maurizio meres
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domenica 19 giugno 2016
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quello che facciamo finta di non vedere
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Questo film rappresenta quello che vediamo,anzi che facciamo finta di non vedere tutti i giorni,dignità umana calpestata da un destino atroce,malvagio,che non lascia speranza,a chi purtroppo sfortunato nella vita è costretto a vivere in questo mondo.
La dignità e la consapevolezza di non essere più se stessi oltrepassa ogni limite di sopportazione,rimane inalterata perché la mente dell'essere umano essendo una macchina perfetta vede ciò che si vuole vedere,e soprattutto fa sognare anche ad occhi aperti lasciando sempre la speranza di una vita migliore.
Il mondo che gira intorno a loro non è altro che la pura indifferenza di una razza senza più valori,ognuno di noi vive con un paraocchi blindato,dove l'indifferenza sembra quasi un modo di vita.
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Questo film rappresenta quello che vediamo,anzi che facciamo finta di non vedere tutti i giorni,dignità umana calpestata da un destino atroce,malvagio,che non lascia speranza,a chi purtroppo sfortunato nella vita è costretto a vivere in questo mondo.
La dignità e la consapevolezza di non essere più se stessi oltrepassa ogni limite di sopportazione,rimane inalterata perché la mente dell'essere umano essendo una macchina perfetta vede ciò che si vuole vedere,e soprattutto fa sognare anche ad occhi aperti lasciando sempre la speranza di una vita migliore.
Il mondo che gira intorno a loro non è altro che la pura indifferenza di una razza senza più valori,ognuno di noi vive con un paraocchi blindato,dove l'indifferenza sembra quasi un modo di vita.
Tematica contemporanea sulle difficoltà economiche dei cosiddetti nuovi poveri,nel film lento ma del resto non poteva essere altrimenti,il regista bravissimo,mai patetico,mette in luce tutte le ragioni esistenziali che portano al totale abbandono della persona,ritengo la scelta di Gere per quel ruolo sia stata giusta,in quanto il suo modo di fare oltre che all'aspetto fisico siano in simbiosi proprio con la realtà di quelle persone che si trovano in difficolta.
Film vero da vedere,per capire uno dei veri drammi creati dal consumismo,incontrollato e ipocritamente superficiale.
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p0vr0
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mercoledì 6 gennaio 2016
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da premiare moverman e gere
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Non è una sceneggiatura originale, ma questo film ha due punti a suo vantaggio : la bravura del regista nell'evitare filtri retorici e nel rendere la narrazione piana e consapevole, forse meno emotiva ma sicuramente più realistica ; la determinazione di Gere nell'interpretazione di un ruolo a cui evidentemente tiene molto, dando l'impressione di usare la finzione scenica per un esibizione reale della sua povertà, a dimostrazione pratica che anche uno come lui può diventare invisibile.
Questi due aspetti fanno di Time out of mind un film piacevolissimo, ingiustamente ignorato dalle grandi distribuzioni. In fondo una specie di destino, un film invisibile sulla vita degli invisibili ma un film che porta intatto il suo invito ad amare la nostra vita e le persone che ci stanno vicino prima che sia troppo tardi.
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Non è una sceneggiatura originale, ma questo film ha due punti a suo vantaggio : la bravura del regista nell'evitare filtri retorici e nel rendere la narrazione piana e consapevole, forse meno emotiva ma sicuramente più realistica ; la determinazione di Gere nell'interpretazione di un ruolo a cui evidentemente tiene molto, dando l'impressione di usare la finzione scenica per un esibizione reale della sua povertà, a dimostrazione pratica che anche uno come lui può diventare invisibile.
Questi due aspetti fanno di Time out of mind un film piacevolissimo, ingiustamente ignorato dalle grandi distribuzioni. In fondo una specie di destino, un film invisibile sulla vita degli invisibili ma un film che porta intatto il suo invito ad amare la nostra vita e le persone che ci stanno vicino prima che sia troppo tardi.
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flyanto
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lunedì 20 giugno 2016
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quando un uomo perde tutto è soprattutto la dignit
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Un altro ruolo particolare e fortemente drammatico per Richard Gere che, dopo il suo precedente in "Franny" dove interpreta un uomo fortemente dipendente dal vizio del bere, ne "Gli Invisibili" riveste i panni di un individuo che vive alla stregua di un barbone. Egli, non se ne capisce direttamente la motivazione ma si intuisce che la causa scatenante sia stata la morte improvvisa dell' amata moglie avvenuta anni addietro, si è ridotto a vagare per le strade in condizioni ovviamente di grande indigenza e trascorrendo le propri giornate a bere, a chiedere l'elemosina e a cercarsi un riparo dove trascorrere la notte. Così facendo egli trascorre la sua contemporanea esistenza con altrettanti barboni come lui e andando a trovare ogni tanto la figlia abbandonata in passato appena adolescente, la quale lavora presso un bar e che, ovviamente, nutre un profondo e giustificato risentimento nei confronti del padre.
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Un altro ruolo particolare e fortemente drammatico per Richard Gere che, dopo il suo precedente in "Franny" dove interpreta un uomo fortemente dipendente dal vizio del bere, ne "Gli Invisibili" riveste i panni di un individuo che vive alla stregua di un barbone. Egli, non se ne capisce direttamente la motivazione ma si intuisce che la causa scatenante sia stata la morte improvvisa dell' amata moglie avvenuta anni addietro, si è ridotto a vagare per le strade in condizioni ovviamente di grande indigenza e trascorrendo le propri giornate a bere, a chiedere l'elemosina e a cercarsi un riparo dove trascorrere la notte. Così facendo egli trascorre la sua contemporanea esistenza con altrettanti barboni come lui e andando a trovare ogni tanto la figlia abbandonata in passato appena adolescente, la quale lavora presso un bar e che, ovviamente, nutre un profondo e giustificato risentimento nei confronti del padre. Ma piano, piano, con una sorta di buona volontà a combattere questo suo stato assai critico, il protagonista riuscirà a commuovere la figlia abbandonata e, forse, a ricostruirsi un poco alla volta un'esistenza un pò più dignitosa.
Una pellicola estremamente dura e guanto mai realistica sulla condizione e sul mondo di quegli individui, i cosiddetti, appunto, "invisibili", che, in seguito a qualche avvenimento per loro altamente traumatico, non hanno saputo reagire adeguatamente e metabolizzare il dolore nella giusta maniera e si sono lasciati sempre più andare alla deriva, dedicandosi al bere, perdendo ogni bene economico ed addirittura la propria casa e soprattutto la propria dignità di essere umano. E Richard Gere, che il pubblico è abituato a vedere nella maggior parte delle sue performances come un seduttore od anche come un uomo con problematiche comuni a tutti, qui riveste alla perfezione un ruolo molto difficile e sicuramente "scomodo" e, ovviamente, per nulla allegro. Il bell'attore Gere così appare in vestiti consunti, con l'aspetto alquanto trasandato e barba incolta (ma che non intaccano ugualmente il suo fascino naturale), con uno stile di vita sicuramente molto deplorevole e poco ammirevole e quotidianamente in serie e continue difficoltà, maggiorate dall' ostracismo di tutti, sia sconosciuti per la strada che dalla figlia stessa a ben ragione.
Concludendo, un film molto ben girato dal regista Oren Moverman e, ripeto, altamente crudo ed assai lontano da ogni tesi buonista e, pertanto, difficile da "accettare" per la sua scomoda e quanto mai dolorosa veridicità.
Interessante ma non concepito al fine di cercare un paio d'ore di spensieratezza.
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simo8788
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sabato 3 ottobre 2015
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film indipendente: film difficile
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Essendo un film indipendente è un film che generalmente viene svolto da persone ambiziose e molto orgogliose del proprio lavoro. E' un film definito anche sperimentale perché in genere lasciando che sia il regista a curare completamente ogni dettaglio senza che sia seguito dallo studio di produzione, varca lo schema stesso del genere cinematografico d'appartenenza rendendolo più impersonato, alla mente del regista stesso. Sono film tutt'altro che facili sia da produrre che da vedere e da comprendere e per questo solitamente vengono distribuiti ed apprezzati su larga scala solo dopo essere stati proiettati e veramente apprezzati in specifiche sale di cinema (quelle in cui generalmente viene trasmesso un solo tipo di cinema classico/sperimentale).
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Essendo un film indipendente è un film che generalmente viene svolto da persone ambiziose e molto orgogliose del proprio lavoro. E' un film definito anche sperimentale perché in genere lasciando che sia il regista a curare completamente ogni dettaglio senza che sia seguito dallo studio di produzione, varca lo schema stesso del genere cinematografico d'appartenenza rendendolo più impersonato, alla mente del regista stesso. Sono film tutt'altro che facili sia da produrre che da vedere e da comprendere e per questo solitamente vengono distribuiti ed apprezzati su larga scala solo dopo essere stati proiettati e veramente apprezzati in specifiche sale di cinema (quelle in cui generalmente viene trasmesso un solo tipo di cinema classico/sperimentale). Non è un caso infatti, che per questo film, come tanti altri, non è ancora stata prevista un uscita in molti paesi al di fuori di quello di produzione, probabilmente perché non è stato apprezzato granché. Ripeto, questi film sono difficili da produrre, perché non tutti vogliono prenderne parte e dall'intervista di Gere al festival di Roma è emerso che si è voluta sviluppare una grande idea, un idea da 10 anni (per quel che riguarda la sceneggiatura) in un arco temporale di 20 giorni di riprese, a causa del basso costo di produzione. Il risultato che è venuto fuori è un film discreto che come dicevo deve essere letto più per quanto riguarda il linguaggio delle inquadrature e degli stati d'animo del protagonista che dal punto di vista dei dialoghi. E' chiaro che uno spettatore come me, che sa queste cose, deve partire dal fatto di non farsi grandi aspettative, prima di andare a vedere questa pellicola, se mai dovesse arrivare anche da noi.
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ashtray_bliss
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domenica 9 ottobre 2016
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un ritratto onesto e non patitato dei senzatetto.
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Moverman confeziona un film semplice e onesto, mettendo in scena uno dei problemi sociali più importanti al quale girano le spalle istituzioni e persone comuni. Ecco allora che si creano sciami di invisibili, persone che hanno perso tutto e che si ritrovano a barcamenarsi nelle fredde e disumane metropoli, un po' a chiedere carità per strada e un po' a chiedere un posto letto, in uno dei tanti rifugi per homeless.
La retorica e il didascalismo sono assenti in questa pellicola. Moverman non vuole insegnare niente a nessuno e nemmeno mettere in scena una storia strappalacrime alla Cassavettes per toccare le corde più sensibili del nostro animo. Il suo obbiettivo è quello di rappresentare nel modo più realistico possibile la vita quotidiana, routinaria e difficile al contempo, degli homeless e per raccontare questa storia sceglie di affidare il ruolo del protagonista George a Richard Gere.
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Moverman confeziona un film semplice e onesto, mettendo in scena uno dei problemi sociali più importanti al quale girano le spalle istituzioni e persone comuni. Ecco allora che si creano sciami di invisibili, persone che hanno perso tutto e che si ritrovano a barcamenarsi nelle fredde e disumane metropoli, un po' a chiedere carità per strada e un po' a chiedere un posto letto, in uno dei tanti rifugi per homeless.
La retorica e il didascalismo sono assenti in questa pellicola. Moverman non vuole insegnare niente a nessuno e nemmeno mettere in scena una storia strappalacrime alla Cassavettes per toccare le corde più sensibili del nostro animo. Il suo obbiettivo è quello di rappresentare nel modo più realistico possibile la vita quotidiana, routinaria e difficile al contempo, degli homeless e per raccontare questa storia sceglie di affidare il ruolo del protagonista George a Richard Gere. Del background di George non si sa nulla e poco viene a galla attravverso sporadici e laconici dialoghi. Le responsabilità personali non vengono affatto azzerate e si deduce che anche George ha avuto un ruolo fondamentale nel crearsi quella situazione, perdendo tutto e di tutto la cosa più importante che gli è rimasta: la figlia Maggie che di lui non vuole nemmeno sentir parlare.
Ma al regista non interessa puntare il dito contro e stabilire chi ha colpa e per cosa. Gli importa invece mostrare come queste persone, senzatetto, indifferentemente del perchè lo sono diventate, siano come ombre invisibili per il resto delle persone che li circondano, talvolta anche delle istituzioni ancorate ad una burocrazia massacrante che non permette loro di evolversi e cambiare la propria condizione.
Moverman segue così il suo protagonista a distanza, attravverso porte-vetro o finestre (di uffici, di negozi, di bar), atravverso riflessi di luce che delineano la distanza di sicurezza con la quale noi stessi ci accorgiamo (forse ma non necessariamente) della presenza di questi diserati attorno a noi. Originale il modo di approcciare e seguire il protagonista ma alla lunga è una tecnica che finisce per stancare lo spettatore ed appesantirne la visione. Per il resto la pellicola proseguire in modo assolutamente lineare, senza colpi di scena o momenti clou. Il regista delinea la 'normalità' di un homeless che non accetta di essere definito tale, che spende la sua giornata a girare senza una meta precisa, a vendere i propri beni, quei pochi rimasti (come un cappotto o una sciarpa) per convertire il ricavato in alcool fino ad arrivare a sera dove prima del coprifuoco deve essere allineato in quelle interminabili file dei rifugi per accaparrarsi un posto-letto. George alla fine incontrerà un ex pianista afroamericano che versa nelle sue medesime condizioni e i due proveranno a ritrovare un po' di dignità, umanità ed empatia l'uno nell'altro. In altre parole, trovando conforto in una sorta di amicizia. Salvo poi svegliarsi il giorno dopo e constatare che quel amico è scomparso. La vita dà e prende. Il susseguirsi di momenti di gioia a quelli di tristezza e solitudine sono inevitabili. Alla fine a George non resta che tentare l'ultima carta a sua disposizione: quella di chiedere aiuto ad una figlia che non lo vuole aver vicino ma che dopotutto accetterà di stendergli una mano.
Film ben realizzato e recitato, con un Gere anche in veste di produttore che si immedesima totalmente nella parte, e che riporta l'attenzione, seppur in maniera discreta, sul problema dell'emarginazione degli homeless.
Al film tuttavia manca qualcosa, quella marcia in più che avrebbe potuto consacrarlo a nitido spaccato della cruda realtà che affrontano tali persone. Moverman invece si muove prudente pur restando altamente realistico e senza proporre personaggi stereotipati e senza nemmeno risultare graffiante e incisivo. Merito della pellicola in questione è che sicuramente non sfrutta il personaggio di George per ricattare moralmente gli spettatori ma alla fine sembra di aver assistito ad un docufilm con l'happy ending dietro l'angolo piuttosto che ad un film dalla potenza narrativa e drammatica ben più elevata, come invece ci si aspettava da un prodotto del genere.
Nel complesso si tratta di un buon prodotto, seppur al di sotto delle aspettative poste, caratterizzato da un ritmo narrativo piuttosto lento e poco parlato (eccetto i lunghi monologhi del jazzista nero che incontra Gere) e basato sulle lunghe inquadrature di Gere, che atravverso il suo personaggio descrive la solitudine e disperazione di queste persone dimenticate da tutti.
2,5/ 5.
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gianleo67
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domenica 30 ottobre 2016
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"sono un ragazzo padre..."
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Cacciato dall'appartamento fatiscente in cui era ospite a causa dello sfratto della sua amica e affittuaria, George si ritrova a vagabondare per le strade di Manhattan passando dalla sala d'aspetto di un grande ospedale ad un affollato dormitorio pubblico, da un banco dei pegni in cui racimolare qualche soldo ad un ufficio dell'assistenza sociale dove riscattare le proprie credenziali, cercando nel frattempo di ricucire un improbabile rapporto con una figlia ormai adulta abbandonata anni prima. La sua condizione di homeless però, lo rende un reietto condannato a vivere ai margini della società, senza alcuna speranza di riscatto e privato persino del proprio passato e della propria identità.
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Cacciato dall'appartamento fatiscente in cui era ospite a causa dello sfratto della sua amica e affittuaria, George si ritrova a vagabondare per le strade di Manhattan passando dalla sala d'aspetto di un grande ospedale ad un affollato dormitorio pubblico, da un banco dei pegni in cui racimolare qualche soldo ad un ufficio dell'assistenza sociale dove riscattare le proprie credenziali, cercando nel frattempo di ricucire un improbabile rapporto con una figlia ormai adulta abbandonata anni prima. La sua condizione di homeless però, lo rende un reietto condannato a vivere ai margini della società, senza alcuna speranza di riscatto e privato persino del proprio passato e della propria identità.
Storie di ordinaria emarginazione in questo film indipendente del filmaker di origini israliane, ma newyorkese d'adozione, Oren Moverman che puntano da un lato sul minimalismo documentaristico dagli umori blues del primo Cassavetes e dall'altro sul trasandato sex appeal di un incanutito e indomito Richard Gere. La povertà è una brutta bestia ed a poco serve addomesticarla e tenerla al guinzaglio, sembra ammiccare Moverman da una soggettiva perennemente estranea e sghemba che vorrebbe rintuzzare la cattiva coscienza di un pubblico occidentale che osserva con placida indolenza le sorti di chi non c'è l'ha fatta, definitivamente tagliato fuori da un circuito produttivo e sociale che esclude e che ghettizza, capace al più della compassione e del rispetto che si deve a quella parte di umanità finita nel cul-de-sac dell'assistenzialismo pubblico e della solidarietà privata, ma senza alcuna speranza di reinserimento e riabilitazione, men che meno meritevole dell'affetto dei suoi cari. Non ci sono intenti moralistici o reprimende politiche per un film in cui lo stesso autore si mette dalla parte di chi osserva con freddo distacco le dignitose peregrinazioni di un uomo senza speranza, di una risalita dagli inferi della solitudine e della incapienza di un reietto che cerca di ricominciare là dove si era interrotto il suo percorso di vita, tra una moglie morta di cancro non ostante i disastrosi sforzi economici che lo hanno condotto alla bancarotta ed un figlia ancora piccola abbandonata alle cure dei nonni e per questo perduta per sempre. L'America di Moverman è quella marginale e sconfitta della Kelly Reichardt di Old Joy e Wendy and Lucy, un paese delle opportunità non andate a buon fine e di una ricerca di valori umani (l'amicizia, l'amore, l'affetto filiale, perfino l'attaccamneto al proprio cane) che sembrano gli unici antidoti ad un nichilismo esistenziale da cui non pare esserci scampo. Un esperimento cinematografico di programmatcica sobrietà (camera a mano e piani fissi, colonna sonora ridotta ai minimi termini e realismo scenografico) con un titolo originale che allude ad una sospensione sine die del normale corso dell'esistenza e che utilizza il divo di turno senza abusarne ma facendo comunque le inevitabili concessioni ad un irresistibile appeal fisiognomico, alle phisique du role di chi è condannato ad avere un rapporto privilegiato col mondo femminile (la barbona scambiata per amica, l'infermiera iralandese, l'impiegata statale, la figlia sedotta e abbandonata: una bellissima ed intensa Jena Malone) e per questo meritevole di quel trasporto empatico che tradisce un finale aperto alla commozione ed alla speranza. Tutto negli ultimi 10 minuti del film. E dire che c'è l'aveva quasi fatta!
Presentato al Toronto International Film Festival nel 2014 e distribuito in Italia solo nel 2016 a cura della Lucky Red.
"El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d'amore."
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totybottalla
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sabato 18 febbraio 2017
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ombre visibili dal destino struggente!
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Il film narra di un uomo che, dopo aver perduto: lavoro, casa e moglie, si ritrova vagabondo cercando in qualche modo di riavvicinarsi a sua figlia Maggie...Un lavoro ben diretto che ha le sembianze di un true reality, nel raccontare una storia così drammatica e intima, la macchina da presa si tiene a distanza lasciandoci vedere con discrezione gli eventi, bravo Gere che anima il personaggio con una sottorecitazione ben riuscita, una storia che non vanta eroismi nè percorre scorciatoie da lieto fine ma la sofferta decisione di Maggie che sa di perdono e speranza. Saluti.
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diabolik0
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lunedì 15 maggio 2017
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bel lavoro
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Interessante questa incursione nel mondo dei "clochard", non mi pare che mai altri cineasti si siano cimentati all'uopo e abbiano affrontato il tema dei "senza fissa dimora"un esercito di invisibili, che non hanno identità,non hanno di che sfamarsi e un giaciglio per dormire,sballottolati tra una burocrazia ottusa e insensibile e una indifferenza assoluta, che li rende reietti ed emarginati,sbandati in balia della strada,privati dei diritti più elementari, alla mercè di ragazzzini impertinenti o infermieri intransigenti o impiegati solerti, ma distaccati e freddi.Il film,di forte denuncia sociale, che riguarda tutti ,nessuno si senta escluso, è asciutto,algido,volutamente ostico,privo di colonna sonora,con spericolati posizionamenti della macchina da presa,e attraverso una grande interpretazione di Gere, vuole e riesce ad essere quanto mai incisivo e realistico.
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Interessante questa incursione nel mondo dei "clochard", non mi pare che mai altri cineasti si siano cimentati all'uopo e abbiano affrontato il tema dei "senza fissa dimora"un esercito di invisibili, che non hanno identità,non hanno di che sfamarsi e un giaciglio per dormire,sballottolati tra una burocrazia ottusa e insensibile e una indifferenza assoluta, che li rende reietti ed emarginati,sbandati in balia della strada,privati dei diritti più elementari, alla mercè di ragazzzini impertinenti o infermieri intransigenti o impiegati solerti, ma distaccati e freddi.Il film,di forte denuncia sociale, che riguarda tutti ,nessuno si senta escluso, è asciutto,algido,volutamente ostico,privo di colonna sonora,con spericolati posizionamenti della macchina da presa,e attraverso una grande interpretazione di Gere, vuole e riesce ad essere quanto mai incisivo e realistico.
Insomma un buon lavoro
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alberto pezzi
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lunedì 7 gennaio 2019
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un' occasione per riflettere
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FILM ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE. UNO SPECCHIO NUDO E CRUDO DELLA NOSTRA SOCIETA’. OREN MOVERMAN CI FORNISCE UN PICCOLO MA SIGNIFICANTE AFFRESCO DI TUTTO CIO’ CHE CI CIRCONDA, MA CHE PURTROPPO NON VOGLIAMO VEDERE. RICHARD GERE E’ GEORGE, UN UOMO DISPERATO. QUANTI DI NOI SONO DISPERATI?? QUANTI SONO MESSI IN GINOCCHIO DALLA VITA?? TUTTI NOI PRIMA O POI ATTRAVERSIAMO IL DOLORE. GEORGE RIMANE SOLO, SENZA MOGLIE, SENZA CASA E SENZA SOLDI. IN UNA NEW YORK GRIGIA E SPIETATA, GEORGE VAGA ALLA RICERCA DI UNA SPERANZA DI VITA, DI UN’ OPPORTUNITA’. UNA REGIA MAGISTRALE CI PORTA ALLA DURA SCOPERTA DEL MONDO DEI SENZATETTO, FORNENDOCI MATERIALE SUFFICIENTE A FARCI RABBRIVIDIRE.
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FILM ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE. UNO SPECCHIO NUDO E CRUDO DELLA NOSTRA SOCIETA’. OREN MOVERMAN CI FORNISCE UN PICCOLO MA SIGNIFICANTE AFFRESCO DI TUTTO CIO’ CHE CI CIRCONDA, MA CHE PURTROPPO NON VOGLIAMO VEDERE. RICHARD GERE E’ GEORGE, UN UOMO DISPERATO. QUANTI DI NOI SONO DISPERATI?? QUANTI SONO MESSI IN GINOCCHIO DALLA VITA?? TUTTI NOI PRIMA O POI ATTRAVERSIAMO IL DOLORE. GEORGE RIMANE SOLO, SENZA MOGLIE, SENZA CASA E SENZA SOLDI. IN UNA NEW YORK GRIGIA E SPIETATA, GEORGE VAGA ALLA RICERCA DI UNA SPERANZA DI VITA, DI UN’ OPPORTUNITA’. UNA REGIA MAGISTRALE CI PORTA ALLA DURA SCOPERTA DEL MONDO DEI SENZATETTO, FORNENDOCI MATERIALE SUFFICIENTE A FARCI RABBRIVIDIRE. GEORGE RIMANE IN VITA GRAZIE ALL’ ESISTENZA DI SUA FIGLIA MAGGIE, GRAZIE ALLA PREGHIERA DI POTERLA ABBRACCIARE. DIXON, UN SUO COMPAGNO DI RIFUGIO, GLI DARA’ LA FORZA DI ANDARE AVANTI. UN GRANDE RICHARD GERE CI PORTA ALLA RICERCA DI QUEL GRADO DI SENSIBILITA’ CHE ANCORA CI MANCA E CHE INVECE DOVREMMO AVERE. IL MONDO VA TROPPO, TROPPO VELOCE PER ACCORGERSI DI CHI SOFFRE. IN UN PIANETA DOMINATO ORMAI SOLTANTO DA SOLDI E POTERE, ECCO UN’ OCCASIONE PER POTER RIFLETTERE. DA VEDERE.
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melvin ii
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martedì 21 ottobre 2014
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un barbone ricco di charme
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Il biglietto d’acquistare per “Time out of mind” 3)Di pomeriggio
“Time out of mind” è un film del 2014 scritto e diretto da Oren Moverman con Richard Gere.
Basta poco per cadere e ritrovarsi con il “culo a terra”. La crisi economica sta distruggendo la classe media e creando nuovi poveri. La soglia di povertà si è allargata al tal punto che i Centri Caritas sono “frequentati” da persone insospettabili. Oggi giorno passeggiando per le nostre città vediamo decine di barboni che dormono alla meno peggio su cartoni in un angolo delle strade. Di notte le stazioni diventano “alberghi” per ripararsi dal freddo.
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Il biglietto d’acquistare per “Time out of mind” 3)Di pomeriggio
“Time out of mind” è un film del 2014 scritto e diretto da Oren Moverman con Richard Gere.
Basta poco per cadere e ritrovarsi con il “culo a terra”. La crisi economica sta distruggendo la classe media e creando nuovi poveri. La soglia di povertà si è allargata al tal punto che i Centri Caritas sono “frequentati” da persone insospettabili. Oggi giorno passeggiando per le nostre città vediamo decine di barboni che dormono alla meno peggio su cartoni in un angolo delle strade. Di notte le stazioni diventano “alberghi” per ripararsi dal freddo.
Ai nostri occhi queste persone sono degli invisibili, non hanno un passato, un presente né un futuro. Vivono ai margini della nostra società eppure un tempo ne facevamo parte.
Una tragedia cittadina che si rinnova ogni giorno quando leggiamosui giornali di barboni morti per il freddo, l’inedia o tristemente vittime di violenze subite da pseudo gruppi politici, ma in vero criminali a sangue freddo.
La crisi è partita in America e i”danni collaterali” sono stati più forti e devastanti.
Il numero di disoccupati è aumentata in maniera vertiginosa. La bolla immobiliare ha portato migliaia di persone a perdere la propria casa in breve tempo non potendo permettersi di pagare il mutuo. Molte famiglie si sono rotte e molti uomini incapaci d’reinventarsi un lavoro sono scivolati nella solitudine oltre che nella povertà.
Ma chi sono veramente i barboni? Come passano le loro giornate? Dove vivono, cosa mangiano?
A tutte queste domande cerca di dare una risposta il regista Movermann con il suo terzo film portandoci a New York presentandoci la dura e cinica realtà della città che non dorme mai.
Una viaggio fatto attraverso lo sguardo e le azoni Richard Gere per l’occasione divenuto barbone. Lo so è difficile immaginare l’ex sexy simbol degli anni 80 con queste sembianze. Eppure la telecamera segue Gere nel suo girovagare per la città, bevendo birra , cercando disperatamente un luogo dove dormire e qualcosa da mangiare.
Un film minimalista e scarno nelle parole, dove le immagini sono la vera forza del film.
Sappiamo poco di questo barbone, lo spettatore scruta la sua vita,osserva la sua sofferenza e riflette sulla sua misera condizione. Con lui conosciamo la realtà sconosciuta dei centri di accoglienza che in vero sembrano caserme dove vigono regole di comportamento rigide e severe. George questo è il nome del barbone un tempo aveva un lavoro, una casa, famiglia, ma ha perso tutto. È lo stesso George a parlarne in maniera vaga e confusa a un amico barbone durante le loro giornate passate a chiedere l’elemosina per strada
George ha una figlia che lavora in un bar.. Non hanno nessun rapporto eppure vigila su di lei da lontano.
George non accetta la sua condizione di barbone, la sua mente è ancorata alla vita che fu. Vorrebbe lavorare e avere una casa, ma per fare ciò deve avere per la burocrazia americana quanto meno un codice fiscale. Come può un barbone avere un codice fiscale se non ha neanche un certificato di nascita?
I contro sensi di una società da una parte indifferente a chi ci sta intorno e dall’altra parte impone regole illogiche.
Più che un film sembra un docufilm con l’intensa e forte interpretazione di Richard Gere.
L’attore americano si cala con tutto sé stesso nel personaggio, dandoli anima e profondità, ma non riuscendo però fino in fondo a convincere.
Il barbone Gere in confronto al barbone che frequenta la stazione Termini sembra un lord.
L’eleganza e il carisma di Gere in qualche modo nuoce al film, rendendolo meno vero e coinvolgente.
Il film concentrato sul rapporto tra il protagonista e New York funziona solo a momenti.
La sceneggiatura è nel complesso monocorde. Non regala particolari guizzi creativi o sussulti emotivi diventando cosi un mero susseguirsi di accadimenti senza scaldare il cuore dello spettatore. I pochi dialoghi sono resi vivi e partecipati dalla bravura degli interpreti.
La regia è rimasta a metà del guado tra documentario e cinema, non riuscendo a prendere d entrambi i generi il meglio. Un opera coraggiosa, ma priva del quid narrativo.
Un finale che genera nello spettatore la speranza che chi anche ha perso tutto, possa esistere la possibilità di ricominciare e che l’amore di una figlia nonostante tutto vince sull’indifferenza.
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