A volte nel buio prendono forma le ombre delle nostre paure, strisciano i mostri e i demoni delle leggende ascoltate mille volte accanto al fuoco, tramandate da padre in figlio. Leggende dove il confine tra realtà e mito è un velo permeabile. L'opera è simile a un primordiale film dell’orrore, fortemente legato alle origini letterarie del gotico e del fantastico. Girato a Cicala, Presila catanzarese, un luogo geograficamente e cinematograficamente evocativo, assume in tempi rapidissimi fin dalle prime sequenze un’identità espressiva, tematica e stilistica ben precisa con risultati di insolito impatto artistico. Volti intensi scorrono senza profferire parola come in un film muto, ai film degli esordi infatti somiglia come intensità espressiva e pittorica.
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A volte nel buio prendono forma le ombre delle nostre paure, strisciano i mostri e i demoni delle leggende ascoltate mille volte accanto al fuoco, tramandate da padre in figlio. Leggende dove il confine tra realtà e mito è un velo permeabile. L'opera è simile a un primordiale film dell’orrore, fortemente legato alle origini letterarie del gotico e del fantastico. Girato a Cicala, Presila catanzarese, un luogo geograficamente e cinematograficamente evocativo, assume in tempi rapidissimi fin dalle prime sequenze un’identità espressiva, tematica e stilistica ben precisa con risultati di insolito impatto artistico. Volti intensi scorrono senza profferire parola come in un film muto, ai film degli esordi infatti somiglia come intensità espressiva e pittorica.
Un villaggio speduto, un bosco, un pugno di abitanti legati da un forte senso di appartenza, una voce bambina narrante che colma la quasi totale assenza dei dialoghi.
Si resta senza parole perché ci sono cose che non riusciamo a capire. È lo stato d’animo di chi resta stupito o allibito.
Senza parole perché queste cose il regista prova a esprimerle con le immagini, attraverso lo sguardo della macchina da presa osserva il mondo che lo circonda, o che è dentro di lui.
Il silenzio del film è il luogo oscuro per eccellenza della paura i cui sussurri e sospiri ospitano nell’ombra inquietudini che fanno trasalire gli abitanti. L’arrivo degli “Stranieri” è solo un’altra calamità. Malsani nell’aspetto, ricoperti di strisce di stoffa sanguinanti, condannati a una crescente decomposizione, vagano di notte alla ricerca di sangue. Cure contadine e antichi rituali non riusciranno ad arginare l’oscuro male che trasmettono col loro morso infetto. Non basterà il paletto di legno conficcato con sadiche martellate dal medico del villaggio nel cuore delle vittime malcapitate, per arginare il morbo che si espande a macchia d’olio nel sangue e nell’animo stesso dei miseri abitanti del paese. Ancor prima che un film dell’orrore è un film sul disagio, sulla potenza del Male e sulla fragilità del Bene, sulla consacrazione di un Destino malvagio quasi a guisa di Divinità, le cui azioni sono imperscrutabili quanto crudeli, storie dettate da una sfiducia assoluta nel lieto fine, un’angoscia diffusa anche nei più lievi gesti del quotidiano, ma anche della trasposizione degli oggetti più usuali al rango di protagonisti delle vicende, le poche, piccole cose di cui “era fatto il mondo tanto tempo fa”, e infine, dell’immanenza della malasorte sulle misere vite umane.
Come urla rapaci nel buio, la musica rapisce, accompagna, allerta, scorre copiosa come il sangue dalle ferite inferte dai morsi o dalle lame. Una musica composta dallo stesso Scalzi che è quasi presenza fisica, si raggruma nelle ombre del film e si rapprende nel passaggio da un capitolo all’altro.
Il regista rappresenta per suoni e immagini le paure tipiche degli incubi dell’infanzia e delle leggende contadine. La sua cifra distintiva è espressionista, ossia espressione del proprio sentire interiore. Il gesto del suo cinema è spesso innaturale perché diventa codice, come nel cinema muto. La voce narrante ne diviene la ridondante didascalia. Rapiti da un magnetismo arcano, suggestionati dall’intensità degli sguardi e ammaliati dal diffuso simbolismo disseminato come pulviscolo fremente in lame di luce, siamo trascinati nel buio silente. Così, a volte nel buio, restiamo tutti ad ascoltare “devotamente ogni silenzio come la parola che vi è sempre mancata”.
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