samanta
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domenica 21 luglio 2019
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l'isola della confusione
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[SPOILER] In questa recensione è inevitabile che si rivelino alcuni colpi di scena.
Innanzitutto il genere sarebbe un thriller e un dramma con la regia (e la sceneggiatura) di Steven Knight, regista britannico, che ha l'attivo la direzione di soli 3 film (oltre a questo: Redemption, Locke) , peraltro risoltisi in flop commerciali, come Serenity che a fronte di un budget di 25 milioni di $ ha avuto finora incassi per 8 milioni e mezzo di $.
Il film si avvale dell'interpretazione di 2 star quali Matthew McConaughey (John) e Anne Hathaway, oltre che di Diane Lane (Costance) amante di John.
La trama, confusa, è ambientata in un isoletta al largo della costa est degli Usa John pescatore perenne alcolizzato e alla disperata caccia di un gigantesco tonno, lo avvicina l'ex moglie Anne che vive con il figlio di John rimasto a casa e arriva con il nuovo marito Frank (Jason Zakarias) che la pesta a sangue e che vuole uccidere un grande squalo, John cede alle lusinghe e ai soldi di Anne e cerca di uccidere il cattivo Frank durante la caccia allo squalo, ma attenzione è tutto un giuoco virtuale inventato al computer dal figlio di Anne che in realtà è una poveretta che ha sposato un operaio edile ubriacone, e sarà il figlio (il cui vero padre è morto in guerra) che ucciderà il patrigno.
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[SPOILER] In questa recensione è inevitabile che si rivelino alcuni colpi di scena.
Innanzitutto il genere sarebbe un thriller e un dramma con la regia (e la sceneggiatura) di Steven Knight, regista britannico, che ha l'attivo la direzione di soli 3 film (oltre a questo: Redemption, Locke) , peraltro risoltisi in flop commerciali, come Serenity che a fronte di un budget di 25 milioni di $ ha avuto finora incassi per 8 milioni e mezzo di $.
Il film si avvale dell'interpretazione di 2 star quali Matthew McConaughey (John) e Anne Hathaway, oltre che di Diane Lane (Costance) amante di John.
La trama, confusa, è ambientata in un isoletta al largo della costa est degli Usa John pescatore perenne alcolizzato e alla disperata caccia di un gigantesco tonno, lo avvicina l'ex moglie Anne che vive con il figlio di John rimasto a casa e arriva con il nuovo marito Frank (Jason Zakarias) che la pesta a sangue e che vuole uccidere un grande squalo, John cede alle lusinghe e ai soldi di Anne e cerca di uccidere il cattivo Frank durante la caccia allo squalo, ma attenzione è tutto un giuoco virtuale inventato al computer dal figlio di Anne che in realtà è una poveretta che ha sposato un operaio edile ubriacone, e sarà il figlio (il cui vero padre è morto in guerra) che ucciderà il patrigno.
Innanzitutto la regia e ovviamente è confusa per cui si riesce ben difficilmente a seguire una trama oltretutto infarcita di flashback e di flash forward, tant'é che lo spettatore non si illuda il colpo di scena finale, passa quasi del tutto inosservato, non ha certo la grinta e la bellezza del finale di Sesto senso. Alla regia manca il polso e soprattutto la capacità di condurre una storia che in sè avrebbe potuto essere interessante (il virtuale che si sovrappone al reale) ma che si risolve invece in un'ammucchiarsi di scene confuse. Certamente non è d'aiuto l'intepretazione degli attori che francamente è mediocre: McConaughey è un buon attore (Interstellar, Oscar per Dallas Buyers Club) ma qui fa una parte senza profondità, gigioneggia la parte di un alcoolizzato per tutto il film, quanto ad Anne Hathaway (Oscar come migliore attrice n.p. per Les Misérables) è un'attrice altalenante molto sovrastimata, dal momento che alterna a prestazioni buone prestazioni mediocri o insufficienti (ad esempio Attenti a quelle due), nè un paio di scene un pò erotiche serve a rimediare la prestazione. Purtroppo è finito il tempo d'oro di Hollywood per cui era sufficiente l'interpretazione di 2 o 3 assi per risollevare un film dalla regia o dalla sceneggiaturà un pò zoppicante. Quanto a Diane Lane (L'amore infedele) come bellezza ed apparenza fisica si difende molto bene, ma recita in modo stanco e rassegnato, senza infamia e senza lode gli altri interpreti.
L'ambientazione è e la fotografia sono buoni: l'oceano, la pesca, l'isola ancora selvaggia e i colori leggermente velati, danno luogo a scene suggestive e costituiscono la parte migliore del film
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nino raffa
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lunedì 28 ottobre 2019
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paradiso riconquistato?
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Portsmouth, Caraibi. Un uomo è ossessionato dalla caccia a un pesce abissale, e questo suo fatto personale, scopriamo poco a poco, riguarda la lotta tra il bene e il male, la giustizia e la vendetta, fino a coinvolgere la struttura stessa dell’universo. Riscrittura del Libro di Giona e di Moby Dick da parte di Steven Knight.
Ogni epoca si racconta attraverso i gingilli del momento. Senza andare troppo indietro, il ‘700, infatuato da automi e orologi, vedeva il mondo come meccanismo esatto di parti in movimento, amministrato da un Dio freddo; i nostri antenati ottocenteschi, esaltati da trenini e macchine a vapore, pensavano di correre verso l’illimitato progresso, sorvegliati da un Padre severo e borghese; il ‘900 quantistico e psicanalitico si leggeva come labirinto di possibilità (comprese le più abiette) centrato sul vuoto del Creatore.
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Portsmouth, Caraibi. Un uomo è ossessionato dalla caccia a un pesce abissale, e questo suo fatto personale, scopriamo poco a poco, riguarda la lotta tra il bene e il male, la giustizia e la vendetta, fino a coinvolgere la struttura stessa dell’universo. Riscrittura del Libro di Giona e di Moby Dick da parte di Steven Knight.
Ogni epoca si racconta attraverso i gingilli del momento. Senza andare troppo indietro, il ‘700, infatuato da automi e orologi, vedeva il mondo come meccanismo esatto di parti in movimento, amministrato da un Dio freddo; i nostri antenati ottocenteschi, esaltati da trenini e macchine a vapore, pensavano di correre verso l’illimitato progresso, sorvegliati da un Padre severo e borghese; il ‘900 quantistico e psicanalitico si leggeva come labirinto di possibilità (comprese le più abiette) centrato sul vuoto del Creatore. Il secolo corrente pensa al mondo e ai suoi abitanti come un ologramma; una sequenza di numeri, un software che gira su un computer; un gigantesco videogame ideato dal Caso, ragazzino bizzarro che gioca con noi – che gioca di noi – alla sua consolle.
“Serenity” si muove in un paradiso che la presenza umana ha già perduto. Il rugginoso container in cui abita il protagonista, posto su una meravigliosa scogliera a picco sull’oceano, è immagine perfetta della caduta.
Karen convince Baker, l’ex marito con cui ha avuto un figlio, a uccidere l’attuale consorte; Baker, dopo le prime riluttanze, porta a termine l’impresa. Sembrerebbe il solito noir, se i due protagonisti non fossero personaggi d’un videogame inventato da loro figlio Patrick – figli di loro figlio avrebbe scritto Dante – per uccidere il patrigno violento. A questo punto le domande si allargano e diventano diverse.
Come salvare la libertà dei personaggi (noi?) nel gioco di cui fanno parte? Il racconto di Knight lascia intuire (da alcuni dettagli e da piccole discrepanze temporali) spazi di scelta all’interno dalle necessità (virtuali) che costituiscono il gioco/mondo. “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” è l’inevitabile passo shakespeariano citato nella sceneggiatura. Ma chi è che (ci) sogna? si chiede il film.
Sogno e realtà. Piano reale e virtuale si rispecchiano e alimentano a vicenda, fino al doppio assassinio dell’abietto persecutore. La miserabile morte del patrigno riscatta quella (eroica, da soldato a stelle e strisce) del padre, avvenuta molti anni prima. Karen, la madre, vittima, ma anche colpevole per la scelta del secondo marito, scompare. Baker e Patrick si riuniscono. Il ragazzo corre sul molo verso la barca “Serenity” su cui lo aspetta il padre, nell’unica dimensione libera da vincoli di spazio, tempo e morte – quella virtuale – in cui ciò è possibile.
Qualche domanda rimane. Il vero Patrick rimarrà per sempre nella sua stanza davanti al computer insieme a suo padre? E se anche il ragazzo fosse dentro un gioco più grande? Se anche il sognatore fosse sognato? avrebbe insinuato Borges.
Per fortuna Serenity, già sofferto di suo, non arriva a questi abissi; comunque, proiettando la logica del film oltre i titoli di coda, l’apparente lieto fine potrebbe nascondere esiti ben più inquietanti.
Discreta interpretazione – molto fisica – di Matthew McConaughey; drammaticamente fuori ruolo Anne Hathaway; migliori i comprimari: Diane Lane, Djimon Hounsou (altra figura melvilliana) e Jeremy Strong (surreale e ubiquo agente di commercio uscito dalle tele di Magritte).
Da un lato, "Matrix" in salsa caraibica con tanto di squali e mafia cubana; dall’altro, "Dio esiste e vive a Bruxelles". Né visionario, né dissacrante, "Serenity” non convince fino in fondo. Taluni passaggi complicati invece che dare profondità sembrano coprire l’atteso e il già visto. Dall’autore/regista dell’ottimo “Locke” (2013) era lecito aspettarsi di meglio.
In un antichissimo racconto Qualcuno s’inventava un paradiso terrestre con dentro un uomo e una donna, stabiliva delle regole del gioco che lei istigava lui a violare; persa la partita, l’inesorabile GAME OVER gettava i due malcapitati nel duro mondo di fatica e dolore. Nella storia ideata da Steven Knight, l’ossessione del pesce che sarà utile al delitto sostituisce l’originale tentazione verso il frutto proibito, con risultati molto diversi. Allora con la caduta si perdeva il paradiso, adesso lo si riconquista. Ci sta. L’abbiamo detto. Il Dio del nostro tempo è un ragazzino smanettone che si diverte a giocare anche con le regole, scambiando bene e male secondo gli umori del momento.
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gropius
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mercoledì 20 marzo 2019
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la sceneggiatura "misteriosa".
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Baker Dill ( Matthew McConaughey), vive in una piccola isola dei Caraibi chiamata Plymouth. Egli è un marinaio. Capitano di una barca con la quale porta i turisti a pescare in mare aperto. La sua più grande ossessione "hemingwayiana" è quella di riuscire a catturare in mare, prima o poi, un grande tonno.
Quando però un giorno una sua ex (Anne Hathaway) rispunta dal passato chiedendogli di salvarla da un nuovo marito violento, la sua ossessione diventerà ben presto un'altra. Ottima interpretazione da parte di tutti gli attori. Calati in una atmosfera che porta inevitabilmente con sé qualcosa di onirico, surreale, drammatico e consolatorio.
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Baker Dill ( Matthew McConaughey), vive in una piccola isola dei Caraibi chiamata Plymouth. Egli è un marinaio. Capitano di una barca con la quale porta i turisti a pescare in mare aperto. La sua più grande ossessione "hemingwayiana" è quella di riuscire a catturare in mare, prima o poi, un grande tonno.
Quando però un giorno una sua ex (Anne Hathaway) rispunta dal passato chiedendogli di salvarla da un nuovo marito violento, la sua ossessione diventerà ben presto un'altra. Ottima interpretazione da parte di tutti gli attori. Calati in una atmosfera che porta inevitabilmente con sé qualcosa di onirico, surreale, drammatico e consolatorio. Il tutto è un mix che funziona. E seppur non raggiunge mai livelli cinematografici subblimi, ha la capacità di non annoiare lo spettatore.
Il regista, Steven Knight, ci presenta una pellicola dall'ottima fotografia. Leziosa, manierata quasi a ricordarci un certo cinema di Adrian Lyne. I personaggi sono volutamente bizzarri e stereotipati. Tale meccanicità ingenua, su cui è strutturata la pellicola, alla fine troverà anche una logica che si andrà a concretizzare attraverso il cosiddetto "twist narrativo".
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l''imbecille
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mercoledì 20 novembre 2019
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steven knight ha floppato!
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Ma che dire; senza ripercorrere spezzoni di sceneggiatura, a chi ha visto il film mi piacerebbe chiedere spiegazioni di atti inconcludenti, confusi e sui colpi di scena così banali da sembrare ridicoli.
Il top, secondo me, in cui serve davvero uno strumento di lettura è rappresentato dalle scene in cui appare quell’immaginario giovanotto con camicia e cravatta che attraversa il mare a piedi e vestito da strano uomo d’affari. Ma per fare cosa tutto ciò? Per dichiarare all’attore principale cose misteriose e insensate, quali: io sono le regole, sto interpretando la mia parte in un gioco e simili.
Altro e più importante strumento di lettura serve (senza usare il condizionale) per capire se il padre di quel bambino ossessionato dal computer, è o no il personaggio principale e cioè McConaughey nel ruolo di Baker Dill.
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Ma che dire; senza ripercorrere spezzoni di sceneggiatura, a chi ha visto il film mi piacerebbe chiedere spiegazioni di atti inconcludenti, confusi e sui colpi di scena così banali da sembrare ridicoli.
Il top, secondo me, in cui serve davvero uno strumento di lettura è rappresentato dalle scene in cui appare quell’immaginario giovanotto con camicia e cravatta che attraversa il mare a piedi e vestito da strano uomo d’affari. Ma per fare cosa tutto ciò? Per dichiarare all’attore principale cose misteriose e insensate, quali: io sono le regole, sto interpretando la mia parte in un gioco e simili.
Altro e più importante strumento di lettura serve (senza usare il condizionale) per capire se il padre di quel bambino ossessionato dal computer, è o no il personaggio principale e cioè McConaughey nel ruolo di Baker Dill. Qualche risposta l’ho trovata: sì, è il padre ormai defunto.
Defunto? Ma quando?
Qualcuno dice che Baker Dill, quindi, non sarebbe altro che un avatar, una proiezione virtuale del padre, morto durante una missione militare in Iraq. E cioè quello che appare è tutto un gioco virtuale inventato al computer dal figlio di Baker e Anne che in realtà è una poveretta che ha sposato un operaio edile ubriacone, e sarà il figlio di quel padre morto in guerra che ucciderà il patrigno.
Ma prendiamo veramente in giro lo spettatore, o no?
Questa volta la regia e la sceneggiatura di Steven Knight ha “floppato”, decisamente.
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elgatoloco
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mercoledì 19 febbraio 2020
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film intelligente
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"Serenity"di Steven Knight(2019, anche autore di soggetto e sceneggiatura)è un film intelligente: dietro la"scorza"(peraltro ben calibrata e congegnata, ma che si avverte, "ironicamente", essere mera scroza)del thriller, dietro le apparenze tutto sommato"convenzionali"della vicenda di amore, rancori, vendetta, si avverte che c'è delll'altro, né può essere un caso che la tastiera del computer del geniale tredicenne nasconda altro... Il rapporto"reale"-""virtuale", sogno-realtà, con la per nulla casuale citazione da William Shakespeare"Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni"(The Tempest, Atto IV°, dove forse non sarà peregrino ricordare che Knight è britannico, non made in the USA), è assolutamente fondamentale per comprendere il film, dove anche l'iniziale citazione"trasporta"di Melville("Moby Dick")non è né surfetazione culturalistica nè brama citazionista, ma pienamente emblematica di quanto l'autore vuole rappresentare.
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"Serenity"di Steven Knight(2019, anche autore di soggetto e sceneggiatura)è un film intelligente: dietro la"scorza"(peraltro ben calibrata e congegnata, ma che si avverte, "ironicamente", essere mera scroza)del thriller, dietro le apparenze tutto sommato"convenzionali"della vicenda di amore, rancori, vendetta, si avverte che c'è delll'altro, né può essere un caso che la tastiera del computer del geniale tredicenne nasconda altro... Il rapporto"reale"-""virtuale", sogno-realtà, con la per nulla casuale citazione da William Shakespeare"Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni"(The Tempest, Atto IV°, dove forse non sarà peregrino ricordare che Knight è britannico, non made in the USA), è assolutamente fondamentale per comprendere il film, dove anche l'iniziale citazione"trasporta"di Melville("Moby Dick")non è né surfetazione culturalistica nè brama citazionista, ma pienamente emblematica di quanto l'autore vuole rappresentare. Matthew Mc Conaughey è funzionale in pieno, dunque"perfetto"rispetto alle intenzioni dlel'autore, come ANne Hathaway, Diane Lane, Jason Calrke e le altri/gli altri, dove tutti i personaggi sono"pedine"di quel play(gioco inteso in senso pieno)che possiamo identificare con il"destino"o il"caso"dove, sottraendo la presenza ingombrante e non più credibile del"digitus Dei", di un Dio antropomorficamente inteso, vediamo come Knight lavori a partire dalla teoria della relatività, dalla teoria del caos, ma anche dalle teorie gnoseologiche radicali, invidividuabili(con tutte le differenze del caso, certo)in pensatori britannici come David Hume e George Berkeley...Una sfida vera e propria al pensiero corrivo e alla fruizione digestiva del cinema, come di ogni forma artistica e in genere di comunicazione"alta" El Gato
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felicity
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lunedì 30 marzo 2020
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un abisso di nulla
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L'attrattiva numero uno di Serenity è il ritorno della coppia di Interstellar, McConaughey e Hathaway.
Ma si resta delusi: il primo, dopo il riscatto clamoroso di qualche anno fa, ha fatto tutto il giro ed è tornato a recitare senza maglietta, in una performance che sembra una auto-parodia dei suoi ruoli migliori. Dal modo in cui si muove, al modo in cui fuma la sigaretta e in cui interagisce con gli altri attori: tutto è già visto. La seconda ha vinto un Oscar, ma dopo ha proseguito tra alti e bassi.
Insieme, qui, non hanno alchimia, neppure nella breve scena di sesso che dovrebbe rappresentare l'esplosione di una vecchia passione repressa.
Serenity risulta noioso in quanto thriller, datato in quanto a mix di generi e pretenzioso nel voler parlare dei massimi sistemi senza esserne in grado.
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L'attrattiva numero uno di Serenity è il ritorno della coppia di Interstellar, McConaughey e Hathaway.
Ma si resta delusi: il primo, dopo il riscatto clamoroso di qualche anno fa, ha fatto tutto il giro ed è tornato a recitare senza maglietta, in una performance che sembra una auto-parodia dei suoi ruoli migliori. Dal modo in cui si muove, al modo in cui fuma la sigaretta e in cui interagisce con gli altri attori: tutto è già visto. La seconda ha vinto un Oscar, ma dopo ha proseguito tra alti e bassi.
Insieme, qui, non hanno alchimia, neppure nella breve scena di sesso che dovrebbe rappresentare l'esplosione di una vecchia passione repressa.
Serenity risulta noioso in quanto thriller, datato in quanto a mix di generi e pretenzioso nel voler parlare dei massimi sistemi senza esserne in grado.
Un'ambizione smodata che si schianta contro una scrittura legnosa e personaggi stereotipati.
Vorrebbe essere un film sulla famiglia, su un padre disposto a tutto pur di proteggere il figlio e assumersi finalmente le sue responsabilità, ma il regista non riesce a trovare il perfetto matrimonio tra temi e messa in scena, consegnandoci un'opera che sa di vecchio.
Solamente verso la fine si avrà un quadro completo del perché di tante scelte, sia stilistiche che narrative.
Il finale però non giustifica quanto visto fino a poco prima. Soprattutto con un plot twist che dovrebbe far naufragare il film in una deriva esistenzialista di dubbio gusto, scadendo però nel mare della pretenziosità.
Libero arbitrio, etica, esistenza, con un thriller sullo sfondo: troppa carne al fuoco, il risultato è una caduta nell’abisso del nulla.
Sarebbe un colpo di coda niente male, scoprire che il regista ha realizzato consapevolmente il suo fallimento, proprio in contemporanea con la descrizione di un mondo idilliaco che si va sfaldando inquadratura dopo inquadratura.
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maramaldo
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lunedì 22 luglio 2019
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non ve la prendete...
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C'è una "invenzione", abbastanza originale anche se non ha entusiasmato nessuno. C'è pure - e questo è grave - il sospetto di una "circonvenzione dello spettattore". Non siate permalosi, è solo un caso di quella che chiamerei sindrome di Guadagnino a cui rivolgersi così: sai far cinema? fallo ma non strafare; specialmente quando hai tra le mani un tema universalmente noto: sprovveduto o poco di buono viene trascinato al crimine da un demone entrato nella carne di una donna per la quale nutre attrazione morbosa e irresistibile. Molte ìe variazioni ma il cliché è sempre quello offerto dai grandi contributori del cinema quali, solo per citarne un paio, James M Cain o James Hadley Chase.
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C'è una "invenzione", abbastanza originale anche se non ha entusiasmato nessuno. C'è pure - e questo è grave - il sospetto di una "circonvenzione dello spettattore". Non siate permalosi, è solo un caso di quella che chiamerei sindrome di Guadagnino a cui rivolgersi così: sai far cinema? fallo ma non strafare; specialmente quando hai tra le mani un tema universalmente noto: sprovveduto o poco di buono viene trascinato al crimine da un demone entrato nella carne di una donna per la quale nutre attrazione morbosa e irresistibile. Molte ìe variazioni ma il cliché è sempre quello offerto dai grandi contributori del cinema quali, solo per citarne un paio, James M Cain o James Hadley Chase. La peculiarità di questo spunto non sta tanto nell'attesa dell'epilogo che non può che essere tragedia o catastrofe (io stesso mi ero immaginato una mezza dozzina di finali plausibili, certamente suggeriti dalla lettura dei sullodati scrittori). La tensione sta nel crescendo di incertezza, di angoscia, dall'essere travolto ad ogni istante verso la perdizione.
Knight vi riesce ma non ha inteso limitarsi. Si diletta di una cifra stilistica sofisticata ed elegante, perfino con tocchi di surreale. Quel piccoletto misterioso, Reid (Jeremy Strong) che si staglia di spalle nella linea dell'orizzonte sul mare, fateci caso, è Magritte.
Si accennano argomenti di peso, l'al di là, la provvidenza divina. Ne è un agente il devoto Duke (Djimon Hounsou), il ruolo più convincente, personaggio solido da romanzo vero.
Non ci siamo con Baker Dill (Matthew McConaught), fisicità prestante e pregevole, exploit drammatici per lo più escandescenze nevrotiche ed eccessive.
Anne Hathaway, come fa ad essere sempre più suadente, calda e palpitante? Creatura perversa uscita dalla fantasia di Hadley Chase.
Bionda, certo. Lo sono di regola le "dark lady", chiome corvine convengono a fanciulle romantiche. Così come - e non chiedetemi perchè - gli occhi chiari appartengono ai sadici: Frank, il marito (Jason Clarke), odioso al punto giusto.
Presunzione e vanagloria ancora producono guasti senza alcuna preoccupazione della gratificazione del pubblico. Ripeterà l'errore, Knight?
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inesperto
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martedì 23 luglio 2019
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anna e matteo di nuovo insieme
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Un legame misterioso ed inspiegabile che unisce lo spirito irrequieto di un padre con la mente di suo figlio; un'isoletta sconosciuta e sperduta nell'oceano che ospita una curiosa comunità di simpatici personaggi; un patrigno ubriacone e violento, una madre disperata ma sospetta, un enorme tonno sfuggente... Questi ed altri gli ingredienti di un film molto bello e particolare che dopo una prima metà come drammatico evolve e si tramuta, nella seconda, in un thriller con sfumature trascendentali. Lo svilupparsi dell'intreccio porta alla mente alcuni caratteri che si possono riscontrare in pellicole passate quali The Game, The Truman Show ed Il Tredicesimo Piano. Traendo piccoli spunti da idee già sviluppate diversamente altrove, l'amalgama che ne risulta è originale ed affascinante con i sempre splendidi McConaughey e Hathaway a mettere la ciliegina su di un'ottima torta.
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Un legame misterioso ed inspiegabile che unisce lo spirito irrequieto di un padre con la mente di suo figlio; un'isoletta sconosciuta e sperduta nell'oceano che ospita una curiosa comunità di simpatici personaggi; un patrigno ubriacone e violento, una madre disperata ma sospetta, un enorme tonno sfuggente... Questi ed altri gli ingredienti di un film molto bello e particolare che dopo una prima metà come drammatico evolve e si tramuta, nella seconda, in un thriller con sfumature trascendentali. Lo svilupparsi dell'intreccio porta alla mente alcuni caratteri che si possono riscontrare in pellicole passate quali The Game, The Truman Show ed Il Tredicesimo Piano. Traendo piccoli spunti da idee già sviluppate diversamente altrove, l'amalgama che ne risulta è originale ed affascinante con i sempre splendidi McConaughey e Hathaway a mettere la ciliegina su di un'ottima torta.
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carloalberto
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lunedì 22 luglio 2019
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bellissimo ed incompreso
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Matthew McConaughey come il capitano Achab di Melville o il vecchio pescatore di Hemingway incarna il mito della lotta titanica dell’uomo solo contro la natura. Ma, liberandosi dall’ossessione che lo intrappola in un topos letterario, il personaggio scopre di essere destinato, come il protagonista di Source Code, ad una impresa alta ed altra che travalica i confini della sua realtà apparente ed il cui compimento gli farà conquistare la consapevolezza che la vita, sebbene sogno o mera costruzione mentale, è degna d’essere vissuta se riscattata dall’amore, in questo caso, paterno. La realtà è fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, dice un personaggio minore di Serenity e la citazione shakespeariana è la chiave interpretativa di questo bellissimo film, a torto maltrattato, a mio avviso, dalla critica.
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Matthew McConaughey come il capitano Achab di Melville o il vecchio pescatore di Hemingway incarna il mito della lotta titanica dell’uomo solo contro la natura. Ma, liberandosi dall’ossessione che lo intrappola in un topos letterario, il personaggio scopre di essere destinato, come il protagonista di Source Code, ad una impresa alta ed altra che travalica i confini della sua realtà apparente ed il cui compimento gli farà conquistare la consapevolezza che la vita, sebbene sogno o mera costruzione mentale, è degna d’essere vissuta se riscattata dall’amore, in questo caso, paterno. La realtà è fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, dice un personaggio minore di Serenity e la citazione shakespeariana è la chiave interpretativa di questo bellissimo film, a torto maltrattato, a mio avviso, dalla critica. Le tesi dell’universo simulato di Bostrom e di Musk adattate cinematograficamente ad un narrato che somiglia a un thriller drammatico e soltanto in parte lo è, danno un senso al film che si regge soprattutto grazie ad un cast di eccezione. Su tutti spicca Matthew McConaughey che, guarda caso, ha iniziato la sua carriera recitando nel film La vita è un sogno, che richiama alla mente, almeno nel titolo, il classico, quasi omonimo, seicentesco di Calderon de La Barca, e che ricordiamo come interprete di Interstellar, anche lì con a fianco Anne Hathaway.
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