vanessa zarastro
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lunedì 9 maggio 2016
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vent’anni di etnie a confronto
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“Sole Alto” è un film intenso ed emozionante, realizzato con costi bassissimi: tre storie a distanza di 10 anni tutte nello stesso luogo e tutte con gli stessi attori. Lei serba lui croato. Il luogo si trova sulle rive di un lago a sud di Zagabria nella ex Jugoslavia.
Il film fa riflettere sulle conseguenze del razzismo, o meglio di odio etnico atavico, dove la convivenza è difficile e non si capisce neanche perché debba esserlo.
La prima storia ha luogo nel 1991 ed è sicuramente la più toccante: si svolge agli inizi del conflitto parla di Jelena e Ivan, una sorta di Giulietta e Romeo (o di West Side Story?), che vogliono scappare in città (Zagabria) per poter vivere tranquillamente la loro storia d’amore in un “anonimato protettivo”.
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“Sole Alto” è un film intenso ed emozionante, realizzato con costi bassissimi: tre storie a distanza di 10 anni tutte nello stesso luogo e tutte con gli stessi attori. Lei serba lui croato. Il luogo si trova sulle rive di un lago a sud di Zagabria nella ex Jugoslavia.
Il film fa riflettere sulle conseguenze del razzismo, o meglio di odio etnico atavico, dove la convivenza è difficile e non si capisce neanche perché debba esserlo.
La prima storia ha luogo nel 1991 ed è sicuramente la più toccante: si svolge agli inizi del conflitto parla di Jelena e Ivan, una sorta di Giulietta e Romeo (o di West Side Story?), che vogliono scappare in città (Zagabria) per poter vivere tranquillamente la loro storia d’amore in un “anonimato protettivo”. Le differenze tra la cultura serba e quella croata sono sottolineate anche attraverso la musica: il croato suona la tromba in una banda locale con musica tradizionale, il fratello serbo di Jelena, ascolta un altro tipo di musica in macchina.
La seconda storia ha luogo nel 2001 e rappresenta ciò che resta nel post-conflitto: tra le macerie delle case bombardate serbi e croati piangono i propri morti e non riescono a perdonarsi a vicenda rendendo difficili, se non impossibili, i rapporti tra le persone, in particolare tra i giovani, tra i ragazzi e le ragazze che invece potrebbero anche condividere un futuro assieme.
La terza storia si svolge nel 2011, ormai all’epoca della omologazione: la discoteca Sunshine compie il suo primo anno di vita e organizza una grande festa dove i ragazzi si sballano - «Hashish o striscia?»…«Tutte e due» dicono i ragazzi nel film - su musica puro ritmo, avendo perso qualsiasi riferimento al luogo, alle tradizioni, all’identità culturale. Luka ha messo in cinta Marija e cerca di divertirsi buttandosi nella mischia, ma poi torna all’ovile.
A mio avviso questo finale è troppo debole per dare un’interpretazione positiva sulla “riconciliazione” o sulla speranza di riappacificazione dei popoli, come alcune critiche hanno ravvisato. Il livello di tensione, di odio stupido e di pregiudizio è così alto per tutto il film che non c’è spazio per l’intesa e anche il rientro a casa di Luka alla fine sembra più un atto di rassegnazione determinato dai sensi di colpa, che non una libera scelta. Del resto questa ultima storia non sembra neanche essere guidata dalla diversa appartenenza.
Il film ha ottenuto un premio dalla giuria Certain Regard di Cannes con gli straordinari attori Tihana Lazovic, già nelle Shooting Stars berlinali e Goran Markovic attore di teatro al suo primo importante impegno cinematografico.
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aledor
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martedì 19 luglio 2016
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un climax (troppo) discendente
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C'è parecchio a lasciare insoddisfatti in questo film a tre episodi sul postbellico balcanico, basato sulle vicende di altrettante giovani coppie (lui serbo-lei croata, negli anni 1991, 2001 e 2011). Tre storie, stessa coppia di giovani attori (Tihana Lazovic, Goran Markovic): un amore contrastato al principio della guerra, un incontro conflittuale al tempo della ricostruzione, una coppia ritrovata e con un bimbo ai tempi d'oggi, o quasi.
Se pure le storie di giovani innamorati durante una guerra (corpo plastico della classica narrazione in cui l'Amore vince sull'Odio) restano un piacevole archetipo, qui il film di Matanic appare poco più che un prodotto consapevolmente destinato agli apprezzamenti di un pubblico radical-chic, che si contenta di partecipare entusiasticamente al contenuto senza domandarsi nulla sul contenitore, fiducioso della certificazione etica rilasciata dal regista (forte in questo caso della natura stessa degli eventi narrati).
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C'è parecchio a lasciare insoddisfatti in questo film a tre episodi sul postbellico balcanico, basato sulle vicende di altrettante giovani coppie (lui serbo-lei croata, negli anni 1991, 2001 e 2011). Tre storie, stessa coppia di giovani attori (Tihana Lazovic, Goran Markovic): un amore contrastato al principio della guerra, un incontro conflittuale al tempo della ricostruzione, una coppia ritrovata e con un bimbo ai tempi d'oggi, o quasi.
Se pure le storie di giovani innamorati durante una guerra (corpo plastico della classica narrazione in cui l'Amore vince sull'Odio) restano un piacevole archetipo, qui il film di Matanic appare poco più che un prodotto consapevolmente destinato agli apprezzamenti di un pubblico radical-chic, che si contenta di partecipare entusiasticamente al contenuto senza domandarsi nulla sul contenitore, fiducioso della certificazione etica rilasciata dal regista (forte in questo caso della natura stessa degli eventi narrati). Se ne colgono i sintomi nella fiducia incondizionata con cui egli affida alla protagonista femminile il timone emotivo delle tre storie, mettendone il faccione eternamente imbronciato a guardia di un puntuto provincialismo che il pubblico straniero, piaccia o no, non è obbligato a comprendere o ad accettare tout-court. Il risultato è che si capisce bene che l'amore prima o poi vincerà, ma si ha l'impressione che ci metterà parecchio e ci lascerà sicuramente di cattivo umore. Sole Alto, che tecnicamente zoppica in irritante regressione dal primo al terzo episodio, manca della maestria necessaria per aspirare a valori universali, e chiede troppo ad un cast uno e trino la cui recitazione evidenzia ad ogni episodio caratteristiche già viste dei personaggi e, si direbbe, dei loro attori. Forse un sano senso della misura (e uno speranzoso mezzo sorriso in più) avrebbero dato un girato intelligente e sorprendente, elegantemente artigianale, perfino divertente (di spunti ce ne sarebbero stati parecchi, specialmente nel secondo episodio) mentre in definitiva ci si trova ad assistere ad un prodotto ancora grezzo e pericolosamente vicino ad un laboratorio di recitazione all'aperto, con immancabili tramonti e volti pensosi a fare da noioso riempitivo.
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