jack cinema
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mercoledì 24 gennaio 2018
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il principe incompleto
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Delusione.
Un film concepito male.
A parte la scarsa e forzata somiglianza fisica e timbrica, il film non rende giustizia ne' alla persona ne' all'artista.
Chi si avvicinasse al personaggio seguendo la sceneggiatura ne avrebbe l'idea di un genio le cui opere scaturiscono quasi per caso, tra una scopata in un bordello, una scappata extraconiugale e una sbronza in qualche bar tra i carrugi.
Il suo carattere goliardico e seduttore, che emerge tra gli anfratti della sua timidezza, e' infatti l'ultimo aspetto che dovrebbe avere risalto, non perché non sia reale o non sia parte integrante della sua vita, ma per due motivi: primo perché un personaggio così schivo e così ostico ai riflettori avrebbe fatto a meno di "raccontarsi" al grande pubblico nelle sue vesti più intime, secondo perché ne esce fortemente indebolita la sua parte più sensibile, quella che ha dato vita ai personaggi più "umani", che raccontano le storie di tutti i giorni delle persone di tutti i giorni.
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Delusione.
Un film concepito male.
A parte la scarsa e forzata somiglianza fisica e timbrica, il film non rende giustizia ne' alla persona ne' all'artista.
Chi si avvicinasse al personaggio seguendo la sceneggiatura ne avrebbe l'idea di un genio le cui opere scaturiscono quasi per caso, tra una scopata in un bordello, una scappata extraconiugale e una sbronza in qualche bar tra i carrugi.
Il suo carattere goliardico e seduttore, che emerge tra gli anfratti della sua timidezza, e' infatti l'ultimo aspetto che dovrebbe avere risalto, non perché non sia reale o non sia parte integrante della sua vita, ma per due motivi: primo perché un personaggio così schivo e così ostico ai riflettori avrebbe fatto a meno di "raccontarsi" al grande pubblico nelle sue vesti più intime, secondo perché ne esce fortemente indebolita la sua parte più sensibile, quella che ha dato vita ai personaggi più "umani", che raccontano le storie di tutti i giorni delle persone di tutti i giorni.
Gli "ultimi", i dimenticati.
L'assassino, la prostituta, il ladro di cervi, la transessuale, il soldato con un segreto amore omosessuale.
Quelsottobosco urbano, quel "sottoproletariato", come lui stesso lo definiva, di cui il Miche' suicida in cella era espressione, raccontato con parole così profonde, o un Geordie che lui sentiva quasi come un terzo figlio suo, e per la cui sorte provava una empatia tale da dedicargli versi memorabili.
Quei versi scaturiscono da uno studio accurato di tempi lontani, da una passione per l'umanità e per i suoi errori, per la storia, che solo un approfondimento culturale, musicale, antropologico, poetico, a partire dai tempi degli apostoli dei vangeli apocrifi della buona novella al "vecchio professore" della città vecchia passando per il medioevo del "Re fa rullare i tamburi" possono generare, con tanta dolcezza nel raccontare episodi spesso cruenti o violenti.
Di questo studio, di questa passione, di tanto impegno nelle lotte sociali, solo qualche cenno in tre ore di sceneggiatura.
Non una scena di impegno sociale o di discussione sulla pena di morte, ad esempio, non un accenno del Gorilla di Brassens.
Non una parola sugli accadimenti contemporanei, sulle lotte e sulle conquiste sociali, sulle guerre, sulle emarginazioni, sulle violenze, non un riferimento a quella "Storia sbagliata" di Pasolini ucciso, mentre ci sarebbe stato tanto da dire, da raccontare, da suonare.
Si, l'amico Tenco morto suicida gioca un ruolo fondamentale, e Preghiera in gennaio ne è buona testimonianza, ma tutto il resto?
Pare che tutti i personaggi di Spoon River (Fernanda Pivano e' nominata solo per nome e pochi sanno cosa ha tradotto) siano nati quasi per caso, o come se il Bombarolo fosse un gentile omaggio con l'acquisto di una stecca di sigarette, e che il Maggio parigino lui l'abbia vissuto solo tra le braccia di Dori, isolandosi dal mondo. Non è così.
Fabrizio e' sempre stato accanto ad ogni singolo essere umano che compie la sua lotta, giorno per giorno, e la sua anarchia più profonda e' sicuramente frutto di incontri, di dialoghi, di partecipazione e di uno studio che in questo film paiono essere non pervenute, salvo sporadiche battute.
In tre ore di film almeno tre scene di sesso, di tradimento, di sbronze, e di immancabile fumo.
Non che non dovessero essere raccontate, anzi sono aspetti che fanno parte di quelle umane debolezze e fallibilità di cui Faber stesso era innamorato negli altri esseri umani, e di quella indole anarchica che e' stata il manifesto della sua vita, ma farne i caratteri dominanti di una personalità così poetica e profonda, tralasciandone invece la parte umanistica e intellettuale, quella cioè che ha fatto il genio delle sue creazioni, mi pare del tutto riduttivo e parziale.
Anche degli amici e dei colleghi di cui si circonda, a Genova come a Tempio, quegli amici che costituiscono l'humus intellettuale e musicale di un impegno fervido e creativo, poco viene raccontato: La PFM neanche citata, Mauro Pagani, Ivano fossati, Giampiero Reverberi, neanche nominati, e neanche un cenno, neanche un fotogramma, su quel folletto di Mark Harris, il geniale arrangiatore, tastierista, suonatore di bandoneon, al quale si devono, tra le tante altre cose, tutti gli intro elettronici sperimentali del disco dell'indiano.
Un disco di svolta post rapimento, che sarebbe stato bello raccontare con qualche accenno anche nelle sue tracce più oniriche o fantasiose, come i Verdi Pascoli o Franziska.
Capisco che non si possa fare una monografia d'autore in un film, e che forse neanche era lo scopo del film.
Ma in tre ore di (troppo)lungometragggio, forse qualche pezzo significativo in più l'avrei messo, magari spiegandone nella sceneggiatura la genesi.
Parlo per esempio di qualche traccia dalla "buona novella", così come della Giovanna D'Arco, o della Princesa che "a un avvocato di Milano ha rubato il cuore", o della stessa "Geordie"
Parlo della interpretazione dei comandamenti nel Testamento di Tito, che è di fatto una rivelazione della sua umanità e un "j'accuse" ai benpensanti clericali.
Quindi era lui, era la sua personalità, erano le sue idee. Era il Fabrizio da raccontare.
Se per tre volte ritorna la stupenda "canzone dell'amore perduto", si sarebbe potuto fare cenno anche a quei Rom di Khorekane' in Anime Salve, di una cultura lontana dalla sua terra ma che per lui costituiva una "goccia di splendore", ad esempio.
Tra l'altro un film pieno anacronismi musicali funzionali -a detta di altre critiche- ad una scelta consapevole e ad un adattamento estetico, ma che a me pare un controsenso, se si vuole narrare la vita di un "cantastorie" le cui opere sono figlie del loro tempo, sia da un punto di vista socio-politico che da un punto di vista estetico.
Nulla nasce per caso, neanche il Don Raffaè, ipotesi di quel Raffaele Cutolo che emerge dai ritratti di una società marginale permeata dal potere mafioso, che evidentemente Faber aveva avuto il tempo di analizzare, studiare, capire.
Invece nel film non c'è traccia di quel tempo di studio sociale ne' tantomeno di una canzone che sarà destinata ad essere annoverata tra i capolavori di un artista a tutto tondo, che parlava, scriveva, cantava e pensava in dialetti diversi e di luoghi diversi, da Genova all'oriente, da Napoli alla Gallura, facendo di ogni idioma una lingua sua e universale, ed universalmente espressiva, come un grammelot senza finzione fonetica.
Un film quindi che pare incompiuto e incompleto, non adatto a far conoscere alle nuove generazioni un De Andre' poeta, e musicista, anarchico e profondo, intellettuale e amante del proletariato, di famiglia borghese ma dalla vita umile; e al contempo non efficace per chi ne conosce già il carattere e le opere, e che forse nutre aspettative di rappresentazione più ad ampio spettro.
Da segnalare un ottimo Fantastichini nei panni di Giuseppe De Andre', che però ruba a mio avviso troppa scena al racconto del figlio.
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(di maria)
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kimkiduk
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mercoledì 24 gennaio 2018
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conferma di marinelli
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Film interessantissimo, fatto molto bene e che ha rappresentato il più grande cantautore/poeta italiano, senza ombra di dubbio, dall'infanzia alla fama.
Personalmente ho scoperto un Faber diverso da come lo immaginavo, ma non sono un curioso di gossip quindi molte notizie le ho scoperte dal film.
Quello che affascina è la Genova nei suoi caruggi e la grande presenza in quegli anni di una numerosa comunità culturale/musicale che mi ha fatto pensare in proporzione alla Parigi degli anni 60/70 ed alla vita sregolata di quel periodo effervescente.
E' storia conosciuta ma sempre bella da vedere accostata a dei personaggi come De André e come Villaggio o Tenco.
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Film interessantissimo, fatto molto bene e che ha rappresentato il più grande cantautore/poeta italiano, senza ombra di dubbio, dall'infanzia alla fama.
Personalmente ho scoperto un Faber diverso da come lo immaginavo, ma non sono un curioso di gossip quindi molte notizie le ho scoperte dal film.
Quello che affascina è la Genova nei suoi caruggi e la grande presenza in quegli anni di una numerosa comunità culturale/musicale che mi ha fatto pensare in proporzione alla Parigi degli anni 60/70 ed alla vita sregolata di quel periodo effervescente.
E' storia conosciuta ma sempre bella da vedere accostata a dei personaggi come De André e come Villaggio o Tenco.
Per il resto si conferma la dote recitativa di Marinelli, a volte quasi identico, per quello che ci ricordiamo noi ed ormai da definire come il miglior attore italiano attualmente.
Unica pecca, purtroppo rilevante è la mezz'ora del sequestro che risulta alla pari di Carabinieri 5 fiction tv e che forse si poteva accorciare vista la durata del film, che sicuramente ne avrebbe guadagnato in leggerezza e in realismo.
La sala era piena di martedì, 11 euro come evento speciale (tantino direi), ed età media 30 anni di cui ne sono rimasto colpito e molto contento. La sala piena per un film di 3h.13'' fa molto piacere e dà speranza a chi ama il cinema.
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han-solo
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mercoledì 24 gennaio 2018
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non era facile
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ma in sostanza ce l'hanno fatta. L'uso della musica un po' in originale un po' reinterpretata, è ottimo. Valentina mi ha ispirato molta simpatia per una Dory Ghezzi che, la vera, non ho mai amato. Difetto pesante è la mancanza di "genovesità", fra cui, gravissimo, Gobbi che interpreta Villaggio con accento che a me è parso vagamente toscano. Comunque assente l'humour genovese.
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maria
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mercoledì 24 gennaio 2018
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dolcissimo fabrizio
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Il film fa emergere, del nostro amato Fabrizio, più la dolcezza, la fragilità, i dubbi che l'aspetto trasgressivo che ha connotato buona parte della sua vita e dei suoi testi giovanili. Si tratta, credo, di una scelta precisa forse legata anche al mezzo televisivo(il film nasce infatti come fiction Rai): ma ottiene lo scopo di scavare in profondità nel personaggio ed arricchirlo. Ciò si deve ad un'ottima sceneggiatura, ad un inserimento sapiente delle canzoni nella colonna musicale e soprattutto ad uno splendido Luca Marinelli che, in tutto diverso da Fabrizio nel fisico e nell'accento, è riuscito a rappresentarne l'anima, commuovendoci senza alcuna retorica. Bravi anche tutti gli altri, in particolare Valentina Bellè nella parte di Dori Ghezzi.
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