ludovico morandi
|
mercoledì 8 marzo 2023
|
mendes non riesce a trasmettere i temi trattati.
|
|
|
|
Film del 2022 scritto e diretto da Sam Mendes, ambientato nel 1980 in Inghilterra il film racconta la vita di Hilary Small, direttrice di un cinema sulla costa orientale. Essa soffre di depressione ma l'incontro con Stephen, il nuovo bigliettaio, sembra dargli una nuova energia.
Il film brilla di una fotografia ammaliante dall'alta vividezza e una regia che (esteticamente) lascia respirare molto l'immagine ma oltre a questo non riesce ad arrivare allo spettatore.
La sceneggiatura non rende chiaro che strade vuole intraprendere e quando lo fà, non riesce a comunicarle con forza fecendole rimanere scialbe, per via di una scrittura dei personaggi non funzionante e di una regia poco ispirata.
[+]
Film del 2022 scritto e diretto da Sam Mendes, ambientato nel 1980 in Inghilterra il film racconta la vita di Hilary Small, direttrice di un cinema sulla costa orientale. Essa soffre di depressione ma l'incontro con Stephen, il nuovo bigliettaio, sembra dargli una nuova energia.
Il film brilla di una fotografia ammaliante dall'alta vividezza e una regia che (esteticamente) lascia respirare molto l'immagine ma oltre a questo non riesce ad arrivare allo spettatore.
La sceneggiatura non rende chiaro che strade vuole intraprendere e quando lo fà, non riesce a comunicarle con forza fecendole rimanere scialbe, per via di una scrittura dei personaggi non funzionante e di una regia poco ispirata.
I personaggi hanno infatti una personalità che sembra precostruita e che quindi fatica ad acquisire credibilità agli occhi dello spettatore,
facendoli risultare abbastanza finti. Essi si salvano solo grazie alla straordinaria interpretazione di Olivia Colman e quella buona di Micheal Ward.
La regia invece non dà l'impatto che il regista voleva trasmettere nelle scene chiave degli argomenti affrontati, cosa difficile visto un forte tema come il razzismo che dà man forte già di suo. Il risultato, aggiunto ad un'inefficace sceneggiatura, è il senso di noia e di poco trascinamento nella visione, anche per colpa di una messa in scena non ben costruita.
In più tra i due attori , nonostante la loro interpetazione, manca affinità. Probabilmente il regista voleva trovare originalità in una coppia fuori dalle solite ma i due non funzionano insieme, esteticamente e idealmente, di nuovo per via della sceneggiatura ove anche qui, non esprime la passione che avrebbe dovuto far soprassedere all'ovvia apparenza di diversità e distanza tra loro.
E' dunque un film sufficiente che si lascia guardare anche grazie alle interpretazioni e ad una bella resa dell'immagine, per il resto forse uno dei peggiori di Mendes.
[-]
[+] piacevole ma poco incisivo
(di antonio montefalcone)
[ - ] piacevole ma poco incisivo
|
|
[+] lascia un commento a ludovico morandi »
[ - ] lascia un commento a ludovico morandi »
|
|
d'accordo? |
|
paolp78
|
domenica 12 marzo 2023
|
riflessioni impegnative e conformismo
|
|
|
|
Pellicola sentimentale con risvolti drammatici, diretta magistralmente sul piano formale dal bravissimo Sam Mendes, che con quest’opera torna ad un cinema complesso molto simile a quello della sua pellicola d’esordio, “American Beauty”, dal quale invece l’autore inglese si era distaccato con i film più recenti.
Mendes tratta tematiche di impegno sociale e denuncia civile, tanto di moda oggi, utilizzandole come spunto per riflessioni alte che sono il vero obiettivo del regista; la pellicola parla più di stati mentali come la solitudine, l’emarginazione e la depressione, piuttosto che di mobbing, razzismo o malattie mentali. Mendes mira ambiziosamente a indagare il senso della vita ed a spiegare come deve essere affrontata, in particolare quando si è di fronte alle difficoltà che questa immancabilmente pone sul cammino di ognuno.
[+]
Pellicola sentimentale con risvolti drammatici, diretta magistralmente sul piano formale dal bravissimo Sam Mendes, che con quest’opera torna ad un cinema complesso molto simile a quello della sua pellicola d’esordio, “American Beauty”, dal quale invece l’autore inglese si era distaccato con i film più recenti.
Mendes tratta tematiche di impegno sociale e denuncia civile, tanto di moda oggi, utilizzandole come spunto per riflessioni alte che sono il vero obiettivo del regista; la pellicola parla più di stati mentali come la solitudine, l’emarginazione e la depressione, piuttosto che di mobbing, razzismo o malattie mentali. Mendes mira ambiziosamente a indagare il senso della vita ed a spiegare come deve essere affrontata, in particolare quando si è di fronte alle difficoltà che questa immancabilmente pone sul cammino di ognuno.
L’opera è però poco potente; troppo attentata a conformarsi al politically correct imperante, perde di vista il piano narrativo, dove risulta poco incisiva ed incapace di coinvolgere sufficientemente lo spettatore che non è portato a provare forte empatia per i personaggi.
La narrazione segue un ritmo volutamente lento che acuisce l’effetto alquanto malinconico e dimesso, già determinato dall’oggetto della rappresentazione. Questo non è un difetto, a mio avviso, bensì una pregevole scelta stilistica di Mendes che si sposa bene nel contesto d’insieme della pellicola
Ottime le interpretazioni, su tutte quella della bravissima Olivia Colman protagonista e mattatrice assoluta grazie ad una performance di rara intensità. Come al solito eccellente Colin Firth, che seppur in una parte minore lascia il segno ben più del giovane Micheal Ward a cui tocca il ruolo maschile più importante. Tra gli altri interpreti si ricorda l’ottimo caratterista Toby Jones, che se la cava alla grande anche stavolta.
Impeccabile la tecnica registica di Mendes, che conferma il davvero altissimo livello a cui ormai ci ha abituato.
Come in “American Beauty” la pellicola è ambientata in provincia, in questo caso una cittadina della costa meridionale inglese; soluzione assolutamente molto azzeccata ed evidentemente nelle corde del regista britannico.
Felice anche la scelta di collocare la storia nei primi anni ’80, messi in scena in modo assai convincente.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a paolp78 »
[ - ] lascia un commento a paolp78 »
|
|
d'accordo? |
|
gabriella
|
sabato 22 aprile 2023
|
la vita è uno stato mentale
|
|
|
|
Un'altra dichiarazione d'amore al cinema, una forma più sommessa di Chazelle e meno spettacolare di Spielberg, del resto, nel film di Sam Mendes la vicenda è ambientata negli anni 80, in una cittadina del Kent, nel Regno unito, periodo turbolento dal punto di vista politico e sociale, una crisi reale e percepita che fotografa l'identità smarrita di un popolo. Un'aria di decadenza che si manifesta anche all’Empire , dove si svolge l'intreccio narrativo, una sala cinematografa sul lungomare , luogo di lavoro di Hilary, una cinquantenne con problemi di depressione, sola, fragile, emotiva, fintanto non arriva Steven , un ragazzo nero che l’affiancherà nella biglietteria del cinema.
[+]
Un'altra dichiarazione d'amore al cinema, una forma più sommessa di Chazelle e meno spettacolare di Spielberg, del resto, nel film di Sam Mendes la vicenda è ambientata negli anni 80, in una cittadina del Kent, nel Regno unito, periodo turbolento dal punto di vista politico e sociale, una crisi reale e percepita che fotografa l'identità smarrita di un popolo. Un'aria di decadenza che si manifesta anche all’Empire , dove si svolge l'intreccio narrativo, una sala cinematografa sul lungomare , luogo di lavoro di Hilary, una cinquantenne con problemi di depressione, sola, fragile, emotiva, fintanto non arriva Steven , un ragazzo nero che l’affiancherà nella biglietteria del cinema. Tra i due si instaura una tenera storia d’amore, due storie di emarginazione che si riconoscono e si soccorrono, rigettando per un po' le afflizioni della vita, la precaria salute mentale di lei e l’umiliazione di accettare uno squallido rapporto sessuale con il suo capo .e i rigurgiti di un razzismo ancora serpeggiante , tanto da non essere accettato al college, di lui. L’Empire diventa il loro luogo d’incontro, il piano superiore, la piccionaia che protegge la clandestinità della loro relazione, incorniciati da una splendida e morbida fotografia , ma mentre Hilary rifiuta di assistere ala proiezione di qualsiasi film , Steven invece manifesta curiosità e interesse che saranno soddisfatte dal macchinista ( un bravissimo Toby Jones), che gli aprirà la stanza delle proiezioni, e nel contempo aprirà la porta allo spettatore per assistere ancora una volta alla magia del cinema, alla meraviglia del susseguirsi delle immagini, alla loro forza evocativa e salvifica. Ancora una volta la mente ci riporta a Tornatore e al suo “Nuovo cinema Paradiso , al burbero Alfredo, disposto a sacrificare ogni cosa per l’amore della settima arte, perché solo sognando si può raggiungere l’impossibile, l’inesplorato, così anche Hilary alla fine siederà su quella poltrona, al buio, con l’incanto nello sguardo, come Sam, come Salvatore, per lei diventa riparo dalla solitudine, fuga dalla realtà, dolcezza dell’esistere. Forse il film di Mendes non è perfetto, forse lavora un tantino troppo di sottrazione, ma la storia commuove nel profondo, i destini dei due protagonisti tengono vigile lo spettatore, per due ore viviamo in quell’elegante sala retrò, mentre il mondo fuori è in subbuglio. Olivia Colman ci regala un’altra struggente interpretazione, con quella endemica malinconia negli occhi e quell’imprevedibile ironia ches alta fuori quando meno te lo aspetti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gabriella »
[ - ] lascia un commento a gabriella »
|
|
d'accordo? |
|
felicity
|
giovedì 13 giugno 2024
|
un film toccante sul prendersi cura
|
|
|
|
Empire of Light è una storia toccante sugli incontri che cambiano la vita
Ispirandosi alla vicenda di sua madre, Sam Mendes firma un film sul prendersi cura, sulla malattia mentale e sulla magia del grande schermo e torna a posare lo sguardo sul passato per fare i conti col presente, raccontando un piccolo melodramma ambientato nella multisala Odeon di una cittadina inglese, da cui i personaggi osservano l'abbrutimento che attraversava il paese durante il governo Thatcher e riecheggia ancora oggi.
Anziché scrivere una lettera d’amore al cinema, il regista sembra contrapporre piuttosto il romanticismo della coppia con la cinica indifferenza dell’industria culturale, incapace di entrare veramente nel dibattito etico di quei tempi e dei nostri.
[+]
Empire of Light è una storia toccante sugli incontri che cambiano la vita
Ispirandosi alla vicenda di sua madre, Sam Mendes firma un film sul prendersi cura, sulla malattia mentale e sulla magia del grande schermo e torna a posare lo sguardo sul passato per fare i conti col presente, raccontando un piccolo melodramma ambientato nella multisala Odeon di una cittadina inglese, da cui i personaggi osservano l'abbrutimento che attraversava il paese durante il governo Thatcher e riecheggia ancora oggi.
Anziché scrivere una lettera d’amore al cinema, il regista sembra contrapporre piuttosto il romanticismo della coppia con la cinica indifferenza dell’industria culturale, incapace di entrare veramente nel dibattito etico di quei tempi e dei nostri.
La riflessione si traduce però in una costruzione retorica, schematica e povera di mordente, dove le storie dei protagonisti appaiono sacrificate per realizzare un disegno più ampio, ma privo di emozioni, con buona pace del registro suggestivo e sospeso della prima parte.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a felicity »
[ - ] lascia un commento a felicity »
|
|
d'accordo? |
|
francesca meneghetti
|
giovedì 17 agosto 2023
|
due oscar a olivia colman e a roger deakins
|
|
|
|
Quando vidi il trailer, mi attrasse la fotografia, che enfatizzava la vista sul lungomare, a partire da un cinema in decadenza, l’Empire. Si intuiva poi che questa era la scena in cui si sviluppava una storia d’amore tra due persone molto diverse tra loro, entrambe segnate dalla solitudine: Hilary, vicedirettrice dell’Empire, cinquantenne, e Steven, un giovane nero che non è riuscito a entrare nel college. Poi, che si voleva rendere omaggio alla magia del cinema, come hanno fatto altri registi prima di Sam Mendes (Tornatore, Spielberg…).
La visione del film in parte conferma le aspettative, in parte no. Dieci e lode, anzitutto, alla fotografia di Roger Deakins (candidato all’Oscar).
[+]
Quando vidi il trailer, mi attrasse la fotografia, che enfatizzava la vista sul lungomare, a partire da un cinema in decadenza, l’Empire. Si intuiva poi che questa era la scena in cui si sviluppava una storia d’amore tra due persone molto diverse tra loro, entrambe segnate dalla solitudine: Hilary, vicedirettrice dell’Empire, cinquantenne, e Steven, un giovane nero che non è riuscito a entrare nel college. Poi, che si voleva rendere omaggio alla magia del cinema, come hanno fatto altri registi prima di Sam Mendes (Tornatore, Spielberg…).
La visione del film in parte conferma le aspettative, in parte no. Dieci e lode, anzitutto, alla fotografia di Roger Deakins (candidato all’Oscar). Corrisposta l’aspettativa su una love story che, se poteva essere trasgressiva rispetto a certi canoni tradizionali, relativi all’età e all’etnia dei membri della coppia, ha finito per essere canonica e scontata nel cinema “trasgressivo”. Ma la riscatta la straordinaria interpretazione di Olivia Colman, mentre di Michal Ward si può dire soprattutto che è un bel ragazzo. Tuttavia non è una vicenda di fast sex: c’è molta empatia, comunicazione, tenerezza tra le due creature.
Ma è tempo di accennare alla storia. Siamo nell’Inghiterra (Devon? Kent?) dei primi anni ’80. Vale a dire governo Thatcher, recessione, tensioni razziali. L’Empire ha conosciuto tempi migliori, come testimoniano delle sale abbandonate, una anche con funzione di bar, con vetrate sull’oceano. La dirige Donald Ellis (Colin Firth), ma a coordinare la squadra affiatata di dipendenti, tra cui si rileva una ragazza punk, secondo i tempi, è Hilary, con un passato difficile alle spalle (ma quando mai i protagonisti dei film hanno avuto un’infanzia felice?), impegnata a contrastare, oltre alla solitudine, la depressione. Della sua fragilità si approfitta naturalmente il direttore. L’entrata in scena di Steven, neoassunto, determina cambiamenti sia nelle relazioni tra i personaggi, perché lui e Hilary si intendono al volo, sia nel quadro tematico, dove irrompe l’elemento razziale, che ha dei momenti iconici (la scena del cliente che non accetta che Steven gli proibisca di entrare, come da protocollo, con il cartoccio di patatine), e altri momenti drammatici più scontati.
La mia impressione è che la sceneggiatura sia sovraccarica e che comporti delle sequenze troppo lunghe e insistite, così da far sentire allo spettatore il tempo che passa. Però l’interpretazione di Olivia Colman, qui ingolfata in abiti larghi, un po’ sovrappeso, capelli trasandati, è da Oscar (ma è molto bravo anche il caratterista Toby Jones). Idem la fotografia.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a francesca meneghetti »
[ - ] lascia un commento a francesca meneghetti »
|
|
d'accordo? |
|
eugenio
|
mercoledì 8 marzo 2023
|
l’amore di sam mendes per il cinema
|
|
|
|
Il tempo che passa e l’aura dannata del cinema con le sue pellicole in grado di fermare in maniera immemore qualcosa che scorre via ineluttabile. Sam Mendes e il suo omaggio al cinema, che fa un po' come il fabelmans di Spielberg senza autocitarsi e in fondo risultando più vero, i sommi capi di un Empire of light, sua ultima fatica.
Siamo sulle coste meridionali dell’Inghilterra, a Margate nei primi anni Ottanta. Là nella contea nel Kent, vicino a Londra, in un non luogo vacanziero per la natura salina delle sue spiagge, ventoso e freddo nei mesi estivi, sta proprio l’Empire of Light, un cinema simbolo in declino.
Superstite alla crisi in un’Inghilterra permeata dal razzismo, il maestoso ambiente dal vago sapore liberty e art decò, sopravvive con due piccole salette organizzate da Mister Ellis (Colin Firth) e soprattutto da Hilary Small (una convincente Olivia Colman), una segretaria reduce da un esaurimento nervoso, depressa, irosa e dedita al solo lavoro con una relazione sessuale assai problematica.
[+]
Il tempo che passa e l’aura dannata del cinema con le sue pellicole in grado di fermare in maniera immemore qualcosa che scorre via ineluttabile. Sam Mendes e il suo omaggio al cinema, che fa un po' come il fabelmans di Spielberg senza autocitarsi e in fondo risultando più vero, i sommi capi di un Empire of light, sua ultima fatica.
Siamo sulle coste meridionali dell’Inghilterra, a Margate nei primi anni Ottanta. Là nella contea nel Kent, vicino a Londra, in un non luogo vacanziero per la natura salina delle sue spiagge, ventoso e freddo nei mesi estivi, sta proprio l’Empire of Light, un cinema simbolo in declino.
Superstite alla crisi in un’Inghilterra permeata dal razzismo, il maestoso ambiente dal vago sapore liberty e art decò, sopravvive con due piccole salette organizzate da Mister Ellis (Colin Firth) e soprattutto da Hilary Small (una convincente Olivia Colman), una segretaria reduce da un esaurimento nervoso, depressa, irosa e dedita al solo lavoro con una relazione sessuale assai problematica.
Hilary, abituata a gridare la verità a chiunque, riservata e riottosa, ferita da eventi e in cura dal medico col litio, si innamora del nuovo venuto, l’afroamericano Stephen (Michal Ward) assai più giovane di lei, nonostante il razzismo, piega endemica del conservatorismo e l’incedere del governo Thatcher con male parole di fondo a rendere più spregevole il tutto.
Eppure, l’amore, tra le spire di quei biglietti staccati al cinema, sembra non conoscere età. La relazione segreta tra Hilary e Stephen, fragile come canna al vento, percorre le vie di un incerto travaglio, di alti e bassi sereni tra soffitte polverose con cura di uccelli feriti e passeggiate a lanciar sassi sulla infinita battigia. Ma le nubi sono all’orizzonte e non potranno che generare tifoni e ricadute devastanti, dinanzi alle prime difficoltà e in fondo, dei mutamenti necessari per ridestare l’anima intorpidita verso una nuova vita.
Sam Mendes, col pretesto di una storia d’amore tra le luci di un mondo, dotato di entità propria e avulso dalle rivoluzioni sociali dell’Inghilterra dei primi anni Ottanta, in primis, il violento movimento skin-head a fatica represso, delinea il suo amore incondizionato per il cinema, prodigio salvifico dal razzismo e dalla distorsione sociale. E lo fa col personaggio meticcio di Hilary, una Olivia Colman, in stato di grazia, malinconica, struggente alla strenua ricerca di una vitalità rabbiosa figlia di un cuore ferito.
La scelta fotografica e la voce fuori campo a rendere un po' retorica e autocompiaciuta nella sua vena fragile, la lectio di un paio d’ore, sono i difetti di forma che, poco importano, volano via leggeri se poesie del calibro di Philip Larkin (Gli alberi), risultano azzeccate al contesto.
Là, nel trucco annuale dei germogli veri dove si dibattono, inquieti castelli ancora grandi e folti a ogni maggio. Dove morto è l’anno passato, sembrano dire, e s’incomincia di nuovo e daccapo ancora, pare vivere l’anima ambivalente di Empire of light, atto d’amore per la settima arte nell’aridità di soprusi maschili, sincero quanto stabilmente vitale.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|
|
d'accordo? |
|
|