gianleo67
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domenica 13 dicembre 2015
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l'impegno civico del cinema francofono
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Perso il lavoro come gruista il cinquantenne Thierry, marito e padre di un figlio disabile, accetta un incarico come vigilante in un centro commerciale. La sua precarietà professionale e le contingenti difficoltà economiche in cui versa però, non hanno scalfito il fondo di umanità e dignità personale con cui guarda ai piccoli e grandi soprusi di un mondo del lavoro che vorrebbe piegare tutto e tutti alla spietata logica del profitto ad ogni costo.
Le coordinate del cinema sociale e la impassibile analisi di uno civiltà del lavoro votata alla cinica mercificazione delle relazioni umane puntano, almeno nell'ultimo ventennio, indiscutibilmente verso il rigoroso impegno delle produzioni francofone (La vie rêvée des anges - 1998 -Erik Zonca ; La Promesse 1996 - Rosetta - 1999: Deux jours, une nuit 2014 Jean-Pierre e Luc Dardenne), le sole che sembrano aver saputo e voluto interpretare i mutamenti sotterranei che come un fiume carsico hanno eroso alle fondamenta i valori di solidarietà sociale e di rispetto individuale di un ideale socialdemocratico spazzato via dall'ondata neoliberista degli anni '90 e più ancora dalla globalizzazione dell'inizio del nuovo millennio.
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Perso il lavoro come gruista il cinquantenne Thierry, marito e padre di un figlio disabile, accetta un incarico come vigilante in un centro commerciale. La sua precarietà professionale e le contingenti difficoltà economiche in cui versa però, non hanno scalfito il fondo di umanità e dignità personale con cui guarda ai piccoli e grandi soprusi di un mondo del lavoro che vorrebbe piegare tutto e tutti alla spietata logica del profitto ad ogni costo.
Le coordinate del cinema sociale e la impassibile analisi di uno civiltà del lavoro votata alla cinica mercificazione delle relazioni umane puntano, almeno nell'ultimo ventennio, indiscutibilmente verso il rigoroso impegno delle produzioni francofone (La vie rêvée des anges - 1998 -Erik Zonca ; La Promesse 1996 - Rosetta - 1999: Deux jours, une nuit 2014 Jean-Pierre e Luc Dardenne), le sole che sembrano aver saputo e voluto interpretare i mutamenti sotterranei che come un fiume carsico hanno eroso alle fondamenta i valori di solidarietà sociale e di rispetto individuale di un ideale socialdemocratico spazzato via dall'ondata neoliberista degli anni '90 e più ancora dalla globalizzazione dell'inizio del nuovo millennio. Se questo appare come un esercizio che, come nel caso dei fratelli Dardenne, sembra rivolgersi in un formalismo accademico e tematico a volte eccessivamente programmatico, è pur vero che sembra aver fatto scuola nell'educare la sensibilità del pubblico come pure degli addetti ai lavori ad un modo di intendere il rapporto con il mezzo cinematografico come un veicolo di analisi sociologica e di riflessione etica sulle derive di un contesto culturale dove i modelli di pensiero e di comportamento vengono decisi a tavolino come qualunque altra strategia di marketing. Risulta quindi apprezzabile che la scelta del rigore di inquadrature fisse all'interno delle quali far muovere personaggi colti nella loro attonita quotidianità come pure nell'antiretorica di soluzioni espressive che rinuncino a qualsiasi compiacimento estetico o suggerimento etico, siano le uniche possibili con cui possiamo osservare la realtà del protagonista traendone le inevitabili conseguenze legate al suo rapporto con un mondo del lavoro solo apparentemente pacificato, dove la rinuncia al conflitto sociale e la sottomissione alle continue vessazioni di una assurda richiesta di flessibilità (le inefficience burocratiche dell'agenzia di collocamento, le umiliazioni del colloquio via Skype e quelle del gruppo di auto-analisi del 'candidato ideale', i suggerimenti avventurosi del consulente finanziario) sono nulla al confronto con le spietate pratiche di epurazione sociale che il diritto sembra concedere a chi governa sul campo le implacabili leggi del mercato. Se è vero che il problema sembra stare nel modello di benessere economico in cui le moderne società capitalistiche hanno confinato le classi meno protette, il film di Brizé si interroga però sulle più profonde e radicate qualità dell'uomo, sulla sua capacità di resistere in una lotta impari con forze che richiedono, in cambio della sussistenza economica e della sopravvivenza familiare, la rinuncia ad ogni residuo di dignità e di rispetto per sè stesso e per gli altri. La risposta che si dà però sfugge all'amarezza dell'abdicazione per diventare retoricamente consolatoria, racchiusa nel gesto finale di un uomo che 'licenzia' la sua azienda per un rapporto di fiducia che è venuto inesorabilmente meno. Presenza dolente e asciutta di uno straordinario Vincent Lindon, unico attore professionista giustamente premiato a Cannes per la migliore interpretazione maschile.
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fabiofeli
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mercoledì 11 novembre 2015
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un uomo da "rottamare"
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La legge del mercato di Stephane Brize / Thierry ha superato i 50 ed ha perso il lavoro da un paio di anni. Con pazienza cerca un nuovo impiego: i colloqui effettuati via Skype non danno risultati ed i corsi di formazione frequentati forniscono una preparazione alla quale manca sempre qualcosa per afferrare un nuovo lavoro. Ha un figlio disabile e probabilmente la moglie deve seguire il ragazzo senza poter contribuire al bilancio familiare. La banca non gli concede prestiti; potrebbe ipotecare la casa o stipulare un assicurazione sulla vita. Non riesce neanche a vendere la roulotte in riva al mare, frutto di precedenti risparmi, neanche dopo lunghe contrattazioni per una manciata di euro. Nel tempo libero frequenta con la moglie in un circolo un corso di rock e si esercita in casa con lei e con il figlio a ballare, per un momentaneo sollievo.
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La legge del mercato di Stephane Brize / Thierry ha superato i 50 ed ha perso il lavoro da un paio di anni. Con pazienza cerca un nuovo impiego: i colloqui effettuati via Skype non danno risultati ed i corsi di formazione frequentati forniscono una preparazione alla quale manca sempre qualcosa per afferrare un nuovo lavoro. Ha un figlio disabile e probabilmente la moglie deve seguire il ragazzo senza poter contribuire al bilancio familiare. La banca non gli concede prestiti; potrebbe ipotecare la casa o stipulare un assicurazione sulla vita. Non riesce neanche a vendere la roulotte in riva al mare, frutto di precedenti risparmi, neanche dopo lunghe contrattazioni per una manciata di euro. Nel tempo libero frequenta con la moglie in un circolo un corso di rock e si esercita in casa con lei e con il figlio a ballare, per un momentaneo sollievo. Finalmente lo chiamano come sorvegliante in un supermercato. Forse è la svolta attesa. Ma scopre ben presto che non è gratificante sventare piccoli furti di pensionati che non hanno i soldi per mangiare e, peggio ancora, che le telecamere nel negozio servono a controllare il personale delle casse, per evitare che sottragga i buoni sconto. L'effetto è che c'è chi perde il lavoro: la legge del mercato è mors tua vita mea, senza nessun riguardo per le persone di fronte al guadagno ... Vincent Lindon presta un viso espressivo al personaggio: un suo tremare di baffi, un suo sguardo angosciato comunicano il conflitto interiore. La cinepresa lo segue in lunghi piani sequenza, in oggettive ravvicinate e primi piani. Una tecnica ed un tema che fa pensare ai Dardenne. Il premio della giuria di Cannes come miglior attore non è usurpato. E la riflessione sullo strapotere del denaro che condiziona le vite di tutti in una competizione spietata intristisce e fa sperare , forse inutilmente, che finalmente qualcosa cambi. Un film da non mancare.
Valutazione *** e 1/2
FabioFelil
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guiddi
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sabato 7 novembre 2015
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un film verità lento con un finale interpretabile
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A parte la tematica interessante ma che comunque è già stata vista e rivista in altri film.
L'interpretazione del protagonista è quasi assente.
A parte una scena all'inizio e la scena della vendita del motorhome per tutto il film ci si limita a sguardi, mezze parole e poco più.
Rimanere svegli è veramente un'impresa titanica.
E il finale che arriva all'improvviso quando pensi che il film finalmente stia ingranando lasciandoti come un ebete a chiederti: si sarà licenziato? aveva finito il turno? continuerà a fare quel lavoro per campare perchè la società lo ha imbrigliato in un ruolo (mutuo da estinguere, figlio disabile, auto in panne da sostituire, ecc....) che non gli permette di variare in meglio la sua posizione attuale?
Insomma mi aspettavo molto di più o almeno un po' più di speranza.
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(di francesco2)
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menkauhor
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venerdì 6 novembre 2015
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splendido film
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Le voci, le parole, i ritmi della vita.
Un film sull'amore. Si, sull'amore profondo e sul rispetto che unisce tra loro i componenti la famiglia di Thierry.
La dignità semplice. L'onestà nella sua versione più rara, quella con se stessi.
Con discrezione, in punta di piedi, ti entra nell'anima, senza voler insegnare nulla.
Film splendido.
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flyanto
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venerdì 6 novembre 2015
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la durezza della realtà contemporanea
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Già il titolo "La Legge del Mercato" fa subito intuire che la tematica presentata nel film è dura e piuttosto spietata.
Il protagonista (Vincent Lindon) è un uomo di 51 anni che da un anno e mezzo, in quanto ha perso la propria occupazione, cerca un lavoro stabile. Armato di buona volontà, egli è costretto a scontrarsi con la dura realtà economica e sociale contemporanea e pertanto con la difficoltà, per di più in un' età più che matura, a trovare nuovamente un'occupazione stabile. Dopo svariate ed assidue ricerche egli viene impiegato come sorvegliante in un grande magazzino col compito di scoprire e fermare i possibili ladri.
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Già il titolo "La Legge del Mercato" fa subito intuire che la tematica presentata nel film è dura e piuttosto spietata.
Il protagonista (Vincent Lindon) è un uomo di 51 anni che da un anno e mezzo, in quanto ha perso la propria occupazione, cerca un lavoro stabile. Armato di buona volontà, egli è costretto a scontrarsi con la dura realtà economica e sociale contemporanea e pertanto con la difficoltà, per di più in un' età più che matura, a trovare nuovamente un'occupazione stabile. Dopo svariate ed assidue ricerche egli viene impiegato come sorvegliante in un grande magazzino col compito di scoprire e fermare i possibili ladri. Si scontrerà anche in questa situazione con una realtà ancora più dura e più tragica della sua personale sino ad arrivare al punto di abbandonare tutto....
Pellicola quanto mai vera, purtroppo, per la sua tematica attuale di una società economicamente in crisi in cui quello, come il lavoro, che dovrebbe costituire un diritto di ogni individuo, diventa al contrario una meta ambita e soprattutto appannaggio, e neppure stabile, di una ristretta cerchia di persone. Vincent Lindon, qui straordinariamente eccelso nella sua interpretazione, per la quale gli è valsa giustamente la Palma d' Oro come attore maschile all'ultimo Festival del Cinema a Cannes, impersona, appunto, un uomo comune di mezza età, appartenente alla società contemporanea che perde, come molti e suo malgrado, il lavoro e che, nonostante si dia da fare per cercare un'occupazione ed a trovarla, si trova in una situazione tale di disagio e di quasi "solidarietà", da essere costretto ad abbandonarla. Infatti, la realtà che il regista Stéphane Brizé descrive, non è quella solo dal punto di vista di chi, più fortunato di altri, riesce a reintegrasi nel mondo del lavoro, ma anche quella più nascosta e più terribile di coloro che, in virtù della profonda crisi economica, non riescono ad arrivare alla fine del mese con il proprio stipendio e si trovano costretti a rubare della merce (per lo più generi di prima necessità, ma pur sempre e giustamente considerati come un furto) e, qualora scoperti, costretti a ripagarla ed a confessare pubblicamente la propria grama e disperata condizione. Insomma, il valore di questa pellicola, non consiste tanto nella sua tematica, già peraltro più volte toccata in opere cinematograficamente precedenti,. ma nell' affrontarla da due punti di vista differenti che poi, in realtà, non sono che i due lati di una stessa medaglia e che accomunano tutti i molteplici individui della società odierna che giorno per giorno e sempre di più arrivano a perdere la propria dignità. E tutto ciò viene presentato da Brizé in maniera lucida e dolente attraverso lo sguardo quanto mai esplicativo del'ottimo Vincent Lindon, anch'egli facente parte di questa larga schiera di disperati per cui, almeno sino al momento attuale, non vi è molta speranza.
Ottimamente girato, profondamente sensibile e quanto mai crudo ma assolutamente da non perdere.
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filippo catani
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giovedì 5 novembre 2015
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dilemmi etici dei giorni nostri
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Un padre di famiglia ha perso da mesi il proprio posto di lavoro e non sa come fronteggiare le spese della famiglia e soprattutto quelle per il figlio disabile. L'uomo riesce però a farsi assumere come vigilante in un supermercato dove dovrà fare i conti con la propria coscienza.
Un po' Dardenne un po' Loach ma quì il regista è un bravissimo Brizè che con occhio lucido e nel breve volgere di 90 minuti ci mette davanti a una situazione tipica delle attuali leggi di mercato. Il ritmo è lento e compassato ma proprio per fare immergere lo spettatore nella pesantezza della vita del protagonista che, lasciato a casa dopo anni di lavoro nella sua vecchia azienda, si ritrova a doversi reinventare come vediamo in uno dei primi dialoghi al centro per l'impiego.
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Un padre di famiglia ha perso da mesi il proprio posto di lavoro e non sa come fronteggiare le spese della famiglia e soprattutto quelle per il figlio disabile. L'uomo riesce però a farsi assumere come vigilante in un supermercato dove dovrà fare i conti con la propria coscienza.
Un po' Dardenne un po' Loach ma quì il regista è un bravissimo Brizè che con occhio lucido e nel breve volgere di 90 minuti ci mette davanti a una situazione tipica delle attuali leggi di mercato. Il ritmo è lento e compassato ma proprio per fare immergere lo spettatore nella pesantezza della vita del protagonista che, lasciato a casa dopo anni di lavoro nella sua vecchia azienda, si ritrova a doversi reinventare come vediamo in uno dei primi dialoghi al centro per l'impiego. Naturalmente c'è tanto da fare anche in casa perchè insieme alla moglie si deve prendere cura del figlio che vorrebbe tanto entrare al politecnico. Ecco quindi che sembra presentarsi l'offerta giusta anche se sottopagata. Ecco è quì che lo spettatore tocca con mano la disperazione che serpeggia nelle nostre società ma non diciamo altro per non rovinare la visione allo spettatore. Basti dire che il protagonista si ritroverà a dover affrontare un dilemma di difficile soluzione: continuare a lavorare mettendo da parte la propria morale o lasciare il posto con tutte le conseguenze del caso ma salvare l'anima? Davvero toccante l'interpretazione del bravissimo Lindon che già avrebbe meritato più considerazione per il bellissimo ruolo interpretato in un altro film di grande attualità quale Welcome.
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nanni
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giovedì 5 novembre 2015
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la legge del mercato
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Ai tempi della crisi globale perdere il lavoro a 50 anni sta diventando "normale" e, come molti affermano, siamo solo all'inizio.
Thierry è uno dei tanti e sconterà sulla propria pelle che il prezzo da pagare alla ricollocazione come vigilante in un supermarcato non sarà solamente la ricontrattazione al ribasso della propria forza lavoro e la perdita progressiva e inarrestabile??? di dignità non un trascurabile danno collaterale.
Vincent Lindon nei panni del protagonista è misurato, perfetto, con una recitazione senza sbavature e senza enfasi ci restituisce la cifra esatta del dramma epocale che stiamo attraversando.
Una Stephani Brizè lucidissima e affilatissima ci racconta che quando la crisi affonda i denti nella carne viva delle persone la perdita della coscienza collettiva è solamente il primo passo e l'isolamento personale il successivo, come condizione imprescindibile affinchè l'umiliazione progressiva e scientifica, dispiegando tutta la sua geometrica potenza, realizzi oltre al furto dei corpi anche quello, forse, più difficile per molti da sopportare, delle anime.
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Ai tempi della crisi globale perdere il lavoro a 50 anni sta diventando "normale" e, come molti affermano, siamo solo all'inizio.
Thierry è uno dei tanti e sconterà sulla propria pelle che il prezzo da pagare alla ricollocazione come vigilante in un supermarcato non sarà solamente la ricontrattazione al ribasso della propria forza lavoro e la perdita progressiva e inarrestabile??? di dignità non un trascurabile danno collaterale.
Vincent Lindon nei panni del protagonista è misurato, perfetto, con una recitazione senza sbavature e senza enfasi ci restituisce la cifra esatta del dramma epocale che stiamo attraversando.
Una Stephani Brizè lucidissima e affilatissima ci racconta che quando la crisi affonda i denti nella carne viva delle persone la perdita della coscienza collettiva è solamente il primo passo e l'isolamento personale il successivo, come condizione imprescindibile affinchè l'umiliazione progressiva e scientifica, dispiegando tutta la sua geometrica potenza, realizzi oltre al furto dei corpi anche quello, forse, più difficile per molti da sopportare, delle anime.
E così con un salto mortale all'indietro di 100 anni sui diritti il delitto è perfetto.
il film ha, forse, qualche lentezza di troppo ed il finale, anche se leggermente consolatorio, non si addice ad un lavoro che sa andare così in profondità, ma il peccato è veniale e lo perdoniamno di slancio.
Il film, militante e necessario è da non perdere
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eugenio
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martedì 3 novembre 2015
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dura lex sed lex
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Non c’è niente da dire: i francesi meglio di qualunque altro sono stati in grado di mostrare con accenni di pacato malessere, il disagio di una perdita, lo spauracchio che incombe come tragedia in particolare tra quelli non giovanissimi: la perdita del posto di lavoro e la conseguente difficoltà di ricollocamento
Ci sono casi, come ci ricorda Emanuelle Carrere in cui il travaso della perdita si traduce in vuoto affettivo che squassa completamente la mente del malcapitato inducendolo ad azioni insensate e spaventosamente violente, lesioniste per sè stesso e soprattutto per i cari che lo circondano.
Non è l’avversario il nuovo film di Stéphane Brizé, non ha in sè le derive di un trauma psicologico che una mancanza di “quodianeità” e di sussistenza economica può determinare, bensì il taglio di un documentario alla Dardenne grazie in particolare all’abilità recitativa del protagonista Vincent Lindon
La loi du marchée l'internazionale A Simple Man, l’italiano La legge del mercato.
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Non c’è niente da dire: i francesi meglio di qualunque altro sono stati in grado di mostrare con accenni di pacato malessere, il disagio di una perdita, lo spauracchio che incombe come tragedia in particolare tra quelli non giovanissimi: la perdita del posto di lavoro e la conseguente difficoltà di ricollocamento
Ci sono casi, come ci ricorda Emanuelle Carrere in cui il travaso della perdita si traduce in vuoto affettivo che squassa completamente la mente del malcapitato inducendolo ad azioni insensate e spaventosamente violente, lesioniste per sè stesso e soprattutto per i cari che lo circondano.
Non è l’avversario il nuovo film di Stéphane Brizé, non ha in sè le derive di un trauma psicologico che una mancanza di “quodianeità” e di sussistenza economica può determinare, bensì il taglio di un documentario alla Dardenne grazie in particolare all’abilità recitativa del protagonista Vincent Lindon
La loi du marchée l'internazionale A Simple Man, l’italiano La legge del mercato.
La legge sotto la quale tutti, bene o male, siamo costretti a sottostare volente o nolente.
Brizè ci delinea senza fronzoli la storia di Thierry, ex operaio di una fabbrica licenziato dopo venticinque anni a causa delle ben nota “delocalizzazione”, processo assai comune di trasferire l’intero operato in contesti economicamente più favorevoli che possano tradursi quindi in un miglioramento “del conto economico” dell’azienda e delle sue entrate.
Senza troppi giri di parole, a cinquant’anni suonati, con una moglie e un figlio disabile, Thierry si trova disoccupato. Frequenta corsi di formazione come aiuto gruista, inutili quanto inconcludenti per la sua attuale posizione, incapace quindi di garantirgli, malgrado l’assistenza e l’aiuto del centro dell’impiego, una ricollocazione efficace.
Cerca e tanto fa, lo vediamo nella mezz’ora di film che ci presenta uno spaccato abbastanza comune nel mondo (non solo nella latina Francia o Italia) lavorativo con tanto di colloqui impersonali e acidi via Skype, altri comportamentali dove alla formula del “Le faremo sapere” si sostituisce sin da subito la diretta “lei ha pochissime se non nulle possibilità di essere assunto” che fanno della ricerca del posto (anche precario,figurarsi fisso) l’eterna lotta di dannazione contro lo spettro dell’inabilità quotidiana. Thierry non si arrende complice la delicata situazione familiare e pensa addirittura di vendere la propria casa per riuscire a rientrare nelle spese a causa dell’esiguo assegno di disoccupazione incapace di fornire l’adeguata assistenza necessaria al figlio.
Questa la prima parte.
Senza badare a retoriche di fondo, il cineasta Brizè cambia prospettiva. Al centro della sua narrazione descrive un “secondo tempo” senz’altro più positivo per lo stesso Thierry visto che le sue ricerche hanno prodotto un esito positivo con l’assunzione in un ipermercato in qualità di guardia giurata. In pratica quelli che controllare i tentativi di furto e li sventano prontamente.
Ma è solo apparenza, niente è allegro anzi.
Dinanzi alla carrellata umana di coloro che rubano per sostentarsi, di cassiere disoneste che si appropriano di buoni pasto, di coloro che sfruttano la propria carta facendosi passare la spesa di altre persone, si muove il nucleo fondante del film e parzialmente, la via che Brizè declina nel percorso negativo di immaturazione lungo le variegate vie del destino che portano la volontà a scontrarsi dinanzi alla stolida disperazione odierna.
Il ladro non ha età nè colore, è bambino,vecchio, tutti ne sono potenziali vittime, chiosa così il suo collega di lavoro.
Da timido e remissivo personaggio, pur non cambiando nulla nella sua superficie, il comportamento di questo emblema di una società allo sbando che ha perso bussola e orizzonti umani, diverrà ben presto quello di un uomo costretto a misurarsi con le leggi di un mercato, che non perdona nulla, che non ha pietà per coloro che sono, volente o nolente, in una situazione prossima alla sua.
E’ un film di denuncia, inutile nasconderlo, La legge del mercato. Denuncia a un sistema non sufficiente preparato al ricollocamento di coloro che giovani non sono più, denuncia di un mondo sottopagato e precario fatto di sotterfugi, denuncia nei confronti di una società che non perdona nulla, dove il forte vince sempre sul più debole.
Eppure, se l’intento è comune a tanto cinema reale odierno, dove al boom economico della ricerca del posto fisso, si è passati alla “scintilla” del precario, La legge del mercato, offre al pubblico un prodotto mai lento che mostra nella sua gradualità di frequenti piani sequenza e primi piani del volto segnato del protagonista, altri di taglio altrettanto più leggero (le lezioni di ballo) che ne sdrammatizzano la pesantezza.
La mimica dell’accondinscenza, una malattia direbbe Serra, in cui tutti compatiscono e cercano di aiutare il prossimo non palesando interessi nascosti, è qui particolarmente evidente.
La banca, il primo sciacallo, dal volto irenico della candida impiegata che gli prospetta la morte e quindi la necessità di vendere la casa per acquistarne una più piccola, in modo da avere una sufficiente copertura assicurativa, l’incontro di gruppo in cui si vedono le immagini di un malcapitato in sede di colloquio studiate e scandagliate da altri per evidenziarne e (quasi mettere alla berlina) punti deboli, la non-chalance di chi aiuta ma accoltella alle spalle come il direttore dell’ipermercato pronto a licenziare la cassiera per l’atto disonesto ai margini della pensione, causandone un tracollo emotivo che si tradurrà nel suicidio della signora, insomma, tutti eventi, tutte piccole cose alla luce che rivelano un sottosuolo di coperture e nefandezze, piccole appunto ma sintomatiche.
Uno streamline di verità che fa riflettere tutti coloro che, volente o nolente, sono passati e hanno vissuto sulla “propria pelle” il percorso “formativo” di Thierry.
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zarar
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lunedì 2 novembre 2015
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la legge del mercato e la legge morale
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Una storia di ordinaria miseria in tempi di crisi economica: un uomo di mezza età tecnico disoccupato, stanco di lottare, alla disperata ricerca di lavoro, preso in giro negli uffici di collocamento, umiliato nei colloqui di lavoro, respinto quando chiede un prestito, ridotto a frequentare corsi in cui un deficiente ti spiega che è una questione di postura, sguardo, tono di voce se non trovi un posto di lavoro, ebbene quest’uomo, Thierry, che ha una moglie cara e affettuosa e un amato e non patetico figlio disabile, trova finalmente un lavoro, che gli assicurerà il suo bravo stipendio e finalmente anche il prestito della banca. Thierry diventa sorvegliante anti-furto in un supermercato.
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Una storia di ordinaria miseria in tempi di crisi economica: un uomo di mezza età tecnico disoccupato, stanco di lottare, alla disperata ricerca di lavoro, preso in giro negli uffici di collocamento, umiliato nei colloqui di lavoro, respinto quando chiede un prestito, ridotto a frequentare corsi in cui un deficiente ti spiega che è una questione di postura, sguardo, tono di voce se non trovi un posto di lavoro, ebbene quest’uomo, Thierry, che ha una moglie cara e affettuosa e un amato e non patetico figlio disabile, trova finalmente un lavoro, che gli assicurerà il suo bravo stipendio e finalmente anche il prestito della banca. Thierry diventa sorvegliante anti-furto in un supermercato. Ma se prima doveva fare i conti con i soldi che non c’erano, ora deve farli con la sua coscienza: è costretto a denunciare il pensionato povero e disperato, che ha sottratto due pacchetti di carne; la cassiera con il cuore grande che ha speso nell’azienda una vita e che – in gravi difficoltà – si è tenuta dei buoni sconto che avrebbe dovuto eliminare; la giovane collega sprovveduta che ha commesso un’infrazione ancora minore. Povera gente come lui, umiliata o addirittura rovinata con il suo contributo. Prova, ma non ce la fa. All’ennesimo caso, senza una parola, raccoglie le sue cose e se ne va. Fine del film.
Efficace rappresentazione di una dura realtà (potrebbe essere un documentario, tanta verità si respira in ogni situazione, e nei visi degli attori non professionisti che affiancano il protagonista) il film è una denuncia della spietata legge del mercato che massacra gli uomini in nome del profitto e un implicito tributo a chi resiste a questa logica, pagando di persona, ma riscattandosi come uomo libero. Ma è anche un gran bel film.
Si noti come il senso di oppressione, di costrizione, di messa alle corde che grava sul protagonista e il suo intorno venga ‘raccontato’ con le immagini: film tutto di interni e di primi piani che riempiono lo schermo schiacciati in alto e in basso; interni claustrofobici, come la motorhome o la saletta per le convocazioni del personale nel supermercato, o - peggio di tutti - il cubicolo degli ‘interrogatori’ dove i colpevoli sono con le spalle al muro a pochi centimetri dai loro accusatori, senza via di scampo; si noti come gli attori siano immobili o si muovano esitanti in spazi circoscritti , mentre la macchina da presa li bersaglia - per così dire - da ogni parte… Fortemente significativo anche il montaggio delle scene e il dialogo: ciascuna scena, ciascun discorso appare isolato in una specie di vuoto e la storia procede per salti, quasi a indicare che non c’è logica in quel che succede, non c’è sviluppo, fino ad uno scioglimento che è solo ritorno al punto di partenza… E last, but not least, è ottima la recitazione di Vincent Lindon, che dà a Thierry volto, gesti, sguardo, parole e silenzi che riescono a trasmettere sia il senso della precarietà, dell’umiliazione di quel che si deve inghiottire per sopravvivere, del disorientamento di fronte all’assurdità e al cinismo, sia una non sconfitta dignità, una resistenza, una costanza della ragione, una capacità di empatia che saranno quelle che alla fine lo ‘libereranno’, ridandogli – pur nella sconfitta - il piglio sicuro, il passo deciso che gli mancava. Per lui premio meritatissimo a Cannes. In compenso dove è finito il doppiaggio di qualità per cui eravamo apprezzati internazionalmente? Non certo in questo film
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giusy paesano j.
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lunedì 2 novembre 2015
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un film che fa male
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"La loi du marchè" è un film durissimo.Un film che ci guarda-ci vede-senza più speranza,vittime sacrificali di quel "cinismo del mercato" che è in realtà un concetto astratto ed esistente sol nella mente di chi ci vuole controllabili, manipolabili, condiscendenti e servi dominati dal bisogno.Un film retto quasi interamente dalle spalle larghe-larghissime- e dalla sensibilità " muscolare" di Vincent Lindon.Un film di silenzi, di sguardi, di disperazioni sottaciute,di amarezze rapprese,fino al liberatorio epilogo " dardenniano".
Un film grigio, in assenza quasi totale di colonna sonora perchè grigio è il mondo del non-lavoro con le sue leggi spietatissime.
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"La loi du marchè" è un film durissimo.Un film che ci guarda-ci vede-senza più speranza,vittime sacrificali di quel "cinismo del mercato" che è in realtà un concetto astratto ed esistente sol nella mente di chi ci vuole controllabili, manipolabili, condiscendenti e servi dominati dal bisogno.Un film retto quasi interamente dalle spalle larghe-larghissime- e dalla sensibilità " muscolare" di Vincent Lindon.Un film di silenzi, di sguardi, di disperazioni sottaciute,di amarezze rapprese,fino al liberatorio epilogo " dardenniano".
Un film grigio, in assenza quasi totale di colonna sonora perchè grigio è il mondo del non-lavoro con le sue leggi spietatissime.Mi è parso si collochi a metà strada tra il docu-fiction,il Loach di "Piovono pietre" (senza la precisa connotazione di classi che attraversa l'opera loachiana e deprivato della virulenza tipica del regista inglese) e la lucida umanità dei Dardenne.Una profonda solitudine lo attraversa( e ci attraversa).Una solitudine espressa attraverso una gestualità impercettibile ma eloquente fatta di lembi di pelle,borse sotto gli occhi,sguardi assenti,pacata rassegnazione, dolentissime afasie.E in quei silenzi c'è tutto il dolore di un uomo.Poi un gesto finale ci libera e reifica.Potremmo ribattezzarlo, citando Boll:" E non disse nemmeno una parola".Un film che spaventa, il film giusto per chi vuol rimuovere e non vedere un dramma individuale,sociale ed esistenziale di portata gigantesca.Perchè non è solo di lavoro che si parla qui ma di Vita.
E' un film dinamico,nonostante la fissità delle inquadrature, totalmente privo di enfasi e costruito attraverso una durezza-anche stilistica-che non lascia scampo.Un film che fa davvero male.
Un atto d' accusa determinato e prosciugato che non concede nulla men che mai alla retorica dei sentimenti nonostante sia sempre dalla forza degli affetti, dalla pietas, dalla misura della nostra umanità che tiriamo fuori la parte migliore di noi,quella forza per girare finalmente le spalle a cio' che ci avvilisce e non ci appartiene.Un gesto che è già di per sè presa d' atto di natura morale e attestazione di cinema.
Il personaggio si congeda da noi attraverso un finale aperto che lo porterà chissà dove e noi gli auguriamo possa essere un posto dove trovare conforto e dignità.
Ed è proprio quel finale-ancora una volta silente e fatto di gesti- la cosa più bella del film.
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