writer58
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domenica 4 giugno 2023
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film visti nel 2020: minari +4 altri
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Nel 2020 il Covid ha spazzato via, oltre che le nostre vite sociali, ridotte a meri scambi virtuali o contatti distanti mediati da mascherine e guanti, anche l’industria cinematografica, costretta a rimandare anche di due anni la produzione e la presentazione delle opere e a congelare progetti già avviati. Nella mia ricerca di film visti e non recensiti in quel periodo sono riuscito a trovare solo 5 titoli, probabilmente usciti l’anno dopo, film che sicuramente non rimarranno nella storia del cinema.
Un altro giro,del danese Vinterberg, che racconta l’esperimento di un gruppo di amici che decidono di assumere alcool in modo controllato (e a dosi progressivamente crescenti) come rimedio al grigiore esistenziale che li avviluppa, fino a che rischieranno seriamente di contrarre una dipendenza alcolica;
Rifkin’s festival, un film di Woody Allen in trasferta al Festival di San Sebastian, in cui un critico cinematografico ipocondriaco e ultra sessantenne scopre la relazione tra sua moglie e un regista presuntuoso e narcisista;
Il ritratto del Duca, di Roger Michell, un lavoro garbato e inessenziale su un pensionato che ruba un quadro di Francisco Goya per ottenere denaro da spendere in beneficienza;
L’incredibile storia dell’isola delle rose, visto su Netflix, di Sidney Sibilia, un film che narra una vicenda così inverosimile da sembrare assurda, eppure realmente accaduta: La costruzione di una piattaforma al largo delle coste emiliane e fuori dalle acque territoriali italiane chiamata “isola delle rose”.
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Nel 2020 il Covid ha spazzato via, oltre che le nostre vite sociali, ridotte a meri scambi virtuali o contatti distanti mediati da mascherine e guanti, anche l’industria cinematografica, costretta a rimandare anche di due anni la produzione e la presentazione delle opere e a congelare progetti già avviati. Nella mia ricerca di film visti e non recensiti in quel periodo sono riuscito a trovare solo 5 titoli, probabilmente usciti l’anno dopo, film che sicuramente non rimarranno nella storia del cinema.
Un altro giro,del danese Vinterberg, che racconta l’esperimento di un gruppo di amici che decidono di assumere alcool in modo controllato (e a dosi progressivamente crescenti) come rimedio al grigiore esistenziale che li avviluppa, fino a che rischieranno seriamente di contrarre una dipendenza alcolica;
Rifkin’s festival, un film di Woody Allen in trasferta al Festival di San Sebastian, in cui un critico cinematografico ipocondriaco e ultra sessantenne scopre la relazione tra sua moglie e un regista presuntuoso e narcisista;
Il ritratto del Duca, di Roger Michell, un lavoro garbato e inessenziale su un pensionato che ruba un quadro di Francisco Goya per ottenere denaro da spendere in beneficienza;
L’incredibile storia dell’isola delle rose, visto su Netflix, di Sidney Sibilia, un film che narra una vicenda così inverosimile da sembrare assurda, eppure realmente accaduta: La costruzione di una piattaforma al largo delle coste emiliane e fuori dalle acque territoriali italiane chiamata “isola delle rose”. Struttura che, nelle intenzioni del suo costruttore, l’ingegnere Giorgio Rosa doveva diventare un ministato indipendente riconosciuto dal Consiglio d’Europa e, infine;
Minari,la storia di una famiglia coreana che si trasferisce in Arkansas per coltivare la terra e provare a dare un nuovo inizio alle loro vite nel crogiolo di migrazioni e identità che percorrono il midwest americano. Il regista Lee Isaac Chung, di origini sud coreane, ma nato negli Usa, tratteggia il percorso famigliare con sensibilità e misura, senza omettere le difficoltà del rapporto tra culture diverse e gli approcci opposti della nonna, legata alla tradizione, e del nipote, incline ad accettare i valori e le mitologie del sogno americano.
Probabilmente quest’ultima la proposta migliore in un anno di grande penuria.
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felicity
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lunedì 21 febbraio 2022
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racconto bucolico e minimalista
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Minari è il film da vedere per risollevarsi in questi tempi bui. La saga familiare, ispirata all'autobiografia del regista coreano-americano, è un racconto bucolico e minimalista di poetica autenticità e soave ottimismo.
Minari descrive gli sforzi di una famiglia coreana in difficoltà economiche mettendo in scena una storia che descrive i valori della cultura coreana con gli stilemi del cinema americano indipendente.
Minari è una saga familiare dai toni placidi: il regista Lee Isaac Chung prende le distanze da uno stile narrativo melodrammatico o troppo impetuoso nel mettere in scena conflitti e frustrazioni degli Yi.
Lee riesce a farci investire emotivamente sui protagonisti senza che ce ne accorgiamo, dimostrando che si può raccontare il dramma senza toni clamorosi, ovvero senza scegliere la via più facile e d’effetto del melodramma.
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Minari è il film da vedere per risollevarsi in questi tempi bui. La saga familiare, ispirata all'autobiografia del regista coreano-americano, è un racconto bucolico e minimalista di poetica autenticità e soave ottimismo.
Minari descrive gli sforzi di una famiglia coreana in difficoltà economiche mettendo in scena una storia che descrive i valori della cultura coreana con gli stilemi del cinema americano indipendente.
Minari è una saga familiare dai toni placidi: il regista Lee Isaac Chung prende le distanze da uno stile narrativo melodrammatico o troppo impetuoso nel mettere in scena conflitti e frustrazioni degli Yi.
Lee riesce a farci investire emotivamente sui protagonisti senza che ce ne accorgiamo, dimostrando che si può raccontare il dramma senza toni clamorosi, ovvero senza scegliere la via più facile e d’effetto del melodramma. Minari eccelle proprio in questa sua autenticità fatta di piccole situazioni quotidiane suggerite dal passato dell’autore.
Il cibo rappresenta il punto fondamentale di separazione tra le due culture, quella asiatica e quella americana (i prodotti alimentari di Jacob sono richiesti solo dai compaesani, mantengono il legame con gli altri immigrati ma sono anche l'ostacolo all’assimilazione con gli altri). Il vero punto di contatto è, invece la religione: gli Yi, cominciando a frequentare la chiesa locale (quasi la metà dei coreani credenti sono cristiani) si avvicinano finalmente agli altri americani al di fuori del rassicurante ed esclusiva cerchia asiatica iniziando per la prima volta l’integrazione con la comunità locale.
Steve Yuen continua il percorso professionale che lo vede rifarsi alle proprie origini dimostrando un sorprendente carisma come attore. La presenza scenica maggiore ce l’hanno, comunque, la scaltra Youn Yuh-jung nei panni della nonna e lo spettacolare Will Patton nei panni di un veterano della guerra in Corea e fervente religioso. La loro stellare interpretazione, il sapore autentico della (auto)biografia degli Yi, la regia posata tesa a ripudiare clamorosi picchi drammatici e quel finale che instilla fiducia nel futuro sia ai personaggi che agli spettatori (in un momento storico in cui se ne sente particolarmente il bisogno) fanno di Minari davvero un ottimo film.
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francesca meneghetti
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domenica 15 agosto 2021
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immigrati-pionieri alla ricerca della terra promessa
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Il minari è una pianta aromatica, tipica della cucina coreana. In questo film sembra un elemento di dettaglio: viene piantata sulle rive di un torrente dalla nonna coreana, che ha portato con sé i semi, e vi attecchisce rigogliosamente. Diventa però anche una metafora dell’emigrazione, che è anche uno dei temi del film, accanto a quello della conquista della terra, che è nelle tradizioni americane. Siamo negli anni '80: Jacob e Monica sono due immigrati sudcoreani, stanchi del loro lavoro (il sessaggio dei pulcini). Hanno due bambini, il più piccolo sofferente di cuore. Jacob vuole diventare contadino e coltivare e rivendere in proprio, nelle grandi città dove sono insediati circa 30.
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Il minari è una pianta aromatica, tipica della cucina coreana. In questo film sembra un elemento di dettaglio: viene piantata sulle rive di un torrente dalla nonna coreana, che ha portato con sé i semi, e vi attecchisce rigogliosamente. Diventa però anche una metafora dell’emigrazione, che è anche uno dei temi del film, accanto a quello della conquista della terra, che è nelle tradizioni americane. Siamo negli anni '80: Jacob e Monica sono due immigrati sudcoreani, stanchi del loro lavoro (il sessaggio dei pulcini). Hanno due bambini, il più piccolo sofferente di cuore. Jacob vuole diventare contadino e coltivare e rivendere in proprio, nelle grandi città dove sono insediati circa 30.000 coreani, le verdure della propria tradizione culinaria. Monica subisce la scelta, e rimpiange la California: le campagne dell’Arkansas, in cui si sono trasferiti, sono selvatiche, lontane dalla società e dai servizi, ospedale incluso. Jacob, per evitare la rottura, accetta la coabitazione con la madre di Monica, Soonja, che giunge dalla Corea. E’ un personaggio originale, interpretato in modo straordinario da Yuh Jung Youn, che si è aggiudicata perciò l'Oscar come Miglior attrice Non Protagonista): per certi versi tradizionalista, per altri anticonformista. Ricco comunque di saggezza e umanità, almeno finché la salute regge. Ugualmente è ben modellato e interpretato il personaggio del piccolo David. Il percorso di Jacob non è facile. I colpi di scena sono molteplici, anche se il ritmo un po’ lento non giova alla narrazione. Ma si respira qualcosa del neorealismo: il tema della lotta per la sopravvivenza, il rapporto, presente in Paisà, tra stranieri (lì gli Alleati, qui i coreani) e gli autoctoni (qui vicini all’area del fondamentalismo cristiano, più arretrati per certi versi della cultura della giovane coppia), l’attenzione per i dettagli della vita quotidiana, anche quelli più umili, che fanno perciò “realismo”. La fotografia addolcisce però la crudezza, smussa la prosaicità. Una profonda umanità racconta le dinamiche di questa famiglia salita su una zattera che naviga tra onde tumultuose alla ricerca della Terra Promessa.
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belliteam
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domenica 8 agosto 2021
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minari, una metafora dell''immigrazione coreana
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Minari, che da' il titolo al film, e' una piantina molto utilizzata nella cucina Coreana, che nella pellicola di Lee Isaac Chung viene trapiantata sulle rive di una radura isolata, e cresce rigogliosa..
E' una metafora ovviamente che rappresenta l'immigrazione Coreana negli Stati Uniti, qui in Arkansas, dove una famiglia Cireana si trasferisce con il sogno di creare una fattoria con prodotti Coreani; ed ecco svelate le tematiche principali: la tradizione, la famiglia, il sacrificio (i genitori lavorano tutto il giorno in una fabbrica dove si occupano di sessaggio dei polli), il riscatto.
Minari e' un film emozionante, dolce (il figlio che ha un soffio al cuore che necessita assistenza) ma anche amaro, che ci invita alla riflessione.
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Minari, che da' il titolo al film, e' una piantina molto utilizzata nella cucina Coreana, che nella pellicola di Lee Isaac Chung viene trapiantata sulle rive di una radura isolata, e cresce rigogliosa..
E' una metafora ovviamente che rappresenta l'immigrazione Coreana negli Stati Uniti, qui in Arkansas, dove una famiglia Cireana si trasferisce con il sogno di creare una fattoria con prodotti Coreani; ed ecco svelate le tematiche principali: la tradizione, la famiglia, il sacrificio (i genitori lavorano tutto il giorno in una fabbrica dove si occupano di sessaggio dei polli), il riscatto.
Minari e' un film emozionante, dolce (il figlio che ha un soffio al cuore che necessita assistenza) ma anche amaro, che ci invita alla riflessione. E' un film che non lascia indifferenti. Da vedere
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tunaboy
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martedì 29 giugno 2021
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recensione minari
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Spesso si dice che i bambini sono la vera porta verso la verità, riuscendo a vedere la realtà per come è, immuni alle menzogne raccontate dagli adulti.
Ed è proprio attraverso gli occhi di un bambino, David, che “Minari” ci racconta la cruda realtà di un Sogno Americano ormai in sfacelo e l’accettazione delle proprie origini.
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Spesso si dice che i bambini sono la vera porta verso la verità, riuscendo a vedere la realtà per come è, immuni alle menzogne raccontate dagli adulti.
Ed è proprio attraverso gli occhi di un bambino, David, che “Minari” ci racconta la cruda realtà di un Sogno Americano ormai in sfacelo e l’accettazione delle proprie origini.
La famiglia del piccolo David si è appena trasferita in una umile fattoria nell’Arkansas rurale: qui il padre vuole mettere le fondamenta per il successo che sperava di raggiungere. Purtroppo, però, questo successo tarda ad arrivare e le condizioni di vita si complicano sempre di più, innescando diversi litigi tra i due genitori. In questo clima di tensione arriva la nonna di David, che fino a quel momento aveva vissuto in Corea: totalmente estranea alla cultura occidentale, porta nella famiglia aromi e usanze delle loro radici coreane, suscitando il rigetto del piccolo. Il processo che lo porterà ad avvicinarsi ed accettare la nonna, e metaforicamente le sue origini, sarà, infatti, lungo e tortuoso, ma riuscirà a risolversi dando origine ad una tenera relazione tra i due. Nel frattempo, le condizioni della famiglia sono sempre peggiori, fino a culminare in uno straziante e commovente finale.
“Minari” è un tenero e tragico dramma familiare, capace di controbilanciare l’estrema drammaticità del fallimento di una famiglia e di un sogno con momenti di pura e calorosa tenerezza familiare, riuscendoci anche a strappare qualche sorriso. Sembra quasi, infatti, che il film ci accolga a braccia aperte nel suo mondo, proiettando sullo schermo la vera essenza del calore familiare.
Inoltre, Lee Isaac Chung, regista del film, ci offre un’analisi inedita della società dell’America rurale attraverso il rarissimo punto di vista di un bambino: spesso, infatti, siamo abituati a vedere l’estrema ignoranza e l’incosciente razzismo del popolo americano attraverso gli occhi coscienti di un adulto; vedendolo, però, dal punto di vista di un bambino, ci rendiamo conto della sua assurda pateticità ed imbarazzante comicità.
L'aspetto che, però, trovo più interessante è la ricerca d’identità e la convivenza con le proprie origini: credo che la relazione tra il piccolo e la propria nonna racchiuda così efficacemente la problematica relazione che molti immigrati e, soprattutto, figli di immigrati hanno con le proprie radici, apparentemente così distanti, ma che, proprio come una pianta di minari, crescono nel loro giardino.
Voto: 4.5/5
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astromelia
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mercoledì 26 maggio 2021
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finale spento o aperto?
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delusa da un finale scialbo ,sembra lasciar intravedere un seguito? il film bello nella sua semplicità ma nulla di eclatante.
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luca scialo
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sabato 15 maggio 2021
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un buon messaggio sebbene manchi la poesia del cinema coreano
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Alla sua terza prova da regista, Lee Isaac Chung ci propone la storia di una famiglia di origini coreane che nella rampante America reaganiana degli anni '80, vuole coltivare il suo american dream. A volerlo è soprattutto il padre David, nel cui cuore quella illusione americana si è trapiantata non poco. E così, si trasferisce dalla California all'Arkansas per avviare una propria fattoria, sebbene l'idea iniziale sia un semplice orticello da coltivare. Del resto, lui e la moglie Monica sono anche stanchi del lavoro che fanno: osservare il genere dei pulcini per scartare i maschi, destinati ad un forno crematorio. Tuttavia, la realtà si mostra ben diversa dal sogno e non mancano ostacoli.
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Alla sua terza prova da regista, Lee Isaac Chung ci propone la storia di una famiglia di origini coreane che nella rampante America reaganiana degli anni '80, vuole coltivare il suo american dream. A volerlo è soprattutto il padre David, nel cui cuore quella illusione americana si è trapiantata non poco. E così, si trasferisce dalla California all'Arkansas per avviare una propria fattoria, sebbene l'idea iniziale sia un semplice orticello da coltivare. Del resto, lui e la moglie Monica sono anche stanchi del lavoro che fanno: osservare il genere dei pulcini per scartare i maschi, destinati ad un forno crematorio. Tuttavia, la realtà si mostra ben diversa dal sogno e non mancano ostacoli. La famiglia comincia ad indebitarsi e inoltre dalla Corea arriva come un uragano nelle loro vite la madre di Monica. Una nonna sui generis, che, come dice il piccolo nipotino affetto da problemi cardiaci, non è la classica nonna. Dato che non sa cucinare, ama giocare a carta e guardare combattimenti in Tv. Alla pellicola manca la magia del cinema coreano e il timore è che, per imporsi a livello internazionale, venga persa del tutto in favore dei soliti standard americani moderni. Basati sull'arruffianamento del pubblico, l'happy ending e il politically correct. Se il precedente Oscar Parasite era straordinariamente particolare, qui il film via via perde di fascino. L'arrivo metaforico della nonna, a ricordare le loro radici, non viene sfruttato a pieno. La scena di lei che cammina da sola allontanandosi dal resto dei familiari, ricorda vagamente la scena finale di Rapsodia in agosto. Ossia quella della nonna che cammina sotto la pioggia con un ombrello rotto, ricordando il disastro di Hiroshima. Ma, appunto, solo vagamente.
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gianchi
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venerdì 14 maggio 2021
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quando la semplicità diventa superlativa.
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Una famiglia coreana, negli anni 80, lascia la costosa California per trasferirsi in Arkansas e ripartire con una nuova attività: una fattoria dove coltivare prodotti coreani destinati alla crescente comunità asiatica. Fin da subito il film ti tira dentro le dinamiche familiari, tuttaltro che idilliache. Diverbi tra marito e moglie, problemi di salute del piccolo bimbo, grandi difficoltà nell'avviare un'attività da zero con pochissime risorse. L'arrivo della nonna, personaggio indimenticabile, contribuirà non poco all'evolversi del contesto familiare. La cosa che colpisce e che ci attira è il vedere quanto i valori della famiglia, possano nei momenti più bui tirare fuori il meglio dalle persone.
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Una famiglia coreana, negli anni 80, lascia la costosa California per trasferirsi in Arkansas e ripartire con una nuova attività: una fattoria dove coltivare prodotti coreani destinati alla crescente comunità asiatica. Fin da subito il film ti tira dentro le dinamiche familiari, tuttaltro che idilliache. Diverbi tra marito e moglie, problemi di salute del piccolo bimbo, grandi difficoltà nell'avviare un'attività da zero con pochissime risorse. L'arrivo della nonna, personaggio indimenticabile, contribuirà non poco all'evolversi del contesto familiare. La cosa che colpisce e che ci attira è il vedere quanto i valori della famiglia, possano nei momenti più bui tirare fuori il meglio dalle persone. Questo film ha la capacità di tirar fuori il nostro bambino interiore, ed è stata una bella scoperta. Le interpretazioni assolutamente magistrali degli attori non fanno altro che rendere questa storia semplice un capolavoro.
Complimenti a Brad Pitt che ha deciso di produrre un film così poco Hollywood ma così tanto bello.
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eugenio
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giovedì 13 maggio 2021
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furore coreano
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Un film classico, d’altri tempi, impostato ed elegiaco. Un film americano su una famiglia coreana, un film di campagna per la ricerca della libertà, un film quasi d’atmosfera ottocentesca per la sua dimensione rurale, per la dimensione di una purezza di spirito che si fa nobiltà d’animo senza essere troppo intellettualoide.
Tutto questo è Minari, quarto lavoro del regista americano di origine coreana Lee Isaac Chung, uno dei suoi lavori forse più biografici fatto di crescita e ricordi ovattati lungo quei favolosi anni ’80 che il cineasta lascia trasparire attraverso gli occhi del giovane protagonista David (Alan Kim). Un ragazzino malato al cuore ma sempre vivace figlio di Jacob, capofamiglia che per garantire appunto un futuro migliore a lui e alla sua famiglia, si trasferisce in un “altro mondo” differente da quella California, un territorio agreste con un “furore” alla Steinbeck alla costante ricerca di un giro d’affari, lontano dal sessaggio di polli, un lavoro estenuante e sottopagato, ma rivolto solo ed unicamente alla possibilità di poter vivere della propria terra.
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Un film classico, d’altri tempi, impostato ed elegiaco. Un film americano su una famiglia coreana, un film di campagna per la ricerca della libertà, un film quasi d’atmosfera ottocentesca per la sua dimensione rurale, per la dimensione di una purezza di spirito che si fa nobiltà d’animo senza essere troppo intellettualoide.
Tutto questo è Minari, quarto lavoro del regista americano di origine coreana Lee Isaac Chung, uno dei suoi lavori forse più biografici fatto di crescita e ricordi ovattati lungo quei favolosi anni ’80 che il cineasta lascia trasparire attraverso gli occhi del giovane protagonista David (Alan Kim). Un ragazzino malato al cuore ma sempre vivace figlio di Jacob, capofamiglia che per garantire appunto un futuro migliore a lui e alla sua famiglia, si trasferisce in un “altro mondo” differente da quella California, un territorio agreste con un “furore” alla Steinbeck alla costante ricerca di un giro d’affari, lontano dal sessaggio di polli, un lavoro estenuante e sottopagato, ma rivolto solo ed unicamente alla possibilità di poter vivere della propria terra. Intento nobile che perplime la giovane moglie Monica (Yeri Han), soprattutto all’arrivo dell’eccentrica nonna Soonja (Youn Yuh-Jung), ancorata a una tradizione passatista “che ancora puzza di Corea” (David dixit).
Chung tratteggia con gli occhi disincantati di un bambino un incontro tra due mondi, quello americano e quello del suo paese di origine, la Corea ed, insieme, delinea il ritratto di tre generazioni differenti, con contrasti esacerbati dal conservatorismo dei “vecchi” assimilati a una cultura tradizionale (che manco viene riconosciuta tale dai nipotini) con “i giovani” rivolti all’occidente senza tradire un disincanto di un sogno americano da pura utopia come quello di Jacob (nome omen appunto del patriarca Giacobbe). Con la sapienza degli interpreti, Minari, descrive momenti divertenti di un rapporto genitoriale, reso più teso dai contrasti e dalle loro fragilità, sottolineando, senza mai voler prendersi troppo sul serio, un percorso di crescita emozionale tra i due veri protagonisti: nonna e nipote.
Come la pianta pepata di minari, le due generazioni della nuova e vecchia Corea si mettono a confronto talune volte in esilaranti duetti, ma in qualche modo con una credibilità e intimità che sa tanto di neorealismo post-ottocentesco.
Per un futuro diverso e condivisibile, oltre l’immotivato “furore coreano”.
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athos
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martedì 11 maggio 2021
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sonno intermittente
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Primo film in sala dopo tempo immemorabile. Purtroppo ho ingurgitato una pappina melensa che sapeva di poco. Minari è stata una delusione, anche l'Oscar alla nonnina non mi sembra il naturale seguito di una performance memorabile. All'uscita dalla sala sono stato intevistato da Raitre regione. Purtroppo leggermente annichilito dalla visione, ho spiaccicato due parole quasi senza senso.
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