cattura dei poveri, ma Lolotta, molto meno ingenua di quanto sembrerebbe ad un occhio inesperto, gli restituisce la colomba e consente al volenteroso e audace giovanotto di liberare gli amici. E così, in groppa a scope volanti, tutti si innalzano in volo verso il regno della felicità. Tratto dal romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini e sceneggiato dall’autore con De Sica (ormai entrambi collaboratori inossidabili e insostituibili) con la collaborazione di Suso Cecchi D’Amico, Mario Chiari e Adolfo Franci, è una commedia fantasy in chiave fiabesca che racconta il candore dell’infanzia contrapposto alla sagace, ma deleteria, malignità del mondo adulto, ma anche una contrapposizione più che mai efficace fra la leggerezza e semplicità del pianeta rurale contro gli edifici appaltati del mondo architettonico e modernizzato, il che è un tema piuttosto ricorrente nel repertorio cinematografico del regista romano, analizzato questa volta però con l’occhio lucido e mai distratto di un osservatore che fa trionfare i buoni contro i cattivi consentendo loro la disponibilità di mezzi di trasporto trasposti dal mondo delle favole che, al termine di una storia commovente ricca di peripezie e agganci strabilianti, si conclude positivamente dando ragione al motivo di coalizione contro il potere costituito e alla necessità di rimanere uniti quando le avversità dilagano, il pericolo incombe indifferentemente su tutte le teste e le minacce sono meno remote di quanto appaiono. Contributi tecnici di qualità, in pieno stile desichiano: fotografia di Aldo Graziati; montaggio di Eraldo Da Roma; effetti speciali del teutonico Ned Mann; musiche del maestro Alessandro Cicognini; scenografia di Guido Fiorini; costumi di Mario Chiari. Un coacervo di perfezione che regala al prodotto finale una struttura solida su cui poggiare un copione poco parlato, ma estremamente efficiente nella descrizione di un ambiente povero e diseredato, ma solo in superficie privo di speranze, che s’inserisce a pieno titolo nel tramonto della stagione neorealistica, di cui De Sica fu promotore e partecipante sotto ogni prospettiva. Una spanna al di sotto di Ladri di biciclette e Umberto D, ma perfettamente a pari merito con Sciuscià, per come l’infanzia viene narrata a forza di morali educative, buonismi evitati con dovizia di attenzioni mai fuorvianti, temi da favola che compaiono solo nel finale ma permeano il resto della proiezione grazie al suo mirabolante protagonista che sta un po’ sopra e un po’ sotto le righe, alternandosi con meravigliosa elasticità, e la capacità di trarre la resilienza da un contesto all’apparenza dismesso e malandato, ma ancora in grado di fornire spunti creativi per un’opera di divertimento sano mai fine a sé stesso e che allude alla giustizia trionfante come premio per l’altruismo, la carità e l’allegria nonostante lo squallore circostante. Fra gli attori, spiccano per magnificenza recitativa gli ottimi seguenti. la Lolotta di Gramatica, il Totò di F. Golisano, il Rappi di P. Stoppa (unico attore del cast già famoso e alla ribalta delle cronache all’epoca), il Mobbi spietato e inflessibile di Barnabò, il sergente delle guardie di V. Riento e A. Arnova, la statua che improvvisamente si anima. Grand Prix al Festival di Cannes 1951.
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stefanocapasso
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venerdì 20 aprile 2018
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l'amore prima di tutto
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Totò nasce sotto un cavolo e viene allevato dilla vecchina Lolotta, che presto lo lascerà solo. Cresciuto in collegio, esce e si ritrova a vivere in una sorta di baraccopoli nella periferia di Milano, dove il suo buon umore è contagioso e si rivela di aiuto per tutti. Ma quando nel terreno viene scoperto il petrolio, i ricchi imprenditori si avventano sul pezzo di terra, intimando alla piccola comunità di lasciarlo. Totò con le sue magie si metterà al capo della resistenza.
Film sorprendente di Vittorio De Sica, ancora legato al neorealsimo ma che insieme ad esso coniuga i più tipici aspetti della favola. Scritto diversi anni prima da Zavattini insieme a Toto (De Curtis), il soggetto era tagliato proprio per l’attore napoletano, che però al momento della produzione del film non era più abbastanza giovane.
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Totò nasce sotto un cavolo e viene allevato dilla vecchina Lolotta, che presto lo lascerà solo. Cresciuto in collegio, esce e si ritrova a vivere in una sorta di baraccopoli nella periferia di Milano, dove il suo buon umore è contagioso e si rivela di aiuto per tutti. Ma quando nel terreno viene scoperto il petrolio, i ricchi imprenditori si avventano sul pezzo di terra, intimando alla piccola comunità di lasciarlo. Totò con le sue magie si metterà al capo della resistenza.
Film sorprendente di Vittorio De Sica, ancora legato al neorealsimo ma che insieme ad esso coniuga i più tipici aspetti della favola. Scritto diversi anni prima da Zavattini insieme a Toto (De Curtis), il soggetto era tagliato proprio per l’attore napoletano, che però al momento della produzione del film non era più abbastanza giovane. Un film che parla della fantasia dei poveri, delle ingiustizie sociali, e della infinità capacità dell’uomo di rigenerarsi anche nelle avversità. De Sica disegna la prospettiva di un mondo più giusto dove i valori più importanti sono quelli del bene comune, dell’amore e della solidarietà. Film divertente e commovente, anticipatorio di tanti temi che verranno affrontati nel futuro e punto di ispirazione di diversi cineasti futuri.
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noia1
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mercoledì 15 maggio 2019
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il de sica demenziale e crudele.
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Un’anziana signora si ritrova a dover crescere un orfanello apparso nel suo orto, alla sua morte quell’orfanello finirà in orfanotrofio e, diventato abbastanza grande, quest’ultimo sarà finalmente pronto per affrontare grandi avventure.
Un film per famiglie come ora ne escono a bizzeffe, dove a dirigere però c’è Vittorio De Sica, talento assoluto e artista di un’intelligenza fuori dal comune; uno capace di enfatizzare ogni minuto di quell’ora e mezza di pellicola senza però toglierle quel peso, quell’importanza, sena togliere interesse agli eventi: riuscendo sempre e comunque a sorprendere, riuscendo comunque a gestire e smorzare il peso delle varie situazioni.
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Un’anziana signora si ritrova a dover crescere un orfanello apparso nel suo orto, alla sua morte quell’orfanello finirà in orfanotrofio e, diventato abbastanza grande, quest’ultimo sarà finalmente pronto per affrontare grandi avventure.
Un film per famiglie come ora ne escono a bizzeffe, dove a dirigere però c’è Vittorio De Sica, talento assoluto e artista di un’intelligenza fuori dal comune; uno capace di enfatizzare ogni minuto di quell’ora e mezza di pellicola senza però toglierle quel peso, quell’importanza, sena togliere interesse agli eventi: riuscendo sempre e comunque a sorprendere, riuscendo comunque a gestire e smorzare il peso delle varie situazioni. Se in “Ladri di biciclette” aveva portato quel sentore d’ineluttabile tragicità in uno svolgersi degli eventi esasperato, quasi da film d’azione; qui quel dolciume quasi da diabete è continuamente mitigato da un’ironia demenziale, crudele per come punta a provocare mettendo alla berlina sia i ricchi avari che i miserabili meschini e dal sangue avvelenato.
Un inno a giocare e ad essere giocosi, sembra tutto un’enorme barzelletta, come il villaggio fatto degli avanzi di pattumiera o il fatto che, anche nella piattezza della povertà, si trovano varie figure che senza un minimo d’emancipazione – senza una qualche caratteristica che li possa distinguere dagli altri – non possono vivere. Una trama che ridicolizza tutte quelle precostruzioni mentali che limitano l’individuo più che aprirgli porte: il nero che diventato bianco si accorge di non aver ottenuto niente; quello che fa di tutto per mostrarsi meglio degli altri fino a rendersi conto di aver faticato senza motivo, fino ad impazzire e scappare; la statua che rischia di scatenare una scazzottata perché bella e voluta da tutti, tutti quelli che – per quanto buoni – ci mettono un attimo a diventare avari.
E poi ci sono quelle sequenze, quei pugni nell’occhio che sanno dare i grandi artisti, la scena del treno ad esempio o quella dell’inseguimento tra gli angeli per dirne un’altra. Una storia comunque che non vuole mai buttarla sul dramma anzi, al massimo, di quella cattiveria che spesso i personaggi si concedono, ne viene fuori un ritratto ridicolo, ironico, di un’ironia che ancora adesso fa scompisciare.
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figliounico
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sabato 18 maggio 2024
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il vero miracolo
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Una favola neorealista che si stenta a credere sia stata realizzata appena sei anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Occorre essere poeti o visionari per sognare, stando seduti sopra cumuli di macerie e di cadaveri, una storia simile ed immaginare un personaggio da fumetto nato sotto un cavolo che dispensa miracoli ai diseredati come Totò il buono. Per fortuna Zavattini e De Sica erano poeti e visionari al contempo. I poveri danno fastidio, il titolo scartato per quest’opera surreale, né rivoluzionaria né consolatoria, ma disperatamente vera. Il capitale speculava sulla pelle degli ultimi nel 1951, in piena democrazia, cristiana per giunta, senza soluzione di continuità con il ventennio fascista, con l’aggiunta di una buona dose di ipocrisia e di populismo, ancora attuale e mai morto in questo Paese.
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Una favola neorealista che si stenta a credere sia stata realizzata appena sei anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Occorre essere poeti o visionari per sognare, stando seduti sopra cumuli di macerie e di cadaveri, una storia simile ed immaginare un personaggio da fumetto nato sotto un cavolo che dispensa miracoli ai diseredati come Totò il buono. Per fortuna Zavattini e De Sica erano poeti e visionari al contempo. I poveri danno fastidio, il titolo scartato per quest’opera surreale, né rivoluzionaria né consolatoria, ma disperatamente vera. Il capitale speculava sulla pelle degli ultimi nel 1951, in piena democrazia, cristiana per giunta, senza soluzione di continuità con il ventennio fascista, con l’aggiunta di una buona dose di ipocrisia e di populismo, ancora attuale e mai morto in questo Paese. Questa era la cosa indicibile che si sarebbe potuta dire soltanto come può fare un bambino o un demente o un poeta. Il finale, spesso equivocato, non rappresenta la fuga in un mondo paradisiaco, dove buongiorno vuole dire soltanto buongiorno, e la rinuncia implicita a cambiare il mondo abbandonandolo al proprio destino, ma è il temporaneo allontanamento dalla realtà, un distacco salvifico, per preservare incorrotte quelle idealità che animano da sempre gli spiriti migliori della società.
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