Elisa

Un film di Leonardo Di Costanzo. Con Barbara Ronchi, Roschdy Zem, Diego Ribon, Valeria Golino.
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Drammatico, durata 105 min. - Italia 2025. - 01 Distribution uscita venerdì 5 settembre 2025. MYMONETRO Elisa * * * 1/2 - valutazione media: 3,55 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il primo è stato Caino Valutazione 3 stelle su cinque

di Clara Stroppiana


Feedback: 2429 | altri commenti e recensioni di Clara Stroppiana
venerdì 10 ottobre 2025

A distanza di quattro anni da Ariaferma, Di Costanzo torna sugli schermi con un altro film girato in un carcere. Qui però lo sfondo, la prospettiva ed i temi affrontati sono diversi. Non più le relazioni tra "guardie e ladri" in dinamica evoluzione, pronte a deflagrare di fronte al mutare delle circostanze e dei rapporti di forza. Al posto del vecchio carcere maschile, fatiscente e in fase di dismissione, al posto degli ambienti claustrofobici dove l'aria e le ore sono ferme, la struttura è un bell'edificio immerso in un bosco che dà ritmo al tempo attraverso lo scorrere delle stagioni, le detenute abitano in miniappartamenti, il personale di sorveglianza è formato per assistere e aiutare anziché reprimere.
Fin dalla prima scena viene dichiarato non solo il tema che il criminologo, interpretato in modo convincente da Roshdy Zen, affronterà nei suoi seminari, ma anche il risultato che si propone di raggiungere con le detenute che saranno disponibili a collaborare alla sua ricerca. Quasi una premessa al film, prima dei titoli di testa: il male va guardato nella sua componente di umanità non per essere giustificato né assolto, e neppure giudicato, ma come necessaria presa di consapevolezza per approdare al suo superamento. Una tesi che arriva dagli studi di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali che nel libro Io volevo ucciderla raccontano il percorso fatto con una giovane donna responsabile dell’omicidio della sorella. Il film si ispira dunque a un fatto vero, accaduto nel comasco nel 2009.  Attraverso i flashback  scopriamo che alle spalle di Elisa (nome di fantasia) non ci sono un ambiente marginale, un tessuto sociale fragile, una famiglia disfunzionale nei quali in un qualche modo si possano rintracciare le cause del comportamento criminale. Il regista insinua nello spettatore il dubbio che forse sia necessario liberarci dagli stereotipi  positivi per guardare quella famiglia borghese, benestante e “normale”, entrare nelle sue dinamiche sotterrane, tra le mura dove quel delitto oscuro si è originato e non eludere l’angolo buio dentro ognuno di noi.
Nel presente Elisa è in carcere. La camera la segue nelle “libere” passeggiate nel bosco. Cammina svelta, decisa, come chi debba raggiungere una meta, ma i suoi passi sono costretti a fermarsi davanti al recinto che delimita il carcere, così come la sua psiche si è bloccata di fronte al crimine commesso  che un’amnesia ha rimosso dalla coscienza. Distoglie lo sguardo dalla telecamera di sorveglianza  e si allontana come se quell’occhio potesse frugarle dentro e scoprire le verità nascoste. Attraversa il bosco nella divisa rossa delle detenute e sembra la Cappuccetto della fiaba. Ma il lupo che la bambina incontra, Elisa lo ha già dentro di sé.  Una donna mite e gentile che ha pianificato e portato a termine l’uccisione della sorella con determinazione.  
In uno dei primi incontri il criminologo pone l’accento sul linguaggio. L’omicidio non può essere nascosto dietro il termine generico e assolutorio: “i fatti”. Per prenderne coscienza è necessario cominciare a chiamarlo con il suo nome. Le parole hanno importanza in questo che è un film di parola dove i dialoghi rappresentano l’elemento portante dello sviluppo narrativo. Anche il bilinguismo, l’italiano parlato in famiglia e il francese negli scambi tra Elisa e il ricercatore, apparentemente giustificato dall’ambientazione in Svizzera, ha una motivazione non tanto geografica quanto di distacco tra un dove e un altrove. “Parole che diventano privilegio del reo mentre la vittima non ha più voce” accusa una madre (Valeria Golino) che non è riuscita a trovare l’umanità con cui guardare gli assassini del figlio. Una voce necessaria che, a mio avviso, non ha la giusta collocazione in quella breve sequenza che interrompe la fluidità di una sceneggiatura, per altro ottima, firmata dallo stesso Di Costanzo insieme a Bruno Oliviero e Valia Santella, già suoi collaboratori per Ariaferma. Intensa  Barbara Ronchi in una prova non facile. Spesso ripresa in primi e primissimi piani ci scuote con la profondità nera del suo animo, in cui si insinuano  dolore, smarrimento, verità e menzogna fino alla presa di coscienza finale: nessuna amnesia.

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