James Cagney (Jacob Francis Cagney) è un attore statunitense, regista, è nato il 17 luglio 1899 a Yonkers, New York (USA) ed è morto il 30 marzo 1986 all'età di 86 anni a Stanfordville, New York (USA).
James Francis Cagney jr. era nato a New York nel 1899 da una famiglia di origine irlandese. Figlio d'arte (entrambi i genitori operavano nel cinema muto d'inizio secolo), Cagney cominciò la sua carriera nel mondo dello spettacolo come cantante e ballerino di vaudeville. Proveniente dai musical teatrali di Broadway e dal cabaret, la sua prima apparizione sul palcoscenico, nel 1919, lo vide travestito da donna. Nel 1930 debuttò sullo schermo nel film Sinner's Holiday (1930), e l'avvento del cinema sonoro favorì decisamente la sua affermazione: famoso per la sua dialettica, usava scandire le battute, anche lunghe, senza mai riprendere fiato usando l'accento dell'uomo della strada. Ben presto divenne uno dei più grandi attori di Hollywood, grazie soprattutto alla sua vitalità, alla sua immediatezza, allo spiccato senso dell'umorismo e alla sua dizione modernissima. Si fece conoscere, in parti di gangster - soprattutto - o di poliziotto, in film d'azione degli anni Trenta, a partire da Nemico pubblico (1931) - che decretò il suo successo - La pattuglia dei senza paura (1935), Gli angeli con la faccia sporca (1938) e La furia umana (1949). Accusato di idee comuniste per via di numerose interpretazioni in film di carattere sociale, negli anni Sessanta cambiò ideologia divenendo un convinto conservatore. Pur di levarsi di dosso l'etichetta di 'duro', fondò la Cagney Production, nell'intento di rivalutare la sua figura attraverso una serie di commedie e film d'evasione; ma l'insuccesso fu quasi totale al punto che dovette ritornare quasi obbligatoriamente al suo antico status. Fu comunque un ruolo decisamente più leggero, come quello interpretato in Yankee Doodle Dandy (Ribalta di gloria, 1942), a fargli vincere un meritatissimo premio Oscar. Dopo una gustosa partecipazione al film One, Two, Three (Uno, due, tre, 1961) di Billy Wilder, si allontanò dagli schermi, per farvi ritorno ottantunenne, nella parte di un poliziotto, in Ragtime (1981) di Milos Forman. Cagney è morto a Stanfordville nel 1986.
«Che dire di James Cagney - afferma Milos Forman, regista di Ragtime - se non che è il sogno d' ogni cineasta poter lavorare con M?». Certo Forman, boemo di Praga esule in America e già premiato con l'Oscar per Qualcuno volò sul nido del cuculo, ci ha pensato piuttosto tardi. Al tempo di Ragtime, uscito nel 1981, l'attore, nato nel 1899, aveva già varcato la ottantina. Da venti anni, esattaniente dal 1961 quando era apparso per l'ultima volta in Uno, due, tre di Billy Wilder, aveva dato l'addio allo schermo. Da cinquanta anni, cioè dal 1931, aveva segnato con la sua presenza il film Nemico pubblico e il genere gangster.
Nel suo libro di memorie intitolato La vita solitaria, Bette Davis lo ha definito «l'uomo che ha reso artistico il gangster». Ce ne voleva di grinta, per riuscirci; e Cagney la possedeva tutta. Col suo sguardo fine - la fulgida Louise Brooks l'aveva già adocchiato - fu un piccolo assassino da bassifondi, nel dramma Penny Arcade che nel 1929 fu il suo congedo dal teatro e gli valse un contratto a lunga scadenza con la Warner Bros.
Della grinta di Cagney si accorse subito, dopo pochi giorni di lavorazione, il regista di Nemico pubblico, ch'era William Wellman.
Il film prevedeva un cattivo affiancato da un buono. Ma il buono era solo una «spalla» del primo e per la parte era stato scelto Cagney. L'altro era un certo Edward Woods. «Dovremmo invertire i ruoli», annunciò Wellman, visti i primi spezzoni, al produttore ch'era Zanuck. «Ma sapete chi è Eddie Woods?» domandò costui. «No - rispose il regista - chi è?». «Nientemeno che il fidanzato della figlia di Louella Parsons» chiarì il produttore alludendo a una delle celebri e temutissime «pettegole» di Hollywood. «E voi - urlò Wellman - sareste disposto a farvi fottere da una giornalista?» - «Bene, scambiateli» approvò allora Zanuck. E fu così, almeno secondo il racconto di Wellman, che Cagney divenne un divo.
Ma fu anche per un'altra ragione, e cioè che nessun altro attore del tempo, nemmeno l'Edward G. Robinson di Piccolo Cesare, nemmeno il Paul Muni di Scarface, avrebbe saputo recitare nello stesso film due scene contrapposte, come quella in cui il gangster reclina il capo in grembo alla madre, e l'altra - che lo rese di colpo famoso, anzi famigerato - in cui schiaccia un mezzo pompelmo in faccia alla sua ragazza. Una scena durissima, forse l'atto più antifemminile della storia del cinema.
In pigiama a righe, davanti a una tazza di tè e a un mazzolino di fiori sul tavolo della prima colazione, il personaggio consumava questo atto lentamente, con un piacere sadico. «Mi sono ispirato a un fatto di cronaca - dichiarò più tardi Cagney - quando il gangster Hymie Weiss lanciò in viso alla ragazza un'omelette». Ma intanto, col suo gesto, aveva stabilito una separazione, cui il genere-gangster, ma non solo esso, sarebbe rimasto scrupolosamente fedele nel trattamento della donna: da una parte la bambola, la pupa da strapazzare, dall'altra la mamma o la moglie legittima, da venerare.
Né Hollywood, una volta passata indenne la provocazione, era il tipo d'industria capace di rinunciarvi. Così in Lady killer del 1933 Cagney trascina a lungo per i capelli la stessa Mae Clarcke, che evidentemente con lui non aveva mai pace. Eppure il film di Roy Del Ruth era solo una commedia che prendeva in giro Hollywood e rendeva omaggio alla versatilità del protagonista, il quale esordiva come maschera in un cinema, eccelleva come scassinatore, e spopolava come divo con in testa piume di capo indiano.
La professionalità di Cagney, la sua generosità nel darsi tutto a ogni film, sono leggendarie. Tozzo, sgraziato, con un muso rincagnato, diventa elegantissimo e sciolto se si mette a danzare. Ballerino di musical dall'epoca dei suoi esordi teatrali con la partner favorita Joan Blondell, nel film Viva le donne! (sempre del 1933) aveva appena interpretato con Ruby Keeler il balletto del marinaio e della cinesina creato da Busby Berkeley, «numero» che si raccomandava anche per la canzone Shanghai Lil. Dieci anni dopo, il Cagney musicale otterrà l'unico oscar della sua carriera con Ribalta di gloria, centone patriottico ch'egli fece per scagionarsi da un'accusa di «attività antiarnericana» piovutagli chissà come addosso.
Anche gli atteggiamenti di simpatica canaglia, di irresistibile teppista in un'America spavalda, sono tipici del repertorio dell'attore. Così nei due film in cui ebbe al fianco Bette Davis: Jimmy, il gentiluomo diretto da Curtiz nel 1934, e Sposa contrassegno del 1941, una commediola ambientata nel deserto in cui uno sgangherato pilota faceva discendere una ereditiera viziata per sottrarla alle nozze. «Jimmy era per me - scrive l'attrice - e non soltanto per me - uno degli attori più in gamba che ci fossero in giro. Da sempre avrei voluto girare con lui qualcosa di bello. Bene - prosegue col suo solito dente avvelenato verso Hollywood - egli passò buona parte del film a estrarre spine di cactus dal mio sedere».
Chissà che cosa pretendeva Bette Davis da Hollywood: Shakespeare? Se è per questo, Jirnmy Cagney aveva fatto anche Shakespeare: esattamente Bottom nel Sogno di una notte di mezza estate, messo in scena per lo schermo, nel 1935, nientemeno che da Max Reinhardt. Ma il fastoso spettacolo, distribuito allora anche in Italia, non ebbe molto successo. Comunque Reinhardt, che di talenti s'intendeva, aveva visto giusto su Cagney, come su un ragazzo che in certo senso gli somigliava, Mickey Rooney, che fu un magnifico Puck.
Ci sono molti Cagney, un effetti. Nel 1957, con L'uomo dai mille volti, egli stesso rese omaggio all'attore Lon Cagney, alla sua arte del trasformismo e ai suoi film dell'orrore degli anni Venti. Ma il Cagney autentico è il «duro». All'inizio di Nemico pubblico - scriveva Tino Ranieri - «ha il berretto a visiera dei fuorilegge d'infima estrazione... Alla fine, catafratto nello stretto abito scuro, il cappello a cupolino, è categoricamente il bandito che gli americani definiscono "dressed for kill", vestito per uccidere». Un ciclo di undici film dedicatogli dalla televisione italiana nel 1980 si chiamava Una pistola e un bacio: dove, a differenza che nel titolo italiano di un noto thriller di Robert Aldrich, la pistola veniva prima del bacio. Questo attore infatti, anzi questo «animale cinematografico» per eccellenza, ha sempre lasciato poco spazio ai sentimento, soprattutto da giovane. Più tardi, per dirla sempre con Ranieri, avrà una «vecchiaia da Popeye» e certo non si abbandonerà troppo alle smancerie, che sarebbero state in contrasto sia col suo fisico, sia col suo ruolo.
James Cagney è dunque il perfetto duro di una volta. Egli è davvero insuperabile nell'esprimere l'attesa, la nevrosi, l'esplosione della violenza. Il suo corpo è ben piantato a terra sulle gambe divaricate, mentre le mani basse sono pronte a scattare. Il moto irrequieto delle spalle sembra sfuggire al controllo, e invece sottolinea meglio la capacità di graduare l'ipertensione e il dinamismo dei gesti che peraltro sono naturali e quasi incolpevoli, come quelli appunto di un animale.
Tale apparirà anche in anni tardi, da cinquantenne e oltre: nel film di Raoul Walsh La furia umana (1949), dove il legame patologico con la niadre sarà preso a modello dal cinema di Fassbinder; e in quel violento melodramma che fu Amami o lasciami (1955). Però la sua potenza risulta quanto mai chiara nei
film in cui accanto a lui sta Humphrey Bogart: Gli angeli con la faccia sporca (1938) di Curtiz, I ruggenti anni Venti (1939) di Walsh. Al suo confronto «Bogey», ch'era stato il terrificante gangster della Foresta pietrificata, fa la figura di un intellettuale, di un Amleto metropolitano. Per lui il piccolo, scattante, irriducibile irlandese di New York, dalla parlantina a mitraglia che ha sempre fatto dannare i doppiatori, era - secondo il giudizio di Louise Brooks - «la bestia nera dai capelli rossi».
Come Bogart e Robinson, anche Cagney cavalcò la legge coi metodi spicci che aveva applicato al delitto. Accadde nel 1935, uno del suoi anni d'oro, quando uscì La pattuglia dei senza paura e la pubblicità gridava: «Il più famoso cattivo di hollywood si unisce ai G-Men e arresta la marcia del crimine!». Si sa che i GMen, ossia «uomini del governo», erano gli agenti federali impegnati nella lotta alla delinquenza organizzata. In altri termini la Warner Bros, la più dinamica società di Hollywood negli anni Trenta, cambiava indirizzo e si metteva a sterminare i gangster dello schermo ch'essa stessa aveva creato. E il suo «nemico pubblico n. 1», sempre «virile come una rapina in banca» per dirla con una frase americana d'epoca, si sentiva più che mai autorizzato a tenere in pugno la situazione, come quando stava dall'altra parte della barricata. Il discrimine tra illegalità e legalità sì dissolveva, l'unico denominatore comune (anzi l'unico detonatore) restando la violenza. Quella violenza che solo nella caratterizzazione del tirannico capitano della Nave matta di Mister Roberts (1955) si sarebbe autocompassionata nella sinistra macchietta di un «bullo pesomosca» sprizzante il rancore del sopravvissuto. L'esuberante MacNamara, allegro direttore di filiale della Pepsi Cola a Berlino est, era stato il suo ultimo profilo prima della inattesa rentrée in Ragtime. Un ventennio di ritiro in campagna, una lunga parentesi tra il cinismo Wilder e quello di Forman. «Gli ho chiesto se voleva recitare nel mio film. Si è messo a ridere. Dopo qualche settimana mi ha risposto: "Bene, d'accordo". Gli ho offerto di scegliere la parte che gli piaceva di più. "Quale che sia la vostra scelta, sarà la mia. Potete perfino interpretare Evelyn Nesbìtt, se ne avete voglia". Si è concentrato su tre ruoli possibili, e mi ha molto generosamente lasciato la decisione finale».
Nel discusso supercolosso di due ore e mezza sull'America inizio secolo, tratto dal romanzo di E. L. Doctorow e prodotto da Dino De Laurentiis, Cagney è il prefetto di polizia Rheinlander Waldo, un vecchio volpone che ne sa una più del diavolo, totalmente ignaro di scrupoli e sprovvisto di qualsivoglia senso morale. Ma ciò in tutta naturalezza e semplicità, senza patemi d'animo, secondo la linea fissata in decine di interpretazioni memorabili, dove ogni barriera tra la giustizia e il suo contrario era stata soppressa in nome della virilità e del successo. Un piccolo «cammeo» che si aggiunge, vent'anni dopo, come nei romanzi d'avventure del buon tempo antico, a una splendida collana di perle.
Da Alfabetiere del cinema, a cura di L. Pellizzari, Falsopiano, Alessandria, 2006