luanaa
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venerdì 21 luglio 2017
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notevole
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MI HA COLPITO E COMMOSSO DEL FILM IL RAPPORTO TRA QUESTI DUE ADOLESCENTI MINORENNI; CHE HANNO IN LORO SPONTANEO IL VERO SENSO DELLA GIUSTIZIA E DELLA SEPARAZIONE TRA BENE E MALE ( LA SCENA DELLA RIPRESA NELLA TELECAMERA DICE TUTTO CIO') CHE NON PUO' ESSERE DISUNITA DAL SENSO DI UMANITA '. LE ULTIME SCENE SONO DAVVERO TOCCANTI: IL RAGAZZO RICCO ALEJANDRO IMPARERA' AD ACCETTARE ATTRAVERSO IL RAPPORTO CON LA MORTE ED IL DOLORE CHE COMPORTA, LA REALTA' E COSI' POTRA' RICOMINCIARE O COMINCIARE A VIVERE: UN FINALE SPLENDIDO,ESTREMAMENTE SIMBOLICO DI QUESTA RINASCITA, DI QUESTO DISTACCO DAL CORDONE OMBELICALE:E DAL MODELLO PATERNO: DA VEDERE!!!!.
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filippo catani
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mercoledì 13 marzo 2013
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homo homini lupus
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Città del Messico. Un gruppo di persone benestanti stanche della criminalità sono riuscite a farsi autorizzare da un giudice ad erigere una vera e propria città nella città definita da tutti come la zona. Vi è una solo motivo che porterebbe allo scioglimento: il verificarsi di un fatto di sangue. Quando ciò avviene, i cittadini che autogestiscono la zona si trasformeranno in veri e propri giustizieri.
Villette a schiera, giardini ben curati, telecamere a ogni incrocio; sembra un ridente isolato di una città qualsiasi. Invece ci troviamo nella città più popolosa al mondo, Città del Messico con i suoi alti tassi di criminalità e una polizia che viene percepita come corrotta.
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Città del Messico. Un gruppo di persone benestanti stanche della criminalità sono riuscite a farsi autorizzare da un giudice ad erigere una vera e propria città nella città definita da tutti come la zona. Vi è una solo motivo che porterebbe allo scioglimento: il verificarsi di un fatto di sangue. Quando ciò avviene, i cittadini che autogestiscono la zona si trasformeranno in veri e propri giustizieri.
Villette a schiera, giardini ben curati, telecamere a ogni incrocio; sembra un ridente isolato di una città qualsiasi. Invece ci troviamo nella città più popolosa al mondo, Città del Messico con i suoi alti tassi di criminalità e una polizia che viene percepita come corrotta. Ecco allora nascere l'idea del "buen retiro" cioè una sana autogestione che tenga lontano dalle famiglie benestanti il resto del mondo (uno di questi genitori finirà poi con il chiedersi cosa racconterà al figlio, una volta cresciuto, che gli chiederà perchè hanno vissuto tutta la vita dietro un muro). Purtroppo come ben sappiamo basta poco a trasformare l'uomo in lupo pronto a sbranare i suoi simili. Allora ci si chiede: è giusto nascondere quanto sta succedendo alla polizia che tanto nulla potrebbe fare perchè corrotta? Sarebbe giusto uccidere un essere umano (perdipiù un ragazzino) per salvaguardare la sopravvivenza stessa della zona? Questi inquietanti interrogativi e lo svolgimento della vicenda porteranno la fragile comunità verso la (auto)distruzione. Ottimo l'esordio alla regia di Pià che si avvale di un ottimo cast e di una sceneggiatura per niente banale che porta alla creazione di un film che in tanti fautori delle ronde e dei grilletti facili dovrebbero sicuramente vedere perchè poi da certi orrori, specialmente quando sono i più piccoli e indifesi a essere coinvolti, non ci si può riprendere come nei casi di linciaggio. Mai.
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salvatore scaglia
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lunedì 29 ottobre 2012
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l'uomo, oltre gli schematismi di ricchi e poveri
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La zona è un'intensa pellicola ambientata in Messico, su una zona, appunto, d'elite, del tutto separata dalla città circostante, in cui imperversano invece miseria ed ingiustizia. Il film è la rappresentazione di una sorta di ghetto al contrario, in cui dei ricchi possidenti vivono auto-barricati: telecamere dappertutto, vigilantes e persino un loro, tracotante, capo della polizia, che si confronta con la polizia del resto della città, dopo che, durante un forte temporale, alcune persone entrano nella "zona" per un furto, che finisce tragicamente nell'omicidio di una benestante e anziana signora. Quando interviene la polizia ufficiale è troppo tardi, anche perchè persino questa, all'inizio apparentemente incorruttibile, scende a patti col diavolo.
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La zona è un'intensa pellicola ambientata in Messico, su una zona, appunto, d'elite, del tutto separata dalla città circostante, in cui imperversano invece miseria ed ingiustizia. Il film è la rappresentazione di una sorta di ghetto al contrario, in cui dei ricchi possidenti vivono auto-barricati: telecamere dappertutto, vigilantes e persino un loro, tracotante, capo della polizia, che si confronta con la polizia del resto della città, dopo che, durante un forte temporale, alcune persone entrano nella "zona" per un furto, che finisce tragicamente nell'omicidio di una benestante e anziana signora. Quando interviene la polizia ufficiale è troppo tardi, anche perchè persino questa, all'inizio apparentemente incorruttibile, scende a patti col diavolo. Il diavolo, già. Poichè anche coloro che scavalcano il muro di cinta, rubano ed uccidono - si scopre successivamente - non sono poi così cattivi. O, almeno, così cattivi da meritare la morte anche da linciaggio di piazza. Qui pare riecheggiare, anche se magari non volutamente per regia e sceneggiatura, l' "ardor civium prava iubentium" - la furia del popolo che chiede, e fa, cose ignominiose - di Storia della colonna infame del Manzoni. Gli "untori" cui dare addosso sono i ladri da povertà, quelli dell'altra città, con cui non dev'esserci nessuno spazio di comunicazione. Pertanto questo è un film sul pregiudizio, il peggiore. Quello da ignoranza voluta: di chi, intenzionalmente, non ha relazioni col diverso, non vuole conoscerlo e, tuttavia, pretende di giudicarlo. E di giustiziarlo. Sommariamente. L'opera cinematografica si profila dunque come un apologo sull'importanza del rapporto interpersonale e tra classi sociali; sull'imprescindibilità del diritto (quello vero, valido per tutti; e non come quello dello statuto che conferisce autonomia alla "zona"); sulla necessità del processo, che assicuri a chiunque le giuste garanzie di difesa. E infine sulla misericordia che è possibile provi un (giovane) ricco per un (giovane) povero: Alejandro e Miguel, che costituiscono una microstoria nella macrostoria del film. Mentre, infatti, i grandi alzano le barricate in una guerra non dichiarata - specialmente dei ricchi verso i poveri -, intessuta di schemi preconcetti, loro due, adolescenti, si parlano e si incontrano come persone umane, nella loro autenticità. Ecco che allora il povero, Miguel, non è più visto attraverso una telecamera di sorveglianza, metafora delle lenti deformanti attraverso cui i maggiorenti guardano ai minus habentes come a mere immagini. Ecco allora che nel contatto reale tra individui in carne ed ossa, con un cuore ed una mente, una luce di speranza squarcia il buio, della povertà (presunto paradigma di malvagità) e dell'opulenza (presunto paradigma di bontà), per far emergere nient'altro che l'uomo. Quale egli è.
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denzel for ever
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martedì 17 luglio 2012
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gran bel film
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è un bel film che nn stanca mai...e fa riflettere molto...da vedere
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splitz
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domenica 20 maggio 2012
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un mondo senza muri è un mondo più umano
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Al mondo, in tutto il mondo, esistono i ricchi e i poveri. In alcuni angoli di mondo, però, il divario tra ricchezza e povertà è abissale. Città del Messico è uno di questi angoli. A Città del Messico i poveri sono troppi, mentre i ricchi sono talmente ricchi che possono permettersi di creare un mondo recintato e protetto, abitato da poche decine di individui e dalle loro famiglie, che possono così essere al sicuro da quella miseria che costringe tutti gli altri a rubare per sopravvivere.
Nella Zona - è questo il nome di questa fortezza circondata da alte mura, filo spinato e cavi elettrici a prova di ladro - le madri possono mandare tranquille a scuola i loro figli, mentre – con i loro mariti architetti, medici e ingegneri – possono condurre una vita agiata e asettica, scandita da precise regole condominiali e decisioni prese a votazione in assemblea.
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Al mondo, in tutto il mondo, esistono i ricchi e i poveri. In alcuni angoli di mondo, però, il divario tra ricchezza e povertà è abissale. Città del Messico è uno di questi angoli. A Città del Messico i poveri sono troppi, mentre i ricchi sono talmente ricchi che possono permettersi di creare un mondo recintato e protetto, abitato da poche decine di individui e dalle loro famiglie, che possono così essere al sicuro da quella miseria che costringe tutti gli altri a rubare per sopravvivere.
Nella Zona - è questo il nome di questa fortezza circondata da alte mura, filo spinato e cavi elettrici a prova di ladro - le madri possono mandare tranquille a scuola i loro figli, mentre – con i loro mariti architetti, medici e ingegneri – possono condurre una vita agiata e asettica, scandita da precise regole condominiali e decisioni prese a votazione in assemblea. Perché la paura è tenuta sotto controllo, perché il pericolo è fuori, perchè nella Zona si è al sicuro.
Ma può capitare che il dentro e il fuori si incontrino, può capitare, per esempio, che una notte un temporale crei per qualche minuto un collegamento tra i due mondi e che tre persone, tra cui un ragazzo di sedici anni, Miguel, varchino il confine tra povertà e ricchezza. Per introdursi in una abitazione ed improvvisare un furto, per essere scoperti dalla padrona di casa, per ucciderla e per essere uccisi dagli abitanti accorsi in aiuto. Tutti tranne uno, Miguel, che riesce a nascondersi ma rimane imprigionato in quel mondo furioso per l’accaduto e mosso da un desiderio di giustizia che è molto più simile alla vendetta.
Gli abitanti della Zona, infatti, decidono di non rivolgersi alla polizia, che pur sospetta qualcosa e cerca di indagare, ma di agire da soli cercando il terzo ladro, ormai chiuso in trappola, convinti che si tratti di un folle assassino di cui sbarazzarsi in base al principio, come dice uno di loro, di “occhio per occhio, dente per dente” e non di un adolescente terrorizzato e pentito.
In questo intreccio di odio ottuso e intolleranza alcuni cercano debolmente di intervenire, ma alla fine si limitano solo a dissentire, senza ostacolare la cieca caccia all’uomo di tutti gli altri. Solo il giovane Alejandro, che inizialmente come i suoi coetanei aderisce alle regole interne della comunità vedendo gli adulti come punto di riferimento etico, riesce a rendersi conto della crudeltà che regna nel mondo di cui fa parte; della corruzione che infesta l’altro mondo, quello al di là dal muro, quello che dovrebbe essere protetto dalla polizia ma in cui la polizia stessa scende tranquillamente a patti per interessi puramente economici. E si ribella, facendo unicamente quello che la sua coscienza gli detta di fare. Lui e Miguel appartengono a due mondi opposti e distanti, ma entrambi accomunati dalla tendenza a reagire con la violenza alla paura, che sia quella di perdere i propri privilegi, che muove gli abitanti della Zona o quella di dover sopravvivere lottando quotidianamente in un mondo di miseria, che spinge a rubare quelli che si trovano “fuori”.
Il suo tentativo di opposizione, anche se vano, accende una speranza in tutti coloro che credono che l’intolleranza si possa combattere solo con il dialogo, l’immedesimazione e la conoscenza del diverso. Perché anche se questa storia è ambientata in un piccolo angolo di mondo, in fin dei conti si svolge tutti i giorni, meno evidente, anche sotto i nostri occhi, e la presa di coscienza di Alejandro può diventare quella di tutti noi, perché un mondo senza paura nè senza muri è, sicuramente, un mondo più umano.
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fradad
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martedì 23 agosto 2011
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apologo intenso e toccante sulla violenza
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Apologo intenso e toccante sulla violenza intesa come isteria collettiva, nonchè fosca ed inquietante metafora sociale, "La zona" è un esempio di come si possa fare centro al primo colpo e senza spese folli se ci sono le idee giuste e la capacità di rappresentarle. I temi, che si intersecano senza creare confusione o ridondanza, sono riconducibili alla degenerazione morale alla quale perviene l'uomo allorquando perde di vista la propria dimensione "sociale" e che, ammantata dietro le patinate villette borghesi, si nutre dell'illusione di poter curare il proprio giardino ignorando quanto c'è fuori. Troppi muri ci hanno insegnato, nella Storia, che isolarsi non serve; troppe tragedie, piccole e grandi, hanno insanguinato l'umanità quando troppo ampio è divenuto il divario tra le fasce sociali e troppo spesso la follia umana ha voluto trovare un capro espiatorio alle proprie inadeguatezze (che si tratti di una minoranza etnica, di una strega da bruciare sul rogo o di un innocente da condannare poco importa).
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Apologo intenso e toccante sulla violenza intesa come isteria collettiva, nonchè fosca ed inquietante metafora sociale, "La zona" è un esempio di come si possa fare centro al primo colpo e senza spese folli se ci sono le idee giuste e la capacità di rappresentarle. I temi, che si intersecano senza creare confusione o ridondanza, sono riconducibili alla degenerazione morale alla quale perviene l'uomo allorquando perde di vista la propria dimensione "sociale" e che, ammantata dietro le patinate villette borghesi, si nutre dell'illusione di poter curare il proprio giardino ignorando quanto c'è fuori. Troppi muri ci hanno insegnato, nella Storia, che isolarsi non serve; troppe tragedie, piccole e grandi, hanno insanguinato l'umanità quando troppo ampio è divenuto il divario tra le fasce sociali e troppo spesso la follia umana ha voluto trovare un capro espiatorio alle proprie inadeguatezze (che si tratti di una minoranza etnica, di una strega da bruciare sul rogo o di un innocente da condannare poco importa). Il dualismo tra adulti/ricchi/corruttori ed adolescenti/poveri/vittime può essere letto con varie chiavi di interpretazione, tutte ugualmente funzionali ed efficaci. Uno spiraglio di luce - forse è improprio parlare di "lieto fine" - squarcia il buio della brutalità del linciaggio nella successiva fuga del giovane protagonista: è la speranza che ci sarà sempre qualcuno capace di "vedere" e di operare scelte consapevoli, rinunciando alle fatue ed asettiche comodità della "zona" per "sporcarsi le mani" nella vita vera.
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britannico
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mercoledì 20 ottobre 2010
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la intolleranza e i muri.
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Film che ci fa comprendere l'inutilità dei muri, e risaputo che solo la integrazione sociale, la solidarietà e la comunicazione risolleva i deboli dalla povertà, la dove l'integrazione sociale è rifiutata, addirittura
arrogandosi la facoltà di interpretare la giustizia, le disperazioni aumentano e conseguentemente anche i fatti criminosi,un po' di speranza nel commissario di polizia che tenterà di ristabilire la legalità ma sarà anchegli travolto dalla corruzione, film duro di denuncia, vita impossibile senza le istituzioni, fa riflettere.
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mario_platonov
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domenica 17 ottobre 2010
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la miseria di una fortezza dorata
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Un interessante film, quasi un piccolo saggio di geografia urbana: il contatto fisico tra la miseria di un quartiere periferico e le comodità (conservate con molta fatica) di un'area residenziale è reso con potenza attraverso il crollo accidentale di un muro. Il punto forte della pellicola è la capacità del regista di mescolare al meglio tutte le fazioni “in gioco”: polizia, abitanti del ghetto dorato, poveri, portano tutti dietro il marchio della paura, della corruzione, dell’assenza di legge. In questa mancanza di punti fissi c’è l’aspetto più significativo, solo in parte scalfito dalla presenza di due personaggi per i quali il regista mostra chiaramente compassione.
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Un interessante film, quasi un piccolo saggio di geografia urbana: il contatto fisico tra la miseria di un quartiere periferico e le comodità (conservate con molta fatica) di un'area residenziale è reso con potenza attraverso il crollo accidentale di un muro. Il punto forte della pellicola è la capacità del regista di mescolare al meglio tutte le fazioni “in gioco”: polizia, abitanti del ghetto dorato, poveri, portano tutti dietro il marchio della paura, della corruzione, dell’assenza di legge. In questa mancanza di punti fissi c’è l’aspetto più significativo, solo in parte scalfito dalla presenza di due personaggi per i quali il regista mostra chiaramente compassione.
Qualche passaggio logico nell’agire di alcuni personaggi (del ragazzino protagonista ad esempio, ma sul finire anche delle forze di polizia) viene un po’ approssimato, ma rimane un’opera potente e disarmante, senza fronzoli o moralismi. La paura dei ricchi costruisce quartieri recintati nelle grandi metropoli del mondo: il film ci suggerisce che la ricerca spasmodica della sicurezza rende meno etica la vita di queste comunità, che scelgono di isolarsi dalla miseria perdendo di vista, in alcuni casi, i valori più basilari dell'agire umano.
Ampiamente promosso.
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chiarialessandro
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giovedì 11 giugno 2009
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storie di ordinaria disperazione
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Quando finisce la pellicola e senti l’urgenza, la necessità di scrivere un commento; quando finisce lo spettacolo e ti chiedi (sconsolato), come mai è già finito; quando ti sembra di essere stato inchiodato alla sedia con la convinzione che non ti saresti alzato nemmeno se fosse arrivato un leone; quando il tempo è volato con la rapidità della saetta che attraversa il cielo nella notte tempestosa, significa che hai visto un gran bel film anche se, masticando, senti un senso di amaro talmente forte in bocca da rimanerci appiccicato per molto tempo ancora. Regista a me sconosciuto; interpreti anche; storia avvincente che, pur non approfondendoli, fa toccata e fuga su tanti argomenti: ricchezza (esagerata?), paradiso, inferno, povertà, miseria, degrado, corruzione, delirio di onnipotenza, violenza, presunzione, giustizia fai da te, giustizia usa e getta.
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Quando finisce la pellicola e senti l’urgenza, la necessità di scrivere un commento; quando finisce lo spettacolo e ti chiedi (sconsolato), come mai è già finito; quando ti sembra di essere stato inchiodato alla sedia con la convinzione che non ti saresti alzato nemmeno se fosse arrivato un leone; quando il tempo è volato con la rapidità della saetta che attraversa il cielo nella notte tempestosa, significa che hai visto un gran bel film anche se, masticando, senti un senso di amaro talmente forte in bocca da rimanerci appiccicato per molto tempo ancora. Regista a me sconosciuto; interpreti anche; storia avvincente che, pur non approfondendoli, fa toccata e fuga su tanti argomenti: ricchezza (esagerata?), paradiso, inferno, povertà, miseria, degrado, corruzione, delirio di onnipotenza, violenza, presunzione, giustizia fai da te, giustizia usa e getta. Cupo, disperato, decadente, senza nemmeno un barlume di speranza. In qualche momento potrebbe sembrare di essere a casa nostra.
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petronius arbiter
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sabato 9 maggio 2009
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da vedere
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Da vedere non c'e' che dire. Non ho capito bene il finale pero';lui va si' a seppellire il ragazzino ma in fondo non da retta alla povera madre che aspetta notizie del figlio fuori della zona,e non solo non dimostra particolare partecipazione alle furtive esequie ma alla fine se la gode mangiandosi un ricco taco alla bancarella all'angolo. Non so...io l'ho interpretato come un finale sarcastico e amarognolo piuttosto che come la ribellione al padre e al sistema.
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