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annelise
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sabato 25 maggio 2019
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che vuoi fare? "vivere, immagino"
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Pedro parla di se'. Trova il coraggio di aprire la porta della propria intimità al pubblico, in modo chiaro e diretto. Riassume, nel suo ultimo film, il groviglio di emozioni ed eventi di una vita intera:amore, morte, salute,droga,malattia,nostalgia ,passione. Il film narra un'infanzia ed un'adolescenza complicate e bizzarre, un talento infantile fuori dal comune . Un percorso travagliato ,con l'alternarsi di produzioni artistiche e di vuoti ideativi e creativi La figura della madre, tanto amata, primeggia nel suo universo affettivo,da giovane e da vecchia. Lascia il dubbio sul suo valore di figlio ma lascia un vuoto incolmabile. Il film può apparire a tratti lento ma, in realtà, il percorso mnemonico ,quasi onirico,va cercando, con una lente di ingrandimento, episodi ,dialoghi e ricordi che abbiano avuto un senso ed un significato per la sua carriera, per la sua crescita professionale e per la sua creatività.
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Pedro parla di se'. Trova il coraggio di aprire la porta della propria intimità al pubblico, in modo chiaro e diretto. Riassume, nel suo ultimo film, il groviglio di emozioni ed eventi di una vita intera:amore, morte, salute,droga,malattia,nostalgia ,passione. Il film narra un'infanzia ed un'adolescenza complicate e bizzarre, un talento infantile fuori dal comune . Un percorso travagliato ,con l'alternarsi di produzioni artistiche e di vuoti ideativi e creativi La figura della madre, tanto amata, primeggia nel suo universo affettivo,da giovane e da vecchia. Lascia il dubbio sul suo valore di figlio ma lascia un vuoto incolmabile. Il film può apparire a tratti lento ma, in realtà, il percorso mnemonico ,quasi onirico,va cercando, con una lente di ingrandimento, episodi ,dialoghi e ricordi che abbiano avuto un senso ed un significato per la sua carriera, per la sua crescita professionale e per la sua creatività. La vita dell'artista, però, non è separata dalla vita dell'uomo .Si mescolano in modo inestricabile gli amori, le delusioni, le passioni ,le mancanze che sono dell'uomo e che condizionano l'artista. E' proprio" Il mestiere di vivere" che appare, in questi ultimi anni, più difficile di quello dell'artista. Si rianima quando si muove una nuova speranza ,una nuova progettualità, quando si muovono positivamente le relazioni umane (non soltanto quelle professionali) I sentimenti malinconici hanno come sfondo una scenografia prorompente a colori vivaci che sembra esprimere la necessità di sdrammatizzare un contenuto triste.Alberi rigogliosi, rami in fiore, ripresi a primavera , danno l'idea del risveglio emotivo che si sta preparando , nell'alternarsi delle stagioni della natura e della vita umana. La casa rifugio, nella quali si consumano malattia e tristezza è ricca di oggetti e addobbi allegri e colorati. Il ritorno alla vita riappare, quasi magicamente, con una macchina da presa su un set in cui Pedro e sua madre si ritrovano all'inizio del loro percorso.
Le interpretazioni degli attori sono buone, in particolare quella di Banderas ,malinconico e sofferente , intenso negli attimi di smarrimento e paura . Non è più il giovane attore bello, con il sex appeal degli anni passati, ma è attore maturo che si muove con delicatezza in questa sua nuova stagione di vita.
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daniele fanin
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martedì 21 aprile 2020
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il presente del dolore, il ricordo della gloria
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Dopo un silenzio cinematografico di circa tre anni, alle soglie del settantesimo compleanno, Pedro Almodovar esce con Dolor y Gloria, ventunesimo lungometraggio del pluridecorato regista spagnolo. Nessuno, neppure i più acerrimi denigratori di Almodovar, potrebbe negare l’enorme successo che i suoi film hanno avuto, sia a livello commerciale che di critica: Palme, Goya, Oscar, BAFTA, David, Leoni, Cesar, nessun trofeo cinematografico manca nella bacheca del regista nato nel piccolo paese di Calzada de Calatrava, a cui si ispira il villaggio di Paterna nel film, che non ha fatto eccezione, ottenendo tre Goya come miglior film, regia e sceneggiatura originale.
Il successo domestico del film non si però ripetuto all’estero e, verrebbe da dire, per validi motivi.
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Dopo un silenzio cinematografico di circa tre anni, alle soglie del settantesimo compleanno, Pedro Almodovar esce con Dolor y Gloria, ventunesimo lungometraggio del pluridecorato regista spagnolo. Nessuno, neppure i più acerrimi denigratori di Almodovar, potrebbe negare l’enorme successo che i suoi film hanno avuto, sia a livello commerciale che di critica: Palme, Goya, Oscar, BAFTA, David, Leoni, Cesar, nessun trofeo cinematografico manca nella bacheca del regista nato nel piccolo paese di Calzada de Calatrava, a cui si ispira il villaggio di Paterna nel film, che non ha fatto eccezione, ottenendo tre Goya come miglior film, regia e sceneggiatura originale.
Il successo domestico del film non si però ripetuto all’estero e, verrebbe da dire, per validi motivi. Il film infatti, sebbene presenti alcuni aspetti interessanti, quali l’ottimo utilizzo del flash-back, la composta e delicata interpretazione di Antonio Banderas ed il positivo, sebbene non inaspettato, finale di cinema nel cinema, non riesce ad elevarsi oltre il livello di un buon esercizio stilistico di introspezione nostalgica, che francamente delude in un regista che aveva abituato il pubblico e la critica ad un approccio alla narrazione cinematografica sicuramente innovativo e talvolta perfino iconoclasta, sebbene alternando film di assoluto rilievo come Matador, La Legge del Desiderio, Donne sull’Orlo di una Crisi di Nervi, Parla con Lei ad altri di più modesto, o normale, livello.
E Dolor y Gloria e’ purtroppo da ascrivere a quest’ultimo gruppo. L’onestà con cui Almodovar si identifica nel reclusivo e quasi anagrammatico regista Salvador Mello e’ evidente ma rimane distaccata, non riesce a coinvolgere lo spettatore, a bucare lo schermo come si diceva una volta. Si lascia guardare, annotare, supportata da una raffinata colonna sonora e dagli attesi arredamenti d'interni “made in Almodovar” ma appare entropica, troppo autoreferenziata ed ancorata a luoghi comuni falsamente alternativi (l’eroina, l’auto-reclusione, gli psicofarmaci, il blocco narrativo) per entrare nel cuore e nella mente di cui guarda il film, che si rivela in ultima istanza un esercizio stilistico e narrativo quasi “dovuto”: della serie regista-di-successo-riflette-su-se-stesso! Almodovar e’ bravo, senz’altro, e la miscela di ricordi dell’infanzia di Salvador Mello e’ ben amalgamata con il suo presente di distaccata ed ipocondriaca deriva, ma il percorso verso la luce, o le luci del set ritrovato, non convince appieno. Novello Ulisse che naviga i procellosi mari della mente e gli insidiosi scogli dei ricordi, Salvador Mallo necessita di trentadue anni per ritornare all’isola della creazione, mentre Ulisse impiegò solo dieci anni per coprire i circa 1000 chilometri che separavano Troia da Itaca!
Il titolo e’ accattivante, presagio di un doloroso percorso che porta alla gloria, ma quello che rimane alla fine del film nello spettatore e’ solo il piccolo dolore di vedere un regista molto apprezzato allontanarsi dalle glorie della vera creazione cinematografica in favore di un onesto ma blando impasto di piccole, stantie, madelaine che lasciano il sapore più di un tempo perduto che ritrovato.
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enzo70
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domenica 20 settembre 2020
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almodovar alla ricerca del regista perduto
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Quanto è difficile vivere, anche se sei un regista di successo, ricercato, vincente. E così Salvador Mallo, interpretato da Antonio Banderas, in piena crisi creativa prova a trovare nei ricordi dell’infanzia le ragioni del suo malessere. Una giovinezza da povero, cresciuto in una grotta in un paesino della Spagna rurale, sotto le gonne della madre, sempre bellissima Penelope Cruz. Almodovar si mette a nudo, in un film un po' manierista, in cui la sovrapposizione temporale dei fatti spesso disorienta lo spettatore. Un film dai ritmi teatrali in cui gli indugi del regista su sé stesso rientrano nella gestione dei tempi del palcoscenico. La dipendenza dall’eroina, le difficoltà a vivere le relazioni rientrano in un’attività di autoanalisi che, a prescindere da tutto, va apprezzata.
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Quanto è difficile vivere, anche se sei un regista di successo, ricercato, vincente. E così Salvador Mallo, interpretato da Antonio Banderas, in piena crisi creativa prova a trovare nei ricordi dell’infanzia le ragioni del suo malessere. Una giovinezza da povero, cresciuto in una grotta in un paesino della Spagna rurale, sotto le gonne della madre, sempre bellissima Penelope Cruz. Almodovar si mette a nudo, in un film un po' manierista, in cui la sovrapposizione temporale dei fatti spesso disorienta lo spettatore. Un film dai ritmi teatrali in cui gli indugi del regista su sé stesso rientrano nella gestione dei tempi del palcoscenico. La dipendenza dall’eroina, le difficoltà a vivere le relazioni rientrano in un’attività di autoanalisi che, a prescindere da tutto, va apprezzata. Ma è un film per appassionati del regista spagnolo.
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loretta fusco
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giovedì 27 maggio 2021
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poeticamente crudo
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Nomadland è uno spettacolare movie on the road, dove la strada non è quella di Kerouac che sperimenta la conoscenza attraverso l’andare, ma l’andare diventa antidoto al dolore, il raggiungimento di un confine immaginario che non è mai un punto di arrivo, ma un luogo da cui ripartire. E Frances McDormand, la superba interprete di questo viaggio non solo chilometrico ma intimo, apparentemente statico ma in realtà uno sconquasso esistenziale, non poteva essere più giusta e convincente nei panni di Fern, la sessantenne che improvvisamente ha perso tutto, marito e lavoro in un luogo avaro di mezzi e prospettive.
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Nomadland è uno spettacolare movie on the road, dove la strada non è quella di Kerouac che sperimenta la conoscenza attraverso l’andare, ma l’andare diventa antidoto al dolore, il raggiungimento di un confine immaginario che non è mai un punto di arrivo, ma un luogo da cui ripartire. E Frances McDormand, la superba interprete di questo viaggio non solo chilometrico ma intimo, apparentemente statico ma in realtà uno sconquasso esistenziale, non poteva essere più giusta e convincente nei panni di Fern, la sessantenne che improvvisamente ha perso tutto, marito e lavoro in un luogo avaro di mezzi e prospettive. Empire, la città del Nevada, dopo la chiusura dell’unica fabbrica che sosteneva l’economia urbana viene cancellata e lei si ritrova, sopravvissuta, troppo vecchia per trovare un lavoro, troppo giovane per aspirare a una qualche forma di sussidio statale. Decide quindi di caricare il proprio furgone malandato e andare alla ricerca di una vita migliore. Nel suo girovagare, Fern si troverà a fare un’infinità di lavori, da quelli a tempo presso Amazon, alla pulizia delle aree di parcheggio per i camper, alla raccolta delle barbabietole, al servizio di ristorazione.
Un dramma americano che non si discosta nella sostanza da quello nostro, acuito dalla pandemia, dove l’incubo della povertà rischia di abbruttire e stroncare non solo il fisico ma qualsiasi forma di idea di cambiamento.
La strada di questa anti eroina per necessità è irta di ostacoli, di bruttezza palpabile ma anche di attimi di vera poesia che permea brevi ma indelebili sequenze di vita. Gli incontri che farà lungo la strada delineano la sua personalità, dove più delle parole contano gli slanci, gli abbracci tra lei e i veri “nomadi” che la regista Chloé Zhao,ha fortemente vouto per dare un crisma di verità a questo spaccato di umanità ferita ma mai prona. Linda May, Swankie, Bob Wells sono volti che rimangono incisi nella memoria, come gli sconfinati spazi che sono sempre un modo per guardare oltre. La comunità nomade insediata ai bordi del deserto roccioso tra il Nord Dakota e Mexico, novelli pionieri senza più l’incanto degli antenati, saranno per Fern ancora un modo per leggersi dentro, alla ricerca di quel senso che riuscirà a trovare soltanto nella libertà da ogni vincolo, nella sceltà di sé.
Il vero cinema è tornato con una tematica che rispecchia la realtà che stiamo vivendo, dove il freddo spettrale della natura del Nevada rimane negli occhi dello spettatore come la figura della McDormand, splendida protagonista di un film giustamente premiato con il Leone D’oro e con numerosi Oscar.
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fabrizio friuli
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giovedì 10 agosto 2023
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la vita di un regista spagnolo
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Il regista spagnolo Salvador Molla continua a non dedicarsi al suo lavoro, per via di numerose problematiche fisiche che lo affliggono, in particolare, egli non riesce ad ingerire adeguatamente i liquidi da bere perché in alcune occasioni sembra che egli si stia strangolando. Tuttavia, egli cerca come può di andare avanti, e dopo aver incontrato un attore noto come Alberto Crespo che lui non vede da molto tempo, egli scopre le sostanze stupefacenti ed incontra un tale di nome Federico, un uomo con il quale lo stesso Salvador ha avuto una relazione. In seguito ad una tac, Salvador scopre la vera causa di uno dei suoi malesseri fisici, ossia quel malessere che gli impedisce di bere ( e di mangiare ) e con gioia non è un tumore, ma una rara malattia che può essere curata grazie ad un intervento.
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Il regista spagnolo Salvador Molla continua a non dedicarsi al suo lavoro, per via di numerose problematiche fisiche che lo affliggono, in particolare, egli non riesce ad ingerire adeguatamente i liquidi da bere perché in alcune occasioni sembra che egli si stia strangolando. Tuttavia, egli cerca come può di andare avanti, e dopo aver incontrato un attore noto come Alberto Crespo che lui non vede da molto tempo, egli scopre le sostanze stupefacenti ed incontra un tale di nome Federico, un uomo con il quale lo stesso Salvador ha avuto una relazione. In seguito ad una tac, Salvador scopre la vera causa di uno dei suoi malesseri fisici, ossia quel malessere che gli impedisce di bere ( e di mangiare ) e con gioia non è un tumore, ma una rara malattia che può essere curata grazie ad un intervento.
Il film drammatico ( e in un certo senso biografico ) del noto e apprezzato regista spagnolo Pedro Almodovar ha come attore principale il celebre Antonio Banderas che ha interpretato una rappresentazione cinematografica dello stesso Almodovar e alcune scene mostrano la complessa infanzia del personaggio principale ( Salvador Molla ), grazie a queste scene si comprende che lui da bambino aveva un' intelligenza prodigiosa, tanto da aver insegnato ad un giovane muratore analfabeta a leggere e anche a scrivere, amava la lettura ed era portato per il canto e proveniva da una famiglia non abbiente, infatti lui è i suoi genitori hanno vissuto all' interno di una grotta adibita ad abitazione, e sua madre Jacinta ( impersonata dalla leggendaria Penelope Cruz ) è stata accanto a suo figlio nel corso della sua infanzia. È possibile constatare che questa pellicola somiglia ad un altro film intitolato È Stata La Mano Di Dio , del regista italiano Paolo Sorrentino : I due protagonisti sono delle " rappresentazioni " dei registi stessi e i due lungometraggi trattano le loro vite , però, nel film di Almodovar il personaggio principale è molto simile al regista ( perché Antonio Banderas ha gli stessi capelli e una barba di pochi giorni che fanno parte dell' aspetto di Pedro Almodovar ) ed anche il suo abbigliamento variopinto e originale è un tratto distintivo del personaggio principale e del regista stesso, tra l'altro, nel film di Paolo Sorrentino il personaggio principale è decisamente più giovane e non ci sono delle scene dove viene mostrata la sua infanzia, i due lungometraggi, pur avendo delle caratteristiche che li rendono simili tra di loro , ci sono delle differenze palesi, a cominciare dallo stile del regista Pedro Almodovar : anche in questo film sono presenti le abitazioni i cui interni sono colorati, per giunta, il film si conclude felicemente , perché l' intervento riesce e il regista Salvador Molla scrive un film che tratterà la sua storia : El Primo Deseo.
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francesca meneghetti
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martedì 28 maggio 2019
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il corpo è l'uomo (leopardi)
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La sequenza più insolita del film è data dal rapido susseguirsi, in movimento, di immagini medico-scientifiche che scandagliano, anche in 3D, il corpo umano: cervello, ossa, muscoli, sistema venoso e arterioso, cuore, polmoni e così via. La sola cifra che consente il collegamento con il resto del film è il colore vivace: ci riporta a quel kitsch eccessivo, ma pur sempre vivo, che è sempre stato il leit motiv di tanti di tanti film di Almodóvar. Si ritrova anche in Dolor y Gloria, dove esplodono spesso il bianco, il rosso, il verde-azzurro, l’ocra, spesso accostati tra loro in barba alle regole dell’armonia, anche a fare da sfondo a primi piani di personaggi che sembrano ritagliati. Ma sicuramente qui il kitsch è più misurato, così come un velo morbido sembra sfumare tutto: colori, ritratti, situazioni, dialoghi, colonna sonora (Alberto Iglesias, ma incorpora anche un melodioso pezzo di Pino Donaggio cantato da Mina, “Come una sinfonia”).
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La sequenza più insolita del film è data dal rapido susseguirsi, in movimento, di immagini medico-scientifiche che scandagliano, anche in 3D, il corpo umano: cervello, ossa, muscoli, sistema venoso e arterioso, cuore, polmoni e così via. La sola cifra che consente il collegamento con il resto del film è il colore vivace: ci riporta a quel kitsch eccessivo, ma pur sempre vivo, che è sempre stato il leit motiv di tanti di tanti film di Almodóvar. Si ritrova anche in Dolor y Gloria, dove esplodono spesso il bianco, il rosso, il verde-azzurro, l’ocra, spesso accostati tra loro in barba alle regole dell’armonia, anche a fare da sfondo a primi piani di personaggi che sembrano ritagliati. Ma sicuramente qui il kitsch è più misurato, così come un velo morbido sembra sfumare tutto: colori, ritratti, situazioni, dialoghi, colonna sonora (Alberto Iglesias, ma incorpora anche un melodioso pezzo di Pino Donaggio cantato da Mina, “Come una sinfonia”). Sono diverse le possibili chiavi di lettura del film: l’autobiografia, il racconto della crisi creativa di un regista sessantenne, Salvador, la nostalgia del passato, che include un’infanzia povera, ma felice a Paterna, un paesino dell’area valenciana (almeno fino al passaggio al seminario, per poter studiare), e una giovinezza libera e trasgressiva nella capitale, e un grande amore omosessuale troncato con dolore. Ma forse il nucleo pesante del film è dato dal tema del corpo: fonte di piacere da giovani, radice di ogni dolore, fisico e psicologico, quando avanzano gli anni (E il corpo è l’uomo, scriveva Leopardi nel Dialogo di Tristano e di un amico!). Finché l’organismo ci propina un dolore al giorno si può restare atei, dice Salvador, ma, quando di notte i dolori ingombrano corpo e anima, il cervello va in tilt, la laicità pure e si finisce per pregare. Salvador è afflitto da mal di testa, mal di schiena, depressione e da una terribile disfagia che lo porta a pensieri cupi e accentua la depressione: così non vuole uscire, non scrive, non fa ciò per cui sente di essere nato: girare film (perché per farlo ci vuole fisico). Ma poi la matassa aggrovigliata dei dolori aggrappati al passato comincia a dipanarsi, e si ritrova il filo giusto, la via di fuga. Nello schema narrativo si alternano racconti del presente, spesso girati in spazi interni, con molti primi piani, opportunamente illuminati, per dare risalto alle espressioni del viso e ai moti dell’anima, con sequenze in flashback (forse non del tutto autentiche…) Una delle più belle è a metà tra il neorealismo e l’Odissea di Omero: la bellissima mamma di Salvador bambino (Penelope Cruz), come Nausicaa, lava i panni nel fiume e li distende sui cespugli ad asciugare, contando una dolcissima canzone. Notevole anche l’arrivo a Paterna, tutta bianca, con le sue case, e le grotte, come quelle di Matera, dove finirà per vivere la famiglia del futuro regista. La maturità di Almodóvar lo ha portato a rifuggire dagli eccessi (e se ciò avviene è con una certa leggerezza), dalle trame complicate e inverosimili, dai trucchi istrionici per emozionare. Basta, per questo, una materia autentica e universale, come il dolore per la morte di una madre tanto amata, un dolore prima rimosso, poi affrontato dopo aver toccato il fondo (cercando l’oblio nell’eroina fumata: esperienza, per altro, che appartiene a Salvador ma non ad Almodóvar) . Del resto i colpi di scena degni del miglior cinema non mancano. Giustamente premiata l’interpretazione di Antonio Banderas, ma spacca anche quella di Asier Etxeandía, nella parte di Alberto Crespo, attore amato e poi rinnegato di Salvador, il cui ingresso in scena, molto rock, ricorda il migliore Johnny Depp.
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(di ragnetto46)
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