massimotorre
|
martedì 5 settembre 2017
|
a ciambra di j.c. e' un film di rara bellezza
|
|
|
|
Bellezza formale. Dello sguardo potente del regista, del suo personale, originale, linguaggio cinematografico. Iperrealisticoimpressionista. Bellezza della cruda natura umana. Bellezza drammaturgica. Bellezza dello scavo alla ricerca di una rivelazione. Bellezza poetica. Bellezza irresistibile dei personaggi. Di un film che lascia senza fiato. Dall'inizio alla fine.
Bellezza del Cinema quando risponde alla sua vocazione. Finalmente!!
|
|
[+] lascia un commento a massimotorre »
[ - ] lascia un commento a massimotorre »
|
|
d'accordo? |
|
fabriziodividi
|
sabato 2 settembre 2017
|
"a ciambra" e il realismo magico di jonas carpignano
|
|
|
|
Si può leggere in molti modi il film "A Ciambra" di Jonas Carpignano. Come un documentario socio-antropologico che impietosamente descrive la realtà di un territorio del tutto al di fuori dello stato civile. Una sorta di enclave, "a ciambra" appunto, spartita tra clan di etnie diverse e popolata da "Brutti, sporchi e cattivi" senza ideali né speranze e privati anche di quel sarcasmo con cui Ettore Scola aveva paradossalmente addolcito il dramma dei baraccati delle periferie; personaggi talmente reali, nello sconcertante vuoto culturale in cui sono immersi, da assumere valore entomologico e di denuncia. Il racconto di un'educazione criminale diventa dunque pretesto per raccontare la storia di un'adolescenza perduta e con poche via di uscita, prima fra tutte l’amicizia –non scontata- con un membro della comunità africana; ma anche guidata da sottili forme di iniziazione sociale che stringono come una morsa il destino del protagonista.
[+]
Si può leggere in molti modi il film "A Ciambra" di Jonas Carpignano. Come un documentario socio-antropologico che impietosamente descrive la realtà di un territorio del tutto al di fuori dello stato civile. Una sorta di enclave, "a ciambra" appunto, spartita tra clan di etnie diverse e popolata da "Brutti, sporchi e cattivi" senza ideali né speranze e privati anche di quel sarcasmo con cui Ettore Scola aveva paradossalmente addolcito il dramma dei baraccati delle periferie; personaggi talmente reali, nello sconcertante vuoto culturale in cui sono immersi, da assumere valore entomologico e di denuncia. Il racconto di un'educazione criminale diventa dunque pretesto per raccontare la storia di un'adolescenza perduta e con poche via di uscita, prima fra tutte l’amicizia –non scontata- con un membro della comunità africana; ma anche guidata da sottili forme di iniziazione sociale che stringono come una morsa il destino del protagonista. Pio, in fondo, è un ragazzo che cerca una sua strada, vuole mostrarsi adulto agli occhi dei familiari e crearsi una vita “normale” di affetti e amicizie, un futuro insomma. Un tema più volte sviluppato dal cinema in maniera più o meno poetica, dai "400 colpi" ai “Figli della violenza” e più recentemente "La Bas”, in cui la criminalità appare spesso, illusoriamente, come unica via d'uscita per una vita dignitosa. Ma questo film è, soprattutto, vero cinema. Funzioni proprie della tradizione neorealista come scelta di attori non professionisti, utilizzo del dialetto, di ambientazioni reali, non impediscono che una sceneggiatura a orologeria si sgrani progressivamente in tutta la sua lucida costruzione. E, nel contempo, la struttura narrativa denota fedeltà agli stilemi del cinema di genere. Infatti, pur in una confezione sorprendente, soprattutto dal punto di vista dell'inquadratura e del montaggio, A Ciambra si rivela fondamentalmente un film di mafia; una sorta di "Goodfellas" 2.0 dove la crescita personale è impastata di piccola criminalità, facili guadagni, tradimento, cieca fedeltà alla famiglia qualunque cosa accada, emulazione degli adulti. E anche gli ambienti e le situazioni sono i medesimi: le riunioni familiari, l’immancabile funerale, i sistemi patri/matriarcali, le ritorsioni e i ricatti, la “strada” che forma e ti forgia sempre più e meglio delle istituzioni scolastiche. Poi però il film comincia a volare, ancora più in alto. Mi piace pensare che Martin Scorsese, co-finanziatore del film con il suo fondo per autori emergenti, nonché autore de “Il mio viaggio in Italia”, vero atto d’amore per il cinema italiano, se ne sia innamorato anche per via di quel cavallo grigio che in alcuni dei momenti topici del racconto appare come una visione. Simbolo di fuga, sogni perduti, libertà certo; ma soprattutto citazione di uno dei più grandi film sulla criminalità nell'infanzia. Quel “Sciuscià” di Vittorio De Sica che nel 1946 vinceva il suo primo Oscar raccontando il mondo di una generazione di fanciulli senza speranza e per nulla consolatorio; dove si rischiava di diventare criminali per sbaglio, solo a causa della estrema povertà della società, e dove il medesimo (lo stesso?) cavallo assurgeva ad apparizione sovrannaturale, liberatoria e di speranza. Una meravigliosa coincidenza forse, ma non per questo meno magica ed emozionante. Fabrizio Dividi
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabriziodividi »
[ - ] lascia un commento a fabriziodividi »
|
|
d'accordo? |
|
fabiofeli
|
giovedì 31 agosto 2017
|
carpignano, un regista nato imparato
|
|
|
|
Pio Amato (interpretato da lui stesso) ha 13 anni; vive con una ampia famiglia Rom in una periferia di una periferia, a Ciambra, ai margini di Gioia Tauro. Il passato familiare affiora solo nei sogni di Pio, quando –racconta il nonno – loro erano “liberi e contro tutti”, a girare con un cavallo per il mondo. Oggi l’incastro è vivacchiare di furti di auto e valigie, raccogliere ferro e rame, rubare energia elettrica con un filo collegato alla rete pubblica. Ogni tanto si verifica un assalto con bottiglie incendiare da parte di razzisti locali e una perquisizione della polizia. Solo la comunità africana lì vicino, i “marocchini” come li chiamano i Rom, sembra condurre una vita più miserabile, ma per altro molto più spensierata.
[+]
Pio Amato (interpretato da lui stesso) ha 13 anni; vive con una ampia famiglia Rom in una periferia di una periferia, a Ciambra, ai margini di Gioia Tauro. Il passato familiare affiora solo nei sogni di Pio, quando –racconta il nonno – loro erano “liberi e contro tutti”, a girare con un cavallo per il mondo. Oggi l’incastro è vivacchiare di furti di auto e valigie, raccogliere ferro e rame, rubare energia elettrica con un filo collegato alla rete pubblica. Ogni tanto si verifica un assalto con bottiglie incendiare da parte di razzisti locali e una perquisizione della polizia. Solo la comunità africana lì vicino, i “marocchini” come li chiamano i Rom, sembra condurre una vita più miserabile, ma per altro molto più spensierata. La guerra tra ‘ndrangheta e carabinieri la vince la malavita, che lascia l’appalto dei piccoli furti ai Rom. Pio vorrebbe crescere per dare un minimo sostegno alla famiglia mentre i fratelli più grandi e il padre sono in carcere. La sua vita è dura e lo piega a una scelta dolorosa tra le necessità familiari e il tradire un amico di colore (Koudos Seihon, già apparso in Mediterranea dello stesso regista) …
Una storia di formazione in una realtà complicata come il paesaggio devastato dai rifiuti che lo riempiono. Il racconto di Carpignano è senza filtri e (pre)giudizi. La scala di valori che adotta Pio è del tutto diversa da quella nostra. Pio non sa leggere, ma sa aprire e far partire un’auto da rubare. Stringe un’amicizia che tradisce, ma il furto è una via per sopravvivere, percorsa con un motorino con un affanno pari a quello dei protagonisti dei Quattrocento colpi e di Fino all’ultimo respiro di Truffaut. Tutto viene descritto senza sovrapposizioni o sovrastrutture con piglio Rosselliniano; i sottotitoli rendono comprensibile il calabrese parlato dai Rom, ormai immemori della loro lingua. E’ un fuoco d’artificio la scena della cena in casa Amato, descritta con ritmo serrato in modo e tempi naturali: l’opposta valutazione tra donne e uomini del vino durante i pasti sono un piccolo gioiello, come il rimbalzare del fratellino di 3 anni di Pio; il piccolo fuma come il protagonista, si esprime in modo incomprensibile come il nonno, ma è in grado – a detta del regista – di sostituire da solo una gomma ad un’auto. Gli attori recitano se stessi come quelli de Il sogno più grande di Vannucci senza incertezza e sbavature. La colonna sonora con rap e rock è coinvolgente. Il primo film di Carpignano – Mediterranea – è stato un successo a Cannes nella settimana della Critica due anni fa, ma è apparso appena nelle sale italiane grazie ad una distribuzione indipendente. A Ciambra approda a Venezia col suo regista, sicuro e disincantato come un novello Xavier Dolan. Un film da vedere con occhi nuovi per entrare nella vita reale dei Rom e riflettere – lo ribadiamo – senza pregiudizi. Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabiofeli »
[ - ] lascia un commento a fabiofeli »
|
|
d'accordo? |
|
vanessa zarastro
|
mercoledì 30 agosto 2017
|
come si diventa grandi a ciambra
|
|
|
|
Ciambra è una piccola comunità Rom calabrese insediatasi nella via omonima alla periferia di Gioia Tauro, e Jonas Carpignano è il trentatreenne regista che ha scelto di vivere in quella zona e di raccontare le loro condizioni di vita. Il film, di fatto, fornisce l’occasione di uno slice of life anche su varie comunità che vivono in quel contesto, e sulla problematica dei loro rapporti. La storia narrata dal film è quella dell’iniziazione del quattordicenne Pio Amato, che diventerà adulto attraverso una serie di prove. La famiglia Amato è una grande famiglia Rom, una fra tante, che vive in una condizione marginale. I bambini non sanno leggere, non frequentano la scuola ma “a tre anni sanno già cambiare una gomma da soli e a 11 guidare un camion” come racconta il giovane regista Carpignano presente all'anteprima dell'Arena Nuovo Sacher per introdurre insieme a Nanni Moretti il film.
[+]
Ciambra è una piccola comunità Rom calabrese insediatasi nella via omonima alla periferia di Gioia Tauro, e Jonas Carpignano è il trentatreenne regista che ha scelto di vivere in quella zona e di raccontare le loro condizioni di vita. Il film, di fatto, fornisce l’occasione di uno slice of life anche su varie comunità che vivono in quel contesto, e sulla problematica dei loro rapporti. La storia narrata dal film è quella dell’iniziazione del quattordicenne Pio Amato, che diventerà adulto attraverso una serie di prove. La famiglia Amato è una grande famiglia Rom, una fra tante, che vive in una condizione marginale. I bambini non sanno leggere, non frequentano la scuola ma “a tre anni sanno già cambiare una gomma da soli e a 11 guidare un camion” come racconta il giovane regista Carpignano presente all'anteprima dell'Arena Nuovo Sacher per introdurre insieme a Nanni Moretti il film. C’è Jolanda, una sorta di mater familias che gestisce tutto e prende le decisioni, coinvolgendo il marito, che talvolta è in prigione o agli arresti domiciliari. Pio è un ragazzo quattordicenne che ha fretta di crescere, beve e fuma già come un adulto (ma non fuma anche il fratellino di tre anni?). I suoi modelli di vita sono rappresentati in primis dal nonno, che rimpiange un passato di libertà, dal padre e dal fratello. Uno dei traffici che svolgono i maschi della comunità è il riciclaggio e la trasformazione del rame (rubato) che una volta fuso viene venduto a peso. Per il resto sono furti di diversa entità, dalle auto in sosta alle valigie sui treni. Ma il racket è controllato dagli “italiani” (‘ndrangheta?), che prendono il pizzo e che spesso mettono in rapporto il derubato con i rapinatori per una restituzione sotto compenso. Tutta la vita della famiglia è costellata da illegalità anche nelle cose di ordinaria amministrazione come ad esempio l’aggancio abusivo della luce.
Vivono e lavorano anch’essi nella piana di Gioia Tauro i braccianti africani (chiamati genericamente “marocchini” dai Rom), provenienti prevalentemente dal Gahna e dalla Nigeria. Sembrerebbe, in generale, che gli africani e i rom abbiano una specie di convivenza pacifica nel relativo rispetto dei propri ruoli e nel distacco dell’ignorarsi reciprocamente. I neri vivono in una tendopoli molto vicino all’insediamento della famiglia Amato. La loro vita si svolge in collettività, sono allegri, colorati, rumorosi e ospitali, in palese contrasto con quello che la società malavitosa locale esprime. Pio, il figlio quattordicenne degli Amato, stringe amicizia con il personaggio impersonato dal bellissimo Koudous Sihon, al quale ricorre per ogni affare – rivendita di I-pad o altri oggetti – e per ogni altro problema, in assenza di attenzioni familiari. Alcune scene sono bellissime come quella l’accoglimento di Pio nella comunità nera quando arriva con il televisore in tempo per vedere la partita di calcio del Gahna. Così pure alcuni momenti di grande dolcezza nella crescita del rapporto di amicizia tra Pio e Koudous. Ma, quando il fratello Cosimo glielo richiederà come una delle prove della sua acquisita maturità, con le lacrime negli occhi, Pio tradirà l’amico in nome la famiglia.
Carpignano ha voluto girare una sorta di documentario su questa realtà sociale. Ma più che un film sulla comunità è stato un film con la comunità. Un cinema-verità dove il regista non ha mai imposto un modello sul reale e ha lasciato che, in qualche modo il film si costruisse da solo riprendendo brani di vita della famiglia Amato. Dice Jonas: «Il film è stato adattato alla vita reale, pur mantenendo la struttura drammatica del racconto» presente all'anteprima dell'Arena Nuovo Sacher di Roma per introdurre insieme a Nanni Moretti il 29 agosto. Penso che il lavoro svolto da Jonas Carpignano sia meritevole di lodi sia per le intenzioni che per lo spirito con cui ha condotto il lavoro il suo desiderio è di mostrare una realtà per come viene vissuta dai suoi protagonisti senza scorciatoie o edulcorazioni, perché il problema è proprio quello di poter imparare ad accettare gli altri.Inoltre, il suo è molto più che un film neorealista con attori della strada e si legge tra le righe che il giovane regista possiede una buona cultura cinematografica nella confezione del film. Meno felice, forse, è l’introduzione dell’immagine simbolica del cavallo, come a ricordare una situazione atavica perduta. Rimane un dubbio su tutta l’operazione: non potrebbe il film essere strumentalizzato per fomentare una generalizzazione sulla vita dei Rom ai limiti del legale?
Martin Scorsese ha deciso di finanziare il film con i fondi dedicati ai filmmaker emergenti, dopo aver visto letto il libro (prevalentemente di foto) elaborato dallo stesso regista. Jonas Carpignano è un giovane italiano cresciuto a New York che ha già ottenuto vari premi con Mediterranea del 2015 come ad esempio ilTelia Film Award a Stoccolma nel 2015 per la Migliore Opera Prima e per il miglior attore a Koudous Seihon. A Ciambraè stato premiato come Miglior Film Europeo al 70esimo Festival di Cannes.La pellicola, che è nella selezione «Contemporary World Cinema» del Toronto Film Festival ed è in concorso per gli European Film Awards 2017
[-]
[+] critica inesistente.
(di oldgianpaolo)
[ - ] critica inesistente.
[+] scrivere bene
(di angeloumana)
[ - ] scrivere bene
|
|
[+] lascia un commento a vanessa zarastro »
[ - ] lascia un commento a vanessa zarastro »
|
|
d'accordo? |
|
|